• C. 924 EPUB Disegno di legge presentato il 13 luglio 2018

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Atto a cui si riferisce:
C.924 [Decreto dignità] Conversione in legge del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese
approvato con il nuovo titolo
"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese"


FRONTESPIZIO

RELAZIONE

RELAZIONE TECNICA

ANALISI TECNICO-NORMATIVA

DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE
                        Articolo 1

DECRETO-LEGGE
                Capo I
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                Capo II
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                Capo III
                        Articolo 9
                Capo IV
                        Articolo 10
                        Articolo 11
                        Articolo 12
                Capo V
                        Articolo 13
                        Articolo 14
                        Articolo 15

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 924

DISEGNO DI LEGGE

presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(CONTE)

dal ministro dello sviluppo economico
e ministro del lavoro e delle politiche sociali

(DI MAIO)

e dal ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca
(BUSSETTI)

di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze
(TRIA)

Conversione in legge del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese

Presentato il 13 luglio 2018

  Onorevoli Deputati! — Il decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, che con il presente disegno di legge il Governo sottopone alle Camere per la conversione in legge, presenta con evidenza presupposti di necessità e urgenza determinati dall'esigenza di introdurre nell'ordinamento in tempi brevi nuove misure che pongano limiti alle attuali condizioni di criticità su temi urgenti e strategici.
  Per tali ragioni s'intende intervenire con nuove misure volte a limitare l'utilizzo di tipologie contrattuali che nel corso degli ultimi anni hanno condotto a un'eccessiva e allarmante precarizzazione, causata dall'abuso nell'impiego di forme contrattuali che dovrebbero rappresentare l'eccezione e non la regola.
  Parimenti in questi giorni numerose aziende hanno mostrato la volontà di delocalizzare le proprie produzioni in altri Stati, nonostante che il legislatore nazionale abbia offerto agevolazioni e strumenti finalizzati a rafforzare il tessuto produttivo nel nostro Paese. Si è ritenuto opportuno intervenire per arginare il fenomeno della delocalizzazione delle attività produttive, assicurando che le aziende destinatarie di incentivi e aiuti restituiscano quanto ricevuto nel caso di trasferimento degli stabilimenti.
  Nuove misure, inoltre, verranno assunte per arginare il fenomeno della ludopatia, limitando la pubblicità dei giochi e delle imprese promotrici, così da ridurre l'allarmante aumento dell'utilizzo di tali strumenti da parte di molte persone che oggi si ritrovano patologicamente dipendenti dal gioco con gravi conseguenze sulla loro vita.
  Saranno inoltre introdotte nuove misure idonee a semplificare gli strumenti di accertamento e di controllo tributario oggi previsti per professionisti e imprese, così da diminuire gli aggravi che negli ultimi anni sono stati introdotti al fine di ottenere maggiori riscossioni.
  Infine, per assicurare il regolare inizio dell'anno scolastico 2018/2019 e salvaguardare la continuità didattica nell'interesse degli alunni, si prevede anche per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'applicazione del maggiore termine di centoventi giorni dalla notifica per completare le procedure di esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali che caducheranno le decisioni poste alla base dei contratti di lavoro a favore dei docenti in possesso del titolo di diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002.
  Di seguito è illustrato in dettaglio il contenuto del decreto-legge.
  Il capo I contiene misure per il contrasto del precariato.
  L'articolo 1 (Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato) modifica il decreto legislativo n. 81 del 2015, al fine di limitare con maggiore efficacia l'utilizzo indiscriminato dei contratti a termine, oggi sempre più diffusi e spesso non corrispondenti a una reale necessità da parte del datore di lavoro.
  In particolare, si stabilisce che il termine apposto al contratto a tempo determinato non può essere superiore a ventiquattro mesi e che, qualora il contratto abbia durata superiore a dodici mesi, devono verificarsi le seguenti condizioni:

   a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività del datore di lavoro, nonché sostitutive di altri lavoratori;

   b) incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria e picchi di attività.

