• Testo MOZIONE

link alla fonte scarica il documento in PDF

Atto a cui si riferisce:
C.1/00633    premesso che:     la diminuzione del potere di acquisto conseguente alla crisi economica, aggravatasi con la pandemia e, da ultimo, con il conflitto in atto in Ucraina, ha...



Atto Camera

Mozione 1-00633presentato daD'ORSO Valentinatesto diGiovedì 21 aprile 2022, seduta n. 680

   La Camera,

   premesso che:

    la diminuzione del potere di acquisto conseguente alla crisi economica, aggravatasi con la pandemia e, da ultimo, con il conflitto in atto in Ucraina, ha acuito il problema dell'affordability, ossia della sostenibilità delle spese per l'accesso all'abitazione che, diventando sempre più onerose, pesano gravemente sui bilanci familiari. Una famiglia su quattro ha avuto, negli ultimi anni, difficoltà a pagare l'affitto (si tratta in prevalenza di nuclei familiari fragili con figli, di età compresa tra i 45 e i 64 anni) e più del 40 per cento di esse prevede di non riuscire a pagarlo nei prossimi dodici mesi (anche in questo caso sono le famiglie con figli a manifestare una maggiore fragilità, in particolare coppie nella fascia di età tra i 45 e i 64 anni). Sono questi alcuni dati diffusi da Federcasa e contenuti nella ricerca «Dimensione del disagio abitativo pre e post emergenza COVID-19. Numeri e riflessioni per una politica di settore», commissionato alla società Nomisma Spa e pubblicato nel mese di maggio 2020. La ricerca evidenzia, in particolare, che la percentuale delle famiglie che, negli ultimi dodici mesi, ha accumulato ritardi nel pagamento dell'affitto è passata dal 9,6 per cento (delle famiglie che vivono in affitto), prima dell'emergenza sanitaria da COVID-19 al 24 per cento durante le misure di contenimento;

    anche l'Indagine straordinaria sulle famiglie italiane (Isf) condotta dalla Banca d'Italia, pubblicata nel 2021, conferma che quasi il 40 per cento degli affittuari e oltre il 30 per cento delle famiglie indebitate hanno dichiarato di avere difficoltà nel sostenere il pagamento dell'affitto o delle rate del debito;

    le ricerche condotte confermano, da un lato, che l'emergenza sanitaria ha inasprito ulteriormente la già drammatica situazione del disagio abitativo e, dall'altro, che non sono stati programmati interventi seri e strutturali per farvi fronte;

    le politiche abitative, che sono rimaste relegate a un ruolo residuale tra la fine degli anni '90 e il primo decennio del nuovo secolo, in considerazione dell'allora diffuso livello di benessere economico e dell'elevata percentuale dei proprietari di immobili destinati a privata abitazione, sono nuovamente assurte a un ruolo di primaria importanza nell'ambito delle politiche sociali e di coesione a seguito della crisi economica del 2009, che ha riacceso i riflettori sul disagio abitativo, registrato soprattutto nelle aree più depresse del Paese;

    un disagio, quello abitativo, che ha assunto negli ultimi anni connotazioni nuove, giacché esso attualmente coinvolge classi sociali che fino alla crisi del 2009 ne erano rimaste fuori e cioè, in particolare, i nuclei familiari monoreddito con un numero elevato di componenti o nel cui ambito siano presenti minori, stranieri, persone ultrasessantacinquenni, persone disabili o in carico ai servizi sociali, e single impoveriti a seguito della crisi economica e non più in grado di sostenere il costo dei mutui accesi per l'acquisto della prima casa o di pagare il canone per l'affitto di un'abitazione dignitosa;

    uno dei fattori principali che concorre a determinare il disagio abitativo è rappresentato dal costo dell'abitazione: il canone di locazione rappresenta la voce di spesa più rilevante;

    il disagio abitativo, nel nostro Paese, riguarda circa 1.475.000 famiglie italiane (dati di Federcasa e della società Nomisma Spa) cioè il 5,7 per cento, delle famiglie italiane, delle quali 783.000 in condizioni di disagio acuto e 692.000 in condizioni di disagio grave. Chi è in affitto paga un canone medio mensile compreso tra i 380 e 450 euro, che grava pesantemente sul bilancio familiare: la sola componente legata agli affitti (reali o figurativi) rappresenta il 64,5 per cento della spesa per l'abitazione. I territori che esprimono un maggiore disagio per l'elevata incidenza del canone pagato sul reddito del locatario sono, con riferimento alle ripartizioni territoriali, il nord-ovest e, a seguire, il sud e le isole, mentre, per dimensione, i comuni più popolosi insieme a quelli meno popolosi (rispettivamente oltre i 200.000 abitanti e con meno di 20.000 abitanti);

    il non avere un alloggio e l'essere esclusi dalla possibilità di disporne sono tra le forme più estreme di povertà e di deprivazione. La «deprivazione abitativa» è uno degli indicatori utilizzati dall'Unione europea per calcolare il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale. In Italia, il tasso di deprivazione abitativa riguarda il 5 per cento della popolazione a fronte del 4 per cento medio dei Paesi europei. Se, da una parte, la diminuzione del reddito comporta una crescente deprivazione abitativa, dall'altra, il peso eccessivo dei costi abitativi si traduce in una riduzione del reddito familiare disponibile e in una conseguente compressione dei consumi o delle possibilità di risparmio. L'Italia si posiziona quarta in Europa per quanto concerne la spesa per la protezione sociale in rapporto al prodotto interno lordo (20,8 per cento), ma la composizione della spesa è decisamente spostata verso la previdenza, a scapito delle altre funzioni, tra le quali l'abitazione;

    la Costituzione italiana — a differenza di altri Stati europei quali il Belgio, il Portogallo, la Spagna e la Svezia — non riconosce espressamente il diritto all'abitazione. Tuttavia, il diritto all'abitazione è desumibile da diverse disposizioni costituzionali, in quanto l'abitazione costituisce il presupposto — oltre che per la realizzazione di un'eguaglianza sostanziale tra cittadini di cui all'articolo 3, secondo comma — per l'esercizio di diritti e libertà costituzionalmente riconosciuti, tra i quali la libertà di domicilio (articolo 14), i diritti della famiglia (articoli 29 e 31), il diritto alla salute (articolo 32), il diritto al lavoro (articoli 4, primo comma, e 35, primo comma). Dunque, appare innegabile che il tema dell'abitazione assuma una particolare rilevanza proprio perché incide sul godimento dei diritti fondamentali;

    la Corte costituzionale, sebbene in un primo momento avesse negato la configurabilità del diritto all'abitazione, a partire dalla fine degli anni '80 ha riconosciuto l'esistenza di tale diritto qualificandolo come «diritto sociale fondamentale» e annoverandolo «fra i diritti inviolabili (...) di cui all'articolo 2 della Costituzione» (sentenze n. 404 del 7 aprile 1988, n. 166 del 23 maggio 2008 e n. 209 del 9 luglio 2009). Essa, tuttavia, ha sottolineato che il diritto all'abitazione, come tutti i diritti sociali, è «finanziariamente condizionato» e dunque tende ad essere realizzato in proporzione delle risorse della collettività (sentenza n. 252 del 18 maggio 1989). In quest'ottica, dunque, il diritto all'abitazione, nel nostro Paese, sarebbe da considerare un diritto inviolabile e, al contempo, un diritto sociale e precisamente un «diritto sociale condizionato»;

    certamente dare una nuova lettura «forte» del diritto alla casa, inteso come posizione soggettiva avente un «contenuto essenziale», ed in questa accezione riconosciuto in ambito europeo, comporta, ovviamente, un radicale cambiamento delle tradizionali politiche abitative;

    il diritto all'abitazione è espressamente previsto dalla Carta sociale europea che, nel testo revisionato nel 1996, prevede, alla parte I, numero 31, che «Tutte le persone hanno diritto all'abitazione» e dispone, alla parte II, articolo 31, che, per garantire l'effettivo esercizio di tale diritto, gli Stati firmatari «s'impegnano a prendere misure destinate», tra l'altro, «a favorire l'accesso ad un'abitazione di livello sufficiente», a «prevenire e ridurre lo status di “senza tetto” in vista di eliminarlo gradualmente» e a «rendere il costo dell'abitazione accessibile alle persone che non dispongono di risorse sufficienti»;

    il diritto all'abitazione è altresì previsto, a livello europeo, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'articolo 34, paragrafo 3, nel quale si prevede che l'Unione «riconosce e rispetta il diritto (...) all'assistenza abitativa», al fine di «garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti»;

    nell'ambito della dimensione europea si è assistito, pertanto, a un crescente interesse per il tema del diritto all'abitazione, attraverso l'elaborazione di specifici documenti volti a garantirne l'effettività. Così, ad esempio, la Carta europea degli alloggi, approvata il 26 aprile 2006 dall'intergruppo Urban logement del Parlamento europeo, e la risoluzione del Parlamento europeo 2006/2108/(INI) sugli alloggi e la politica regionale, del 10 maggio 2007. Il 21 gennaio 2021, il Parlamento europeo ha approvato un'altra importante risoluzione sull'accesso a un alloggio dignitoso e a prezzi abbordabili per tutti (2019/2187(INI)) che conferma come l'accesso a un alloggio adeguato costituisca un diritto fondamentale, una condizione preliminare per l'esercizio di altri diritti fondamentali, nonché per condurre una vita in condizioni rispettose della dignità umana;

    anche la Corte di giustizia dell'Unione europea (causa n. C-34/13 – sentenza del 10 settembre 2014) si è espressa nel senso di ritenere che il diritto all'abitazione sia un diritto fondamentale da comprendere nell'ambito delle politiche di inclusione sociale, oggetto di competenza concorrente dell'Unione e degli Stati membri, i quali dovrebbero fornire indicazioni anche sulla concreta garanzia del diritto all'assistenza abitativa;

    il punto 56 della recente e già citata «Risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021 sull'accesso a un alloggio dignitoso e a prezzi abbordabili per tutti» fa anche esplicito riferimento all'abitare collaborativo e «invita la Commissione, gli Stati membri e le autorità regionali e locali a riconoscere, sostenere e finanziare soluzioni abitative partecipative, democratiche e collaborative, compresi i trust fondiari delle comunità, quali mezzi legittimi e sostenibili per fornire alloggi di mercato e sociali; chiede un approccio sostenibile all'uso dei terreni urbani, ad esempio dando la priorità alla ristrutturazione delle case abbandonate rispetto alla costruzione di nuovi edifici»;

    i cambiamenti demografici degli ultimi 30 anni hanno prodotto rivoluzioni dell'organizzazione sociale, della distribuzione del reddito e, soprattutto della composizione dei nuclei familiari. Accanto al fenomeno dell'invecchiamento della popolazione, l'aumento del lavoro femminile ha ridotto la natalità nei paesi occidentali. Lo stile di vita è profondamente mutato, con perdita del supporto familiare agli anziani e aumento delle famiglie mononucleari. Dalla rivoluzione socio-economica scaturisce l'esigenza di soluzioni abitative a contrasto dell'isolamento e a favore della ricreazione di alcune funzioni che erano proprie delle famiglie tradizionali. In Europa lo sviluppo delle forme abitative collettive si è sviluppato in modo diverso tra i Paesi membri dell'Unione europea. Nel cohousing, in cui i residenti rinunciano ad una parte della propria individualità abitativa a favore della realizzazione di aree comuni con finalità di interazione sociale ed economia di gestione, vengono messe in comune aree ricreative, servizi come lavanderie e cucine, giardini o spazi all'aperto. Non esiste un modello univoco di cohousing, in quanto la «dimensione sociale» può essere interpretata in modi diversi a seconda della cultura, del livello socio-economico, della popolazione prevalente con i conseguenti bisogni specifici (ad esempio servizi socio-sanitari, assistenza domiciliare per anziani, babysitting, doposcuola e altro). Mentre nell'edilizia residenziale pubblica prevale la dimensione economica, per offrire una abitazione a soggetti a basso reddito, nel cohousing l'obiettivo è prevalentemente la ricerca di condivisione di determinati servizi e di modi nuovi di abitare. Le realizzazioni di cohousing abitualmente prevedono un partenariato pubblico-privato e l'offerta proviene spesso dal settore privato, dal terzo settore e dalle fondazioni;

    in Italia, a causa di un retaggio culturale diverso, il fenomeno del cohousing si sviluppa più lentamente rispetto ai Paesi del Nord Europa, che lo praticano dagli anni '60, e spesso è favorito da organizzazioni di promozione sociale, attraverso soluzioni di coabitazione mista, ad esempio tra anziani soli e studenti fuori sede presso l'abitazione divenuta troppo grande per l'anziano;

    nel 2011 l'architetto Boeri affermava che: «Gradualmente le città diventano importanti laboratori a cielo aperto per la sperimentazione di nuove modalità residenziali: fenomeni come la trasformazione dei nuclei familiari, l'invecchiamento della popolazione, la precarietà lavorativa, la difficoltà nel reperire abitazioni adatte alle esigenze di una vita più mobile, l'indebolimento delle reti sociali spingono gli individui a coabitare». Ecco che rispetto ad uno scenario nel quale le città contemporanee sono raffigurate come metropoli anomiche, in esse da un lato l'individuo si trova in una condizione tale per cui sviluppