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Atto a cui si riferisce:
C.330 Modifica dell'articolo 90-ter del codice di procedura penale, in materia di comunicazioni dovute alle persone offese dal reato


FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 330

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
RAMPELLI, CIRIELLI, MELONI, RIZZETTO, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CROSETTO, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LOLLOBRIGIDA, LUCASELLI, MASCHIO, MONTARULI, OSNATO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI, ZUCCONI

Modifica dell'articolo 90-ter del codice di procedura penale, in materia di comunicazioni dovute alle persone offese dal reato

Presentata il 23 marzo 2018

  Onorevoli Colleghi! — L'articolo 27 della Costituzione stabilisce che, in caso di accertata responsabilità penale dell'individuo, «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
  In ottemperanza a questa previsione, l'articolo 30-ter della legge n. 354 del 1975, sull'ordinamento penitenziario, disciplina l'istituto dei permessi premio che possono essere concessi ai condannati che hanno tenuto «una regolare condotta» durante l'esecuzione della pena e non risultano socialmente pericolosi.
  La natura premiale dell'istituto appare evidente laddove si consideri che nell'intenzione dell'allora legislatore esso si prefiggeva il fine di consentire ai condannati di coltivare fuori dall'istituto penitenziario «interessi affettivi, culturali o di lavoro».
  Pur condividendo la necessità di assicurare nel trattamento sanzionatorio le citate tutele costituzionali in favore della persona condannata, consentendo limitate riprese di contatto con l'ambiente esterno da parte del detenuto, non possono però trascurarsi il rischio di reiterazione del reato e la primaria necessità di garantire una tutela della vittima che non si arresti alla fase della condanna.
  Occorre, purtroppo, prendere atto che oggi più che mai il disastroso stato delle carceri italiane, incompatibile con le finalità primarie della pena, sovente non garantisce il recupero emotivo e sociale del condannato che, come troppo spesso si legge nelle cronache nazionali, potrebbe approfittare di ogni concessione per reiterare pressioni e minacce, se non anche per vendicarsi della denuncia.
  Negli ultimi anni, l'attenzione al tema si è tradotta non solo in importanti novità legislative nell'ambito del nostro ordinamento interno, ma anche in una serie di interventi normativi in sede sovranazionale – sia nell'ambito dell'Unione europea che nell'ambito del Consiglio d'Europa – attraverso i quali si è posta crescente attenzione alla condizione delle vittime vulnerabili. Tra questi si annoverano la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2010, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e, soprattutto, la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, sottoscritta nel maggio 2011 e ratificata dal nostro Paese ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77.
  In tale contesto, e dopo anni di ampio dibattito nelle sedi istituzionali, il nostro Paese ha concretizzato la propria attenzione al tema approvando il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 199. In particolare, è di grande impatto l'articolo 2 del decreto-legge, contenente alcune importanti novità processuali e, in particolare, la previsione introdotta all'articolo 299 del codice di procedura penale relativa a specifici doveri di avviso in caso di richiesta di revoca o di sostituzione delle misure di cui agli articoli 282-bis e 282-ter del medesimo codice, relativi all'allontanamento dalla casa familiare e al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nel caso siano adottati provvedimenti di revoca o di sostituzione di tali misure.
  La revoca o la sostituzione delle anzidette misure, disposta ai sensi del citato articolo 299, dovrà, quindi, essere immediatamente comunicata al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio. Chiaro è l'intento di porre la persona offesa nelle condizioni di approntare le necessarie tutele in vista della possibilità o dell'attualità che i vincoli imposti all'imputato o all'indagato vengano meno e ciò in relazione ai possibili rischi che la ritrovata libertà consenta all'accusato di avvicinarsi alla vittima ed eventualmente di persistere nella sua condotta.
  Nel quadro della nostra legislazione nazionale, un ulteriore importante passo è stato compiuto con il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, recante «Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI», che ha apportato diverse modifiche al codice di procedura penale.
  In particolare, nella sua nuova formulazione, l'articolo 90-ter del codice di procedura penale sancisce il diritto delle «vittime di delitti commessi con violenza alla persona», qualora ne abbiano fatto richiesta, di essere informate immediatamente circa la scarcerazione o la cessazione della misura di sicurezza detentiva e tempestivamente circa l'evasione dell'imputato in custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell'internato alla misura di sicurezza detentiva.
  L'intento della norma è chiaro: la vittima deve essere informata della cessazione della carcerazione o della misura di sicurezza disposta nei confronti dell'autore del crimine violento.
  Nonostante il lodevole intento, però, dubbi interpretativi potrebbero sorgere in merito alla portata del termine «scarcerazione» che potrebbe creare problemi nella sua pratica applicazione. Non pare affatto pacifico, infatti, se il termine possa intendersi in senso ampio e, quindi, riferirsi a tutti i casi in cui si verifichi una modifica del regime detentivo che comporti l'uscita dell'autore del reato dallo stato custodiale, anche per brevi periodi, a seguito della concessione di misure alternative alla detenzione o di benefìci penitenziari, quali permessi-premio o licenze.
  La maggiore o minore estensione della portata interpretativa del termine incide in modo significativo, di conseguenza, sulla tutela riconosciuta alla vittima, che rischia di rimanere incompleta se non formalmente estesa anche alla fase esecutiva della pena. Ed è proprio in questa direzione che si pone la presente proposta di legge, con la previsione espressa che le nuove tutele processuali riconosciute alla vittima vengano estese anche «ai permessi di qualsiasi natura concessi dalla magistratura di sorveglianza durante l'esecuzione della pena».

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

  1. Il comma 1 dell'articolo 90-ter del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

   «1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 299, nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona sono immediatamente comunicati alla persona offesa che ne faccia richiesta, con l'ausilio della polizia giudiziaria, i provvedimenti di scarcerazione, compresi i permessi di qualsiasi natura concessi dalla magistratura di sorveglianza durante l'esecuzione della pena, e di cessazione della misura di sicurezza detentiva, ed è altresì data tempestiva notizia, con le stesse modalità, dell'evasione dell'imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell'internato all'esecuzione della misura di sicurezza detentiva, salvo che risulti, anche nell'ipotesi di cui all'articolo 299, il pericolo concreto di un danno per l'autore del reato».

Art. 2.

  1. Al terzo comma dell'articolo 30-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, le parole: «e all'interessato» sono sostituite dalle seguenti: «, all'interessato e al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nel caso di condannati per reati intenzionali violenti il provvedimento deve contenere il divieto di recarsi nei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa dal reato».