  Quanto alle proroghe del contratto (ossia allo slittamento in avanti del termine inizialmente posto al contratto), si dispone che il contratto può essere prorogato senza l'indicazione di una causale solo nell'ambito dei primi dodici mesi di durata. Si limita, inoltre, il numero delle proroghe dello stesso contratto dalle attuali cinque a quattro.
  In caso di rinnovo del contratto, il datore di lavoro deve indicare, nell'atto scritto contenente l'apposizione del termine, una delle specifiche condizioni elencate all'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2015 e sopra riportate; i contratti per attività stagionali possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza di tali condizioni.
  Si modifica altresì l'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2015, prevedendo l'allungamento del termine per l'impugnazione del contratto a tempo determinato, che passa da centoventi a centottanta giorni.
  Le disposizioni si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge, nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data.
  Le disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 3 del decreto-legge non si applicano ai contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, ai quali continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto medesimo.
  L'articolo 2 (Modifiche alla disciplina della somministrazione di lavoro) stabilisce che al lavoratore assunto a tempo determinato in base a contratto di somministrazione di lavoro si applica la disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, ad eccezione degli articoli 23, concernente il numero complessivo dei contratti a tempo determinato, e 24, relativo ai diritti di precedenza, del decreto legislativo n. 81 del 2015.
  L'articolo 3 (Indennità di licenziamento ingiustificato e incremento contribuzione contratto a tempo determinato) apporta modifiche al decreto legislativo n. 23 del 2015 allo scopo di aumentare l'indennità dovuta al lavoratore nel caso in cui il giudice accerti che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo o per giusta causa. Attualmente l'indennità è pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro mensilità e non superiore a ventiquattro mensilità. La disposizione in esame aumenta l'intervallo entro il quale il giudice può fissare l'indennità, determinandolo in misura compresa tra il minimo di sei mensilità e il massimo di trentasei mensilità.
  Per indirizzare i datori di lavoro verso l'utilizzo di forme contrattuali stabili, è aumentato di 0,5 punti percentuali il contributo addizionale – previsto dall'articolo 2, comma 28, della legge n. 92 del 2012 – per ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione. Il contributo, attualmente pari a 1,4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, è destinato a finanziare la Nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego (NASpI) ossia l'indennità mensile di disoccupazione avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito in favore dei lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.
  L'articolo 4 (Differimento del termine di esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali in tema di diplomati magistrali), al fine di assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2018/2019 e di salvaguardare la continuità didattica nell'interesse degli alunni, stabilisce che all'esecuzione delle decisioni giurisdizionali che comportano la decadenza dei contratti, a tempo determinato o indeterminato, stipulati, fino alla data di entrata in vigore del decreto-legge, presso le istituzioni scolastiche statali con i docenti in possesso del titolo di diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001-2002 si applica, anche a fronte dell'elevato numero dei destinatari delle predette decisioni, il termine di cui all'articolo 14, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30; pertanto, le predette decisioni debbono essere eseguite entro centoventi giorni decorrenti dalla data di comunicazione del provvedimento giurisdizionale al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  L'intervento assume carattere di necessità e di urgenza in considerazione del fatto che le pronunce di merito interverranno, presumibilmente, in prossimità dell'inizio dell'anno scolastico 2018/2019 e che la loro esecuzione necessita di operazioni tecniche complesse, che non potrebbero essere concluse in tempi utili per assicurare un ordinato avvio del predetto anno scolastico 2018/19. La concessione del termine di centoventi giorni per l'esecuzione delle sentenze garantirà alle scuole i tempi necessari per l'inserimento nelle graduatorie di istituto dei docenti destinatari di sentenze che non hanno avanzato in precedenza domanda di inserimento nella seconda fascia di istituto.
  La norma ha carattere ordinamentale poiché si limita a disciplinare le modalità di esecuzione delle sentenze che definiranno nel merito i ricorsi proposti dai docenti in possesso di diploma magistrale, prevedendo che l'articolo 14, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30 – che, come è noto, concede alle pubbliche amministrazioni statali e agli enti pubblici non economici il termine di centoventi giorni dalla notifica del titolo esecutivo per completare le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro – trovi applicazione anche con riferimento all'esecuzione, da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dei provvedimenti giurisdizionali che caducheranno le decisioni, sia cautelari che di merito, le quali avevano reso possibile la stipulazione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato.
  In particolare, rimangono immutati i limiti all'organico dei docenti, posti dall'articolo 1, comma 201, della legge n. 107 del 2015, nonché le vigenti facoltà assunzionali, che la medesima legge fissa in misura pari alla copertura di tutti i posti vacanti e disponibili, autorizzati per la relativa copertura; la norma non può comportare la stipulazione di contratti di lavoro in esubero rispetto all'organico, poiché su ciascun posto sarà comunque possibile la nomina di un solo docente.
  Il capo II contiene misure per il contrasto della delocalizzazione e la salvaguardia dei livelli occupazionali.
  L'articolo 5 (Limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti) reca disposizioni volte ad arginare il fenomeno della «delocalizzazione» delle attività economiche delle imprese, ossia lo spostamento di attività o di processi produttivi, o delle loro fasi, nel territorio di altri Stati per ottenere vantaggi competitivi, derivanti da un minor costo della manodopera e da una minore regolamentazione del mercato del lavoro, ovvero altri vantaggi, soprattutto in termini fiscali.
  Il fenomeno della delocalizzazione negli ultimi anni è aumentato: sempre più imprese, per lo più appartenenti a multinazionali o a gruppi industriali di rilevanti dimensioni in termini di fatturato e occupazione, nel contesto della globalizzazione dei mercati e di una sempre più ricercata divisione internazionale del lavoro connessa alla mobilità dei capitali, scelgono di delocalizzare le attività al di fuori del territorio nazionale, con gravi conseguenze per il Paese a causa della perdita di posti di lavoro e dell'indebolimento della competitività strutturale.
  La norma intende arginare il fenomeno, ponendo limiti efficaci alle imprese che abbiano ottenuto dallo Stato aiuti per impiantare, ampliare e sostenere le proprie attività economiche.
  A tal fine, la norma ridefinisce divieti e sanzioni che disposizioni vigenti hanno tentato di introdurre nell'ordinamento (si vedano in particolare i commi 60 e 61 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147), ma che hanno un ridotto ambito di applicazione e si sono rivelati scarsamente efficaci.
  Il comma 1 stabilisce, in particolare, che, fatti salvi i vincoli derivanti dai trattati internazionali, in caso di delocalizzazione dell'attività economica, o di una sua parte, da parte di un'impresa alla quale siano stati concessi aiuti di Stato per l'effettuazione di investimenti produttivi, l'impresa beneficiaria decade dal beneficio concesso ed è sottoposta, inoltre, a sanzioni pecuniarie, accertate e irrogate dall'amministrazione titolare della misura di aiuto in questione, di importo da due a quattro volte quello del beneficio fruito.
  Il vincolo si applica a qualunque delocalizzazione, effettuata in Stati non appartenenti all'Unione europea, ad eccezione degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo, e trova applicazione nei confronti di imprese beneficiarie di tutti gli aiuti di Stato agli investimenti, indipendentemente dalla forma sotto la quale sono concessi (contributo, finanziamento agevolato, garanzia, aiuti fiscali eccetera) e dalle modalità di erogazione (essendo riferibile anche alle agevolazioni cosiddette «automatiche» o «a sportello»).
  L'arco temporale di mantenimento obbligatorio delle attività economiche che hanno beneficiato del sostegno pubblico è pari a cinque anni.
  La norma inoltre trova applicazione indipendentemente dall'impatto sull'occupazione: sebbene la tutela di quest'ultima resti il principale fine, seppure indiretto, della norma, non è infatti prevista una misura minima di riduzione dell'occupazione quale presupposto per la comminatoria della decadenza e delle altre sanzioni.
  Così formulata, pertanto, la norma amplia l'ambito oggettivo di applicazione del vincolo rispetto alla disciplina vigente, riferita esclusivamente a imprese beneficiarie di contributi in conto capitale, oltre che condizionata nell'applicazione al verificarsi di una riduzione di personale pari almeno al 50 per cento.
  La norma introdotta, inoltre, aggrava le conseguenze della violazione del vincolo (circoscritte, nel comma 60 sopra citato, alla sola decadenza dai benefìci) e definisce in modo più articolato le modalità di attuazione delle nuove previsioni.
  Il comma 2 stabilisce che, fuori dei casi previsti dal comma 1 e fatti salvi i vincoli derivanti dalla normativa europea, le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale, che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che preveda la realizzazione di investimenti produttivi specificamente localizzati ai fini dell'attribuzione di un beneficio, decadono dal beneficio medesimo qualora l'attività economica interessata dallo stesso o una sua parte venga delocalizzata dal sito incentivato in favore di un'unità produttiva situata al di fuori dell'ambito territoriale del predetto sito, in ambito sia nazionale sia europeo, compresi gli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo, entro cinque anni dalla data di conclusione dell'iniziativa o del completamento dell'investimento agevolato.
  Stante la molteplicità delle tipologie di aiuti, il comma 3 assegna alle diverse amministrazioni che istituiscono e gestiscono le misure di aiuto il compito di individuare, con propri provvedimenti relativi alle misure di aiuto di rispettiva competenza, le modalità attraverso le quali verrà attuato il controllo del rispetto del vincolo nonché le modalità per la restituzione dei benefìci dovuta dalle imprese per effetto della decadenza disposta, unitamente agli interessi, calcolati al tasso di riferimento vigente all'atto dell'erogazione o della fruizione del beneficio, maggiorato di 5 punti percentuali.
  Il comma 4 definisce una regola intertemporale tenendo ferma l'applicazione della disciplina previgente ai benefìci già concessi o banditi nonché agli investimenti agevolati avviati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
  Il comma 5, attraverso il richiamo a disposizioni recate dal decreto legislativo n. 123 del 1998, istituisce il privilegio dello Stato sui crediti derivanti dalla restituzione dei benefìci e ne disciplina le modalità di recupero mediante iscrizione a ruolo. Per gli aiuti di Stato concessi da amministrazioni centrali dello Stato, gli importi restituiti affluiscono all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati nel medesimo importo all'amministrazione titolare della misura e vanno a incrementare le disponibilità finanziarie destinate all'attuazione della misura stessa.
  Il comma 6 chiarisce che, ai fini del decreto-legge, per «delocalizzazione» si intende il trasferimento di un'attività economica o di una sua parte dal sito produttivo incentivato ad altro sito, da parte della medesima impresa beneficiaria dell'aiuto o di altra impresa che con essa si trovi in rapporto di controllo o collegamento ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.
  Preme precisare che l'inclusione delle delocalizzazioni effettuate in altri Stati membri dell'Unione europea nell'ambito di applicazione della norma, motivata dalla constatazione che i processi di esternalizzazione assumono rilevanza e consistenza anche entro i confini del territorio europeo, costituisce una novità non solo nell'ordinamento nazionale ma, per alcuni aspetti, anche nell'ordinamento europeo. A quest'ultimo, tuttavia, non è estranea l'imposizione di vincoli, nella materia degli aiuti di Stato, legati ad obblighi di mantenimento di matrice analoga.
  In particolare, a prescindere dalle norme particolari in materia di utilizzo dei fondi strutturali e di investimento europei (che pure manifestano sfavore nei confronti dei processi di delocalizzazione attinenti a operazioni finanziate: si veda l'articolo 71, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1303/2013), quanto alla previsione di vincoli direttamente operanti nei confronti delle imprese beneficiarie possono rammentarsi le disposizioni contenute nel regolamento generale di esenzione (regolamento (UE) n. 651/2014 del 17 giugno 2014). Quest'ultimo, con riferimento agli «aiuti a finalità regionale agli investimenti», stabilisce un obbligo di mantenimento dell'investimento nel territorio per un periodo (minimo) di tre anni per le piccole e medie imprese e di cinque anni per le grandi imprese (articolo 14, paragrafo 5, ai sensi del quale: «Una volta completato, l'investimento è mantenuto nella zona beneficiaria per almeno cinque anni o per almeno tre anni nel caso delle PMI [...]»).
  In sede di modifica della disciplina degli aiuti in esenzione, inoltre, la Commissione europea ha introdotto disposizioni specifiche per i processi di delocalizzazione operati nell'ambito dello Spazio economico europeo (SEE). Il regolamento (UE) 2017/1084 del 14 giugno 2017, modificando il predetto regolamento (UE) n. 651/2014, ha infatti introdotto, a carico dell'impresa che presenti domanda di aiuti a finalità regionale agli investimenti, l'obbligo di confermare di non avere effettuato una delocalizzazione verso lo stabilimento finanziato nei due anni precedenti nonché l'obbligo di impegnarsi a non effettuare una delocalizzazione nei due anni successivi al completamento dell'investimento (articolo 14, paragrafo 16, del regolamento di esenzione modificato). La delocalizzazione è definita in tale contesto come «trasferimento della stessa attività o attività analoga o di una loro parte da uno stabilimento situato in una parte contraente dell'accordo SEE [...] verso un'altra parte contraente dell'accordo SEE in cui viene effettuato l'investimento sovvenzionato [...]» (articolo 2, punto 61-bis, del regolamento di esenzione modificato). In tal modo la delocalizzazione è configurata sostanzialmente come condizione ostativa ai fini dell'accesso all'aiuto, nell'intento di contrastare il fenomeno della «caccia alla sovvenzione» e di scongiurare il rischio che la politica di coesione europea contribuisca a incentivare la delocalizzazione produttiva delle imprese, determinando una distorsione collaterale e involontaria della concorrenza.
  La norma che si va a introdurre presenta elementi di novità rispetto a entrambi i citati vincoli, senza peraltro contrastare con gli stessi, ma piuttosto completandoli: le norme europee richiamate, infatti, trovano applicazione con riferimento ad una specifica tipologia di aiuti di Stato (aiuti in esenzione dalla notifica a finalità regionale dati agli investimenti), mentre la nuova norma intende introdurre un regime di portata generale applicabile a tutti gli aiuti di Stato diretti a sostenere gli investimenti produttivi, pur facendo salve le disposizioni speciali dettate dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato. Sotto questo aspetto, se i limiti posti dall'articolo 14, paragrafo 16, del regolamento (UE) n. 651/2014 alla delocalizzazione si pongono in una fase diversa (la concessione) e mirano, come chiarito, ad un utilizzo corretto e proprio delle politiche di coesione territoriale, non si determinano margini di sovrapposizione con la norma nazionale, che semmai si pone in rapporto di continuità con i limiti europei. Quanto all'obbligo di mantenimento di cui all'articolo 14, paragrafo 5, esso ha contenuto in parte diverso, riferendosi a tutte le forme di distoglimento dei beni, comprese quelle che non integrano una delocalizzazione delle attività ovvero non comportano una delocalizzazione al di fuori dello Stato. Dette fattispecie, in virtù della clausola di salvezza, continueranno ad essere disciplinate dalla precitata norma del regolamento di esenzione, mentre i processi di delocalizzazione, qualora comportino il trasferimento di attività al di fuori del territorio nazionale, saranno soggetti alla disciplina di cui al presente articolo. Né l'estensione temporale del vincolo a cinque anni per le piccole e medie imprese è in contrasto con la norma europea, che definisce, come visto, un termine solo «minimo» di mantenimento («almeno» tre anni per le piccole e medie imprese).
  Può osservarsi, altresì, che la normativa europea detta una disciplina puntuale delle restrizioni territoriali che determinano situazioni di incompatibilità con i trattati. In questo senso, eventuali limiti alla delocalizzazione non figurano tra le condizioni che, comportando una «violazione indissociabile del diritto dell'Unione europea», precludono la possibilità di concedere aiuti in esenzione ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 5, del regolamento (UE) n. 651/2014.
  Chiariti i rapporti tra le diverse norme, va rilevato come la stessa disciplina europea ammetta vincoli alle imprese nella materia degli aiuti di Stato, sul presupposto logico e giuridico che essi costituiscono in senso proprio «oneri» al fine di beneficiare del sussidio pubblico e non quindi «obblighi» che comprimono ingiustificatamente la libertà di impresa nelle sue varie espressioni.
  Ben può, quindi, lo Stato membro adottare disposizioni anche più restrittive rispetto alle norme europee o condizioni particolari che, peraltro, nel caso di specie appaiono del tutto coerenti con l'attenzione manifestata dalla stessa Unione europea, in sede di disciplina come di dibattito nei diversi consessi istituzionali.
  L'articolo 6 (Tutela dell'occupazione nelle imprese beneficiarie di aiuti) è diretto a preservare il mantenimento dei livelli occupazionali presso le imprese che abbiano beneficiato di aiuti di Stato.
  A tal fine, è previsto l'obbligo di mantenere il personale impiegato ovvero gli addetti all'attività economica interessata dalle agevolazioni presso l'unità produttiva agevolata per un periodo pari ad almeno cinque anni.
  In particolare, qualora un'impresa italiana o estera, operante nel territorio nazionale, che beneficia di misure di aiuto di Stato le quali prevedono la valutazione dell'impatto occupazionale, fuori dei casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo, riduca i livelli occupazionali degli addetti all'unità produttiva o all'attività interessata dal beneficio nei cinque anni successivi alla data di completamento dell'investimento, decade dal beneficio qualora la riduzione di tali livelli sia superiore al 10 per cento; la decadenza dal beneficio è disposta in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è comunque totale in caso di riduzione superiore al 50 per cento.
  Per la restituzione dei benefìci si applicano le disposizioni dell'articolo 5, commi 3 e 5.
  Le disposizioni del presente articolo si applicano ai benefìci concessi o banditi nonché agli investimenti agevolati avviati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
  La norma in esame fa della tutela dell'occupazione un obiettivo generale della politica di sostegno alle imprese mediante pubbliche sovvenzioni.
  La norma non comporta nuovi oneri per il bilancio dello Stato, in quanto essa verrà attuata da ciascuna amministrazione pubblica che gestisce la misura di aiuto interessata con le risorse umane e strumentali già dedicate alla misura stessa.
  L'articolo 7 (Recupero del beneficio dell'iper ammortamento in caso di cessione o delocalizzazione degli investimenti) subordina l'applicazione dei benefìci dell'iper-ammortamento alla circostanza che il processo di trasformazione tecnologica e digitale delle imprese riguardi strutture produttive situate nel territorio nazionale, di cui all'articolo 6, comma 1.
  La misura mira a favorire gli investimenti produttivi localizzati in ambito nazionale, ma la platea dei beneficiari non risulta a priori circoscritta, in quanto qualsivoglia impresa nazionale, europea o anche estera può beneficiare dell'agevolazione, purché si tratti di impresa residente ovvero dotata di stabile organizzazione, in coerenza con la normativa che disciplina l'iper-ammortamento, previsto per ogni impresa che intenda investire e creare occupazione in Italia.
  La misura non ha inoltre carattere selettivo, cosicché non determina profili di contrasto con la disciplina in materia di aiuti di Stato; trattandosi, infatti, di una misura di fiscalità generale, essa non è qualificabile come aiuto di Stato, poiché secondo la Corte di giustizia dell'Unione europea esso ricorre solo quando una misura fiscale rivesta il carattere della «settorialità» o «selettività». Va aggiunto che la stessa opera in continuità con gli interventi previsti dal decreto-legge n. 91 del 2014, che, all'articolo 18, ha già previsto un credito d'imposta per investimenti in beni strumentali nuovi esplicitamente «destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato».
  Il comma 2 introduce nella disciplina dell'iper-ammortamento un meccanismo di ricupero delle agevolazioni concesse per i casi in cui, nel corso della fruizione del beneficio, i beni agevolati formino oggetto di cessione a titolo oneroso o di delocalizzazione. La norma stabilisce che, in caso di cessione a titolo oneroso o di delocalizzazione all'estero dei beni per i quali l'impresa ha fruito dell'agevolazione, essa è tenuta a restituire, attraverso una variazione in aumento del reddito imponibile, i benefìci fiscali applicati nei periodi d'imposta precedenti.
  In ragione del carattere innovativo della previsione, il comma 3 stabilisce che le disposizioni dell'articolo si applicano agli investimenti effettuati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
  Il comma 4 provvede al coordinamento delle nuove disposizioni con la disciplina dei cosiddetti «investimenti sostitutivi» introdotta dai commi 35 e 36 dell'articolo 1 della legge n. 205 del 2017, nel senso che l'applicazione di tale disciplina impedisce che scatti il meccanismo di ricupero; il coordinamento viene completato con l'estensione della disciplina degli investimenti sostitutivi al caso della delocalizzazione.
  Trattandosi di previsioni finalizzate all'eventuale recupero dei benefìci concessi o, nel caso del comma 4, al mantenimento dei benefìci già riconosciuti, l'articolo in esame non comporta lo stanziamento di risorse finanziarie aggiuntive; tuttavia, per evidenti esigenze di prudenza, non si ritiene opportuno al contempo fare valutazioni circa l'eventuale recupero di somme.
  L'articolo 8 (Applicazione del credito d'imposta ricerca e sviluppo ai costi di acquisto da fonti esterne dei beni immateriali) intende meglio disciplinare il trattamento, agli effetti del credito d'imposta per gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo, dei costi di acquisto da fonti esterne dei diritti di privativa industriale e degli altri beni immateriali previsti tra i costi ammissibili. A questo riguardo, viene espressamente stabilito che i costi in questione non assumono rilevanza se l'acquisto deriva da operazioni intragruppo.
  Pur trattandosi di una modifica che non interferisce con la determinazione dell'imponibile e dell'imposta di periodo, il comma 2 dell'articolo, nel fissarne l'applicazione a decorrere dalla data di inizio del periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge (coincidente nella generalità dei casi con il 2018), prevede espressamente la deroga all'articolo 3 della legge n. 212 del 2000.
  Con il comma 3 viene confermato che in ogni caso – vale a dire a prescindere dalla circostanza che l'operazione di acquisto sia intercorsa con parti indipendenti o, fino al 2017, anche con altre imprese del gruppo – l'ammissibilità dei costi in questione è pur sempre subordinata alla condizione che i beni immateriali siano direttamente ed esclusivamente utilizzati per lo svolgimento di nuovi progetti di ricerca e sviluppo da parte dell'impresa acquirente.
  La norma, introducendo condizioni più restrittive in ordine all'ammissibilità dei costi, non comporta lo stanziamento di risorse aggiuntive.
  Il capo III contiene misure per il contrasto della ludopatia.
  L'articolo 9 (Divieto di pubblicità giochi e scommesse) impone il divieto della pubblicità di giochi o scommesse con vincite in denaro, in considerazione delle rilevanti dimensioni che tale pratica ha assunto nel nostro Paese con conseguente aumento del rischio, soprattutto per i soggetti più vulnerabili, di incorrere in una dipendenza socio-economica con veri e propri effetti patologici, che si riflettono sul soggetto con gravi disagi per la persona, della quale vengono compromessi l'equilibrio familiare, lavorativo e finanziario, anche perché in queste situazioni spesso aumenta il rischio di esposizione all'indebitamento e il ricorso a prestiti usurari.
  La norma integra le misure di prevenzione per contrastare la ludopatia attualmente vigenti e, in particolare, le disposizioni previste dal decreto-legge n. 158 del 2012 (articolo 7, commi 4 e 5) e quelle recate dall'articolo 1, commi da 937 a 940, della legge n. 208 del 2015 (cosiddetto «pacchetto giochi»), che pertanto vengono fatte salve.
  La disposizione stabilisce, al comma 1, il divieto, dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, di qualsiasi forma di pubblicità relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo, comprese le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e la rete internet. Il divieto si applica anche alle sponsorizzazioni e a tutte le forme di comunicazione di contenuto promozionale non annoverabili fra i consueti messaggi di pubblicità tabellare e comprende le citazioni visive e acustiche e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli, attività o prodotti del soggetto che promuove il gioco d'azzardo o la scommessa. Sono escluse dal divieto le lotterie nazionali a estrazione differita, le manifestazioni di sorte locali consentite ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 2001, n. 430 (articolo 13) e i loghi sul gioco sicuro e responsabile dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
  Ai commi 2 e 3 sono stabilite le misure sanzionatorie ed è determinata l'autorità competente ad effettuare l'accertamento e l'irrogazione delle stesse. Quanto alle sanzioni, è prevista l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria determinata nella misura del 5 per cento del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, a euro 50.000 a carico del committente, del proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione e dell'organizzatore della manifestazione, evento o attività. Detta misura sanzionatoria si applicherà de futuro a tutte le violazioni delle disposizioni recate dal comma 1. Viene tuttavia fatto salvo quanto già previsto dall'articolo 7, comma 6, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (cosiddetto «decreto Balduzzi»), che in materia di divieto di pubblicità del gioco d'azzardo nel corso di trasmissioni televisive o radiofoniche e di rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte ai minori prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 100.000 a 500.000 euro.
  Il comma 4 stabilisce una specifica destinazione dei proventi derivanti dall'irrogazione delle sanzioni.
  La norma mira quindi a tutelare più efficacemente il consumatore da un tipo di pubblicità sempre più pervasiva e si pone in linea di continuità con le analoghe disposizioni che vietano (ormai da tempo) la pubblicità dei prodotti da fumo (legge 10 aprile 1962, n. 65), con le misure preventive per contrastare la ludopatia, limitate però ai minori, previste dal decreto-legge n. 158 del 2012 (in particolare l'articolo 7, commi 4 e 5), con quelle recate dall'articolo 1, commi da 937 a 940, della legge n. 208 del 2015 (cosiddetto «pacchetto giochi») e con il divieto di pubblicità di cui all'articolo 4, comma 2, della legge 13 dicembre 1989, n. 401.
  A livello dell'Unione europea non c'è una normativa specifica sul gioco d'azzardo. Vi è però una risoluzione del Parlamento europeo del 10 settembre 2013 sul gioco d'azzardo online nel mercato interno, in cui si sottolinea, da un lato, che i fornitori di gioco d'azzardo per via telematica devono in ogni caso rispettare la legislazione nazionale degli Stati membri in cui operano e, dall'altro, che è opportuno che gli Stati membri conservino il diritto di imporre le restrizioni che ritengono necessarie e giustificate per contrastare il gioco d'azzardo telematico illegale. Nel 2014 la Commissione europea ha emanato una raccomandazione concernente princìpi intesi a tutelare efficacemente i consumatori con riferimento al gioco d'azzardo effettuato con mezzi telematici.
  Il comma 5 prevede una disposizione transitoria volta a fare salvi i contratti di pubblicità in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del decreto-legge, ai quali resta applicabile, comunque non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo o fino al relativo termine di scadenza se anteriore, la normativa vigente anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
  Il comma 6 dispone l'aumento del prelievo erariale unico sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, al fine di reperire le risorse per far fronte alla diminuzione di gettito derivante dall'introduzione del divieto di pubblicità e dalle modifiche apportate dall'articolo 12.
  Il comma 7 quantifica gli oneri della misura contenuta nell'articolo.
  Il capo IV contiene misure in materia di semplificazione fiscale.
  L'articolo 10 (Disposizioni in materia di redditometro) reca disposizioni finalizzate a revisionare l'istituto del redditometro a fini di specifico contrasto dell'economia sommersa.
  La norma intende aggiornare lo strumento di accertamento del reddito delle persone fisiche previsto dall'articolo 38, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (cosiddetto «redditometro»), riorientandolo maggiormente al contrasto dell'evasione fiscale derivante dall'economia non osservata.
  La norma vigente prevede che, salva la prova contraria da parte del contribuente, la determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche può essere fondata anche sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l'analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza.
  Gli elementi indicativi di capacità contributiva sono individuati con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale. Il decreto ministeriale attualmente vigente è stato emanato il 16 settembre 2015.
  Il comma 1 della norma qui illustrata prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze possa emanare il decreto che individua gli elementi indicativi di capacità contributiva dopo aver sentito l'Istituto nazionale di statistica e le associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori per gli aspetti riguardanti il metodo di ricostruzione induttiva del reddito complessivo in base alla capacità di spesa e alla propensione al risparmio dei contribuenti.
  Il comma 2 dispone che il decreto ministeriale del 16 settembre 2015, attualmente vigente, non ha più effetto per i controlli ancora da eseguire sulle dichiarazioni relative all'anno d'imposta 2016 e ai successivi.
  Il comma 3 fa salvi gli inviti a fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento e gli atti previsti dall'articolo 38, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per gli anni d'imposta fino al 31 dicembre 2015.
  In ogni caso, l'articolo in esame non si applica agli atti già notificati né si fa luogo al rimborso delle somme già pagate.
  L'articolo 11 (Disposizioni in materia di invio dei dati delle fatture emesse e ricevute) introduce disposizioni in materia di invio dei dati di fatturazione (cosiddetto «spesometro»). Al riguardo si rappresenta che l'articolo 21, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010 prevede, come regola generale, che i contribuenti trasmettono telematicamente all'Agenzia delle entrate i dati di tutte le fatture emesse e di quelle ricevute e registrate entro l'ultimo giorno del secondo mese successivo ad ogni trimestre.
  A sua volta, l'articolo 1-ter del decreto-legge n. 148 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 172 del 2017, prevede che, in relazione alle comunicazioni di cui all'articolo 21, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010, è in facoltà dei contribuenti trasmettere i dati con cadenza semestrale.
  Con specifico riferimento alle comunicazioni dei predetti dati relativamente al terzo trimestre del 2018, il comma 1 dell'articolo in esame interviene prevedendo che gli stessi possono essere trasmessi telematicamente all'Agenzia delle entrate entro il 28 febbraio 2019, anziché entro il secondo mese successivo al trimestre.
  Il comma 2 chiarisce che, per coloro che optino per l'invio con cadenza semestrale, i termini sono fissati rispettivamente al 30 settembre del medesimo anno per il primo semestre e al 28 febbraio dell'anno successivo per il secondo semestre.
  L'articolo 12 (Split payment) prevede l'abolizione del cosiddetto «split payment» per le prestazioni di servizi rese alle pubbliche amministrazioni i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta o a titolo di acconto ai sensi dell'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
  In particolare viene specificato che l'esclusione dalla disciplina dello split payment riguarda i compensi assoggettabili alla ritenuta alla fonte sul reddito, non solo a titolo di imposta ma anche a titolo di acconto, coerentemente con l'interpretazione data dall'Agenzia delle entrate al comma 2 dell'articolo 17-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (circolare 15/E del 2015).
  Le disposizioni dell'articolo qui illustrato si applicano alle operazioni per le quali è emessa fattura successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
  Agli oneri, stimati in 35 milioni di euro per l'anno 2018, 70 milioni di euro per l'anno 2019 e 35 milioni di euro per l'anno 2020, si fa fronte con le coperture finanziarie indicate nel comma 3.
  Il capo V contiene le disposizioni finali e di coordinamento.
  L'articolo 13 (Società sportive dilettantistiche) prevede l'abrogazione dei commi 353, 354, 355, 358, 359 e 360 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, relativi alla disciplina delle associazioni sportive dilettantistiche e al regime del relativo rapporto di lavoro.
  La legge 27 dicembre 2017, n. 205 (articolo 1, commi 353 e seguenti), ha introdotto la possibilità di esercitare le attività sportive dilettantistiche anche con scopo di lucro, prevedendo l'utilizzo della forma societaria. Lo scopo originariamente perseguito dalla norma è stato quello di superare la distinzione tra sport dilettantistico e professionistico, fondata sulla non lucratività del primo. Lo strumento utilizzato è stato quello di legittimare l'utilizzo della forma societaria, sia nella forma delle società di persone sia in quella delle società di capitali, con un regime fiscale di favore tanto sul fronte delle imposte dirette quanto su quello delle indirette.
  Ciò nonostante, la suddetta innovazione ha determinato non marginali criticità, innestando strumenti e logiche imprenditoriali nell'ambito di un settore caratterizzato da indiscutibili peculiarità, tanto è vero che si è dubitato se le richiamate società potessero svolgere soltanto attività sportive dilettantistiche o anche attività diverse e, in quest'ultima ipotesi, se le seconde dovessero risultare connesse, strumentali o secondarie rispetto alle prime. Si tratta di aspetti critici che hanno finora impedito che il disegno di riforma avesse pratica attuazione.
  Parallelamente, l'entrata in vigore della riforma del «terzo settore» (decreto legislativo n. 117 del 2017) e dell'impresa sociale (decreto legislativo n. 112 del 2017) ha indotto ad una rimeditazione della tematica, in ragione della possibilità, per gli enti ivi contemplati, di organizzare o gestire anche attività sportive dilettantistiche.
  A ciò va aggiunto che le norme riguardanti le società dilettantistiche lucrative sono state affiancate da disposizioni agevolative, che hanno introdotto vantaggi eccessivamente selettivi e poco coordinati con il resto del sistema, in primis il dimezzamento dell'imposta sul reddito delle società (su utili di cui l'impresa può disporre liberamente) e la parziale decontribuzione previdenziale; dal punto di vista giuslavoristico, poi, la possibilità di beneficiare dell'utilizzo di collaborazioni coordinate e continuative rappresentava un'ulteriore incongruenza del sistema.
  Con il presente intervento si abrogano pertanto le disposizioni dei commi 353, 354, 355, 358, 359 e 360 dell'articolo 1 della citata legge n. 205 del 2017.
  In particolare, con l'abrogazione del comma 353, ai sensi del quale «le attività sportive dilettantistiche possono essere esercitate con scopo di lucro in una delle forme societarie di cui al titolo V del libro quinto del codice civile», si torna al previgente regime, caratterizzato dal divieto di lucro soggettivo, che disciplinava tanto le associazioni sportive dilettantistiche quanto le società sportive dilettantistiche.
  Le forme giuridiche utilizzabili rimangono pertanto:

   a) l'associazione sportiva priva di personalità giuridica, disciplinata dagli articoli 36 e seguenti del codice civile;

   b) l'associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361;

   c) la società sportiva di capitali o cooperativa, costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro.

  Eliminata la possibilità di istituire società sportive dilettantistiche di tipo lucrativo, vengono conseguentemente abrogate le disposizioni che ne avevano disciplinato lo statuto (comma 354) il regime fiscale agevolato (comma 355), i rapporti giuslavoristici (comma 358), la consequenziale qualificazione dei redditi (comma 359) e la disciplina previdenziale (comma 360).
  In deroga all'articolo 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l'abrogazione del comma 355 ha effetto a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge: in assenza di tale previsione normativa, infatti, gli effetti della abrogazione del comma 355 decorrerebbero – ai sensi del comma 1 dell'articolo 3 della legge n. 212 del 2000 – trattandosi di tributi periodici, solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni in esame.
  I commi 2, 3 e 4 apportano le conseguenti, necessarie modifiche di coordinamento normativo in relazione alla revisione della disciplina recata dalla predetta legge n. 205 del 2017.
  Il comma 5 prevede l'istituzione di un fondo per interventi in favore delle società sportive dilettantistiche, cui vengono destinati i risparmi di spesa conseguenti all'introduzione della norma.
  L'urgenza della misura deriva dalla necessità di procedere all'abrogazione delle pregresse disposizioni prima che ne siano adottati gli atti applicativi, che condizionano l'effettiva utilizzabilità del nuovo modello di società sportiva dilettantistica di carattere lucrativo.
  Inoltre, la norma permette di escludere il ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative in un ambito prettamente lucrativo, in coerenza con la ratio che sta a fondamento del decreto-legge qui illustrato.
  Va aggiunto che la norma risulta omogenea con la disposizione sulla lotta contro le ludopatie che interessano il settore delle scommesse sportive.
  L'articolo 14 prevede la copertura finanziaria del provvedimento.
  L'articolo 15 disciplina l'entrata in vigore del decreto-legge.

ANALISI TECNICO-NORMATIVA

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DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

  1. È convertito in legge il decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.
  2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 161 del 13 luglio 2018.

Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

  Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

  Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di attivare con immediatezza misure a tutela della dignità dei lavoratori e delle imprese, introducendo disposizioni per contrastare fenomeni di crescente precarizzazione in ambito lavorativo, mediante interventi sulle tipologie contrattuali e sui processi di delocalizzazione, a salvaguardia dei livelli occupazionali ed operando semplificazioni fiscali per professionisti e imprese;

  Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di introdurre strumenti volti a consentire un efficace contrasto alla ludopatia;

  Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di adottare misure ai fini del regolare inizio dell'anno scolastico 2018/2019;

  Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 2 luglio 2018;

  Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali e dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;

e m a n a

il seguente decreto-legge:

Capo I
MISURE PER IL CONTRASTO AL PRECARIATO

Articolo 1.
(Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato).

  1. Al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) all'articolo 19:

    1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

   «1. Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

   a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori;

   b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria.»;

    2) al comma 2, primo e terzo periodo, la parola «trentasei» è sostituita dalla seguente: «ventiquattro»;

    3) il comma 4 è sostituito dal seguente:

   «4. Con l'eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici giorni, l'apposizione del termine al contratto è priva di effetto se non risulta da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione. L'atto scritto contiene, in caso di rinnovo, la specificazione delle esigenze di cui al comma 1 in base alle quali è stipulato; in caso di proroga dello stesso rapporto tale indicazione è necessaria solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi.»;

   b) all'articolo 21:

    1) prima del comma 1, è inserito il seguente:

   «01. Il contratto può essere rinnovato solo a fronte delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1. Il contratto può essere prorogato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1. I contratti per attività stagionali, di cui al comma 2, possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1.»;

    2) al comma 1, la parola «trentasei», ovunque ricorra, è sostituita dalla seguente: «ventiquattro», la parola «cinque» è sostituita dalla seguente: «quattro» e la parola «sesta» è sostituita dalla seguente: «quinta»;

   c) all'articolo 28, comma 1, le parole «centoventi giorni» sono sostituite dalle seguenti: «centottanta giorni».

  2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data.
  3. Le disposizioni di cui al presente articolo, nonché quelle di cui agli articoli 2 e 3, non si applicano ai contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni, ai quali continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Articolo 2.
(Modifiche alla disciplina della somministrazione di lavoro).

  1. All'articolo 34, comma 2, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, il primo periodo è sostituito dal seguente: «In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 23 e 24.».

Articolo 3.
(Indennità di licenziamento ingiustificato e incremento contribuzione contratto a tempo determinato).

  1. All'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, le parole «non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità» sono sostituite dalle seguenti: «non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità».
  2. Il contributo di cui all'articolo 2, comma 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92, è aumentato di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.

Articolo 4.
(Differimento del termine di esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali in tema di diplomati magistrali).

  1. Al fine di assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2018/2019 e di salvaguardare la continuità didattica nell'interesse degli alunni, all'esecuzione delle decisioni giurisdizionali che comportano la decadenza dei contratti, a tempo determinato o indeterminato, stipulati, fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, presso le istituzioni scolastiche statali, con i docenti in possesso del titolo di diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001-2002, si applica, anche a fronte dell'elevato numero dei destinatari delle predette decisioni, il termine di cui all'articolo 14, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30; conseguentemente, le predette decisioni sono eseguite entro 120 giorni decorrenti dalla data di comunicazione del provvedimento giurisdizionale al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

Capo II
MISURE PER IL CONTRASTO ALLA DELOCALIZZAZIONE E LA SALVAGUARDIA DEI LIVELLI OCCUPAZIONALI

Articolo 5.
(Limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti).

  1. Fatti salvi i vincoli derivanti dai trattati internazionali, le imprese italiane ed estere, operanti nel territorio nazionale, che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l'effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell'attribuzione del beneficio, decadono dal beneficio medesimo qualora l'attività economica interessata dallo stesso o una sua parte venga delocalizzata in Stati non appartenenti all'Unione europea, ad eccezione degli Stati aderenti allo Spazio economico europeo, entro cinque anni dalla data di conclusione dell'iniziativa agevolata. In caso di decadenza, l'amministrazione titolare della misura di aiuto, anche se priva di articolazioni periferiche, accerta e irroga, secondo quanto previsto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'aiuto fruito.
  2. Fuori dai casi previsti dal comma 1 e fatti salvi i vincoli derivanti dalla normativa europea, le imprese italiane ed estere, operanti nel territorio nazionale, che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l'effettuazione di investimenti produttivi specificamente localizzati ai fini dell'attribuzione di un beneficio, decadono dal beneficio medesimo qualora l'attività economica interessata dallo stesso o una sua parte venga delocalizzata dal sito incentivato in favore di unità produttiva situata al di fuori dell'ambito territoriale del predetto sito, in ambito nazionale, dell'Unione europea e degli Stati aderenti allo Spazio economico Eeropeo, entro cinque anni dalla data di conclusione dell'iniziativa o del completamento dell'investimento agevolato.
  3. I tempi e le modalità per il controllo del rispetto del vincolo di cui ai commi 1 e 2, nonché per la restituzione dei benefìci fruiti in caso di accertamento della decadenza, sono definiti da ciascuna amministrazione con propri provvedimenti volti a disciplinare i bandi e i contratti relativi alle misure di aiuto di propria competenza. L'importo del beneficio da restituire per effetto della decadenza è, comunque, maggiorato di un tasso di interesse pari al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell'aiuto, maggiorato di cinque punti percentuali.
  4. Per i benefìci già concessi o banditi, nonché per gli investimenti agevolati già avviati, anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, resta ferma l'applicazione della disciplina vigente anteriormente alla medesima data, inclusa, nei casi ivi previsti, quella di cui all'articolo 1, comma 60, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
  5. Si applica l'articolo 9, comma 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123. Per gli aiuti di Stato concessi da Amministrazioni centrali dello Stato, gli importi restituiti ai sensi del presente articolo affluiscono all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati, nel medesimo importo, all'amministrazione titolare della misura e vanno a incrementare le disponibilità della misura stessa.
  6. Ai fini del presente decreto, per delocalizzazione si intende il trasferimento di attività economica o di una sua parte dal sito produttivo incentivato ad altro sito, da parte della medesima impresa beneficiaria dell'aiuto o di altra impresa con la quale vi sia rapporto di controllo o collegamento ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.

Articolo 6.
(Tutela dell'occupazione nelle imprese beneficiarie di aiuti).

  1. Qualora una impresa italiana o estera, operante nel territorio nazionale, che beneficia di misure di aiuto di Stato che prevedono la valutazione dell'impatto occupazionale, fuori dei casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo, riduca i livelli occupazionali degli addetti all'unità produttiva o all'attività interessata dal beneficio nei cinque anni successivi alla data di completamento dell'investimento, decade dal beneficio in presenza di una riduzione di tali livelli superiore al 10 per cento; la decadenza dal beneficio è disposta in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è comunque totale in caso di riduzione superiore al 50 per cento.
  2. Per le restituzioni dei benefìci si applicano le disposizioni di cui all'articolo 5, commi 3 e 5.
  3. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai benefìci concessi o banditi, nonché agli investimenti agevolati avviati, successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Articolo 7.
(Recupero del beneficio dell'iper ammortamento in caso di cessione o delocalizzazione degli investimenti).

  1. L'iper ammortamento di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, spetta a condizione che i beni agevolabili siano destinati a strutture produttive situate nel territorio nazionale di cui all'articolo 6, comma 1.
  2. Se nel corso del periodo di fruizione della maggiorazione del costo i beni agevolati vengono ceduti a titolo oneroso o destinati a strutture produttive situate all'estero, anche se appartenenti alla stessa impresa, si procede al recupero dell'iper ammortamento di cui al comma 1. Il recupero avviene attraverso una variazione in aumento del reddito imponibile del periodo d'imposta in cui si verifica la cessione a titolo oneroso o la delocalizzazione degli investimenti agevolati per un importo pari alle maggiorazioni delle quote di ammortamento complessivamente dedotte nei precedenti periodi d'imposta, senza applicazione di sanzioni e interessi.
  3. Le disposizioni del presente articolo si applicano agli investimenti effettuati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
  4. Le disposizioni del comma 2 non si applicano agli interventi sostitutivi effettuati ai sensi dell'articolo 1, commi 35 e 36, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, le cui previsioni si applicano anche in caso di delocalizzazione dei beni agevolati.

Articolo 8.
(Applicazione del credito d'imposta ricerca e sviluppo ai costi di acquisto da fonti esterne dei beni immateriali).

  1. Agli effetti della disciplina del credito d'imposta per gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo, di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, non si considerano ammissibili i costi sostenuti per l'acquisto, anche in licenza d'uso, dei beni immateriali di cui al comma 6, lettera d), del predetto articolo 3, derivanti da operazioni intercorse con imprese appartenenti al medesimo gruppo. Si considerano appartenenti al medesimo gruppo le imprese controllate da un medesimo soggetto, controllanti o collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile inclusi i soggetti diversi dalle società di capitali; per le persone fisiche si tiene conto anche di partecipazioni, titoli o diritti posseduti dai familiari dell'imprenditore, individuati ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, n. 917.
  2. In deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la disposizione del comma 1 si applica a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, anche in relazione al calcolo dei costi ammissibili imputabili ai periodi d'imposta rilevanti per la determinazione della media di raffronto. Per gli acquisti derivanti da operazioni infragruppo intervenute nel corso dei periodi d'imposta precedenti a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, resta comunque ferma l'esclusione dai costi ammissibili della parte del costo di acquisto corrispondente ai costi già attributi in precedenza all'impresa italiana in ragione della partecipazione ai progetti di ricerca e sviluppo relativi ai beni oggetto di acquisto.
  3. Resta comunque ferma la condizione secondo cui, agli effetti della disciplina del credito d'imposta, i costi sostenuti per l'acquisto, anche in licenza d'uso, dei suddetti beni immateriali, assumono rilevanza solo se i suddetti beni siano utilizzati direttamente ed esclusivamente nello svolgimento di attività di ricerca e sviluppo considerate ammissibili al beneficio.

Capo III
MISURE PER IL CONTRASTO ALLA LUDOPATIA

Articolo 9.
(Divieto di pubblicità giochi e scommesse).

  1. Ai fini del rafforzamento della tutela del consumatore e per un più efficace contrasto alla ludopatia, fermo restando quanto previsto dall'articolo 7, commi 4 e 5, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, e dall'articolo 1, commi da 937 a 940, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto è vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e internet. Dal 1° gennaio 2019 il divieto di cui al presente comma si applica anche alle sponsorizzazioni di eventi, attività, manifestazioni, programmi, prodotti o servizi e a tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale, comprese le citazioni visive e acustiche e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli, attività o prodotti la cui pubblicità, ai sensi del presente articolo, è vietata. Sono esclusi dal divieto di cui al presente comma le lotterie nazionali a estrazione differita di cui all'articolo 21, comma 6, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, le manifestazioni di sorte locali di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 2001, n. 430, e i loghi sul gioco sicuro e responsabile dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
  2. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, comma 6, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, l'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1, comporta a carico del committente, del proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione e dell'organizzatore della manifestazione, evento o attività, ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria commisurata nella misura del 5% del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, a euro 50.000.
  3. L'Autorità competente alla contestazione e all'irrogazione delle sanzioni di cui al presente articolo è l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che vi provvede ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689.
  4. I proventi delle sanzioni amministrative per le violazioni di cui al comma 1, compresi quelli derivanti da pagamento in misura ridotta ai sensi dell'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sono versati ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio statale e riassegnati allo stato di previsione della spesa del Ministero della salute per essere destinati al fondo per il contrasto al gioco d'azzardo patologico di cui all'articolo 1, comma 946, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
  5. Ai contratti di pubblicità in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del presente decreto resta applicabile, fino alla loro scadenza e comunque per non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la normativa vigente anteriormente alla medesima data di entrata in vigore.
  6. La misura del prelievo erariale unico sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera a) e lettera b), del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, è fissata, rispettivamente, nel 19,25 per cento e nel 6,25 per cento dell'ammontare delle somme giocate a decorrere dal 1° settembre 2018 e nel 19,5 per cento e nel 6,5 per cento a decorrere dal 1° maggio 2019.
  7. Agli oneri derivanti dal comma 1, pari a 147 milioni di euro per l'anno 2019 e a 198 milioni di euro a decorrere dall'anno 2020, si provvede mediante quota parte delle maggiori entrate di cui al comma 6.

Capo IV
MISURE IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONE FISCALE

Articolo 10.
(Disposizioni in materia di redditometro).

  1. All'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, al quinto comma, dopo la parola «biennale» sono inserite le seguenti: «, sentiti l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e le associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori per gli aspetti riguardanti la metodica di ricostruzione induttiva del reddito complessivo in base alla capacità di spesa e alla propensione al risparmio dei contribuenti».
  2. È abrogato il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 16 settembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 223 del 25 settembre 2015, con effetto dall'anno di imposta in corso al 31 dicembre 2016.
  3. Il presente articolo non si applica agli inviti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento e agli altri atti previsti dall'articolo 38, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, per gli anni di imposta fino al 31 dicembre 2015. In ogni caso non si applica agli atti già notificati e non si fa luogo al rimborso delle somme già pagate.

Articolo 11.
(Disposizioni in materia di invio dei dati delle fatture emesse e ricevute).

  1. Con riferimento all'adempimento comunicativo di cui all'articolo 21, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, i dati relativi al terzo trimestre del 2018 possono essere trasmessi entro il 28 febbraio 2019.
  2. All'articolo 1-ter, comma 2, lettera a), del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172, dopo le parole «cadenza semestrale» sono aggiunte le seguenti: «, entro il 30 settembre per il primo semestre ed entro il 28 febbraio dell'anno successivo per il secondo semestre,».

Articolo 12.
(Split payment).

  1. All'articolo 17-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, dopo il comma 1-quinquies è aggiunto il seguente: «1-sexies. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle prestazioni di servizi rese ai soggetti di cui ai commi 1, 1-bis e 1-quinquies, i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito ovvero a ritenuta a titolo di acconto di cui all'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.».
  2. Le disposizioni del comma 1 si applicano alle operazioni per le quali è emessa fattura successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
  3. Agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 35 milioni di euro per l'anno 2018, a 70 milioni di euro per l'anno 2019, a 35 milioni di euro per l'anno 2020, si provvede:

   a) quanto a 41 milioni di euro per l'anno 2019 e a 1 milione di euro per l'anno 2020, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2018-2020, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2018, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'interno per 4 milioni di euro per l'anno 2019, l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per 1 milione di euro per l'anno 2019, l'accantonamento relativo al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per 5 milioni di euro per l'anno 2019, l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze per 24 milioni di euro per l'anno 2019, l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per 2 milioni di euro per l'anno 2019, l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per 5 milioni di euro per l'anno 2019 e l'accantonamento relativo al Ministero dello sviluppo economico per 1 milione di euro per l'anno 2020;

   b) quanto a 15 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente utilizzo del fondo di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico ai sensi dell'articolo 49, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;

   c) quanto a 8 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente riduzione del fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307;

   d) quanto a 35 milioni per l'anno 2018, a 6 milioni di euro per l'anno 2019 e a 34 milioni di euro per l'anno 2020, mediante quota parte delle maggiori entrate di cui all'articolo 9, comma 6.

Capo V
DISPOSIZIONI FINALI E DI COORDINAMENTO

Articolo 13.
(Società sportive dilettantistiche).

  1. All'articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, i commi 353, 354, 355, 358, 359 e 360, sono abrogati. In deroga all'articolo 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l'abrogazione del comma 355 ha effetto a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.
  2. All'articolo 2, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, le parole «, nonché delle società sportive dilettantistiche lucrative» sono soppresse.
  3. Alla tabella A, parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il numero 123-quater) è soppresso.
  4. All'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) al comma 24, le parole «in via preferenziale alle associazioni sportive dilettantistiche e alle società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro», sono sostituite dalle seguenti: «a tutte le società e associazioni sportive»;

   b) al comma 25, dopo la parola «società» sono soppresse le seguenti: «sportive dilettantistiche senza scopo di lucro»;

   c) al comma 26, le parole «in via preferenziale a disposizione di società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro e associazioni sportive dilettantistiche» sono sostituite dalle seguenti: «a disposizione di società e associazioni sportive dilettantistiche».

  5. Nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito, ai fini del trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, un fondo da destinare a interventi in favore delle società sportive dilettantistiche, con una dotazione di 3,4 milioni di euro nell'anno 2018, di 11,5 milioni di euro nell'anno 2019, di 9,8 milioni di euro nell'anno 2020, di 10,2 milioni di euro nell'anno 2021, di 10,3 milioni di euro nell'anno 2022, di 5,6 milioni di euro per l'anno 2023 e di 5,2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2024. Le suddette risorse sono assegnate all'Ufficio per lo sport presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Ai relativi oneri si provvede mediante le maggiori entrate e le minori spese derivanti dalle disposizioni di cui ai commi 1 e 3.

Articolo 14.
(Copertura finanziaria).

  1. Il fondo di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, è incrementato di 4,5 milioni per l'anno 2018, 28,1 milioni di euro per l'anno 2020, di 68,9 milioni di euro per l'anno 2021, di 69,2 milioni di euro per l'anno 2022, di 69,5 milioni di euro per l'anno 2023, di 69,9 milioni di euro per l'anno 2024, di 70,3 milioni di euro per l'anno 2025, di 70,7 milioni di euro per l'anno 2026, di 71 milioni di euro per l'anno 2027 e 71,3 milioni di euro a decorrere dall'anno 2028.
  2. Agli oneri derivanti dagli articoli 1 e 3, valutati in 17,2 milioni di euro per l'anno 2018, in 136,2 milioni di euro per l'anno 2019, in 67,10 milioni di euro per l'anno 2020, in 67,80 milioni di euro per l'anno 2021, in 68,5 milioni di euro per l'anno 2022, in 69,2 milioni di euro per l'anno 2023, in 69,8 milioni di euro per l'anno 2024, in 70,5 milioni di euro per l'anno 2025, in 71,2 milioni di euro per l'anno 2026, in 72 milioni di euro per l'anno 2027 e in 72,7 milioni di euro a decorrere dall'anno 2028, e dal comma 1 del presente articolo pari a 4,5 milioni per l'anno 2018, a 28,1 milioni di euro per l'anno 2020, di 68,9 milioni di euro per l'anno 2021, di 69,2 milioni di euro per l'anno 2022, di 69,5 milioni di euro per l'anno 2023, di 69,9 milioni di euro per l'anno 2024, di 70,3 milioni di euro per l'anno 2025, di 70,7 milioni di euro per l'anno 2026, di 71 milioni di euro per l'anno 2027 e 71,3 milioni di euro a decorrere dall'anno 2028, si provvede:

   a) quanto a 5,9 milioni di euro per anno 2018 e a 7,4 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 107, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;

   b) quanto a 10,8 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307;

   c) quanto a 4,5 milioni per l'anno 2018, a 42,5 milioni di euro per l'anno 2019, a 2 milioni di euro per l'anno 2020 e a 36 milioni di euro a decorrere dall'anno 2021, mediante quota parte delle maggiori entrate di cui all'articolo 9, comma 6;

   d) quanto a 11,3 milioni di euro per l'anno 2018, a 75,5 milioni di euro per l'anno 2019, in 104,1 milioni di euro per l'anno 2020, a 120 milioni di euro per l'anno 2021, a 121,2 milioni di euro per l'anno 2022, a 122,4 milioni di euro per l'anno 2023, a 123,6 milioni di euro per l'anno 2024, a 124,9 milioni di euro per l'anno 2025, a 126,2 milioni di euro per l'anno 2026, a 127,5 milioni di euro per l'anno 2027 e 128,7 milioni di euro a decorrere dall'anno 2028, mediante le maggiori entrate e le minori spese di cui agli articoli 1, 2 e 3.

  3. Al fine di garantire la neutralità sui saldi di finanza pubblica, l'Istituto nazionale di previdenza sociale provvede al monitoraggio trimestrale delle maggiori spese e minori entrate di cui agli articoli 1 e 2 e 3 e comunica le relative risultanze al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze entro il mese successivo al trimestre di riferimento, anche ai fini dell'adozione delle eventuali iniziative da intraprendere ai sensi dell'articolo 17, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
  4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio per l'attuazione del presente decreto.

Articolo 15.
(Entrata in vigore).

  1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

  Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

  Dato a Roma, addì 12 luglio 2018.

MATTARELLA

Conte, Presidente del Consiglio dei ministri.
Di Maio, Ministro dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali.
Bussetti, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Tria, Ministro dell'economia e delle finanze.

Visto, il Guardasigilli: Bonafede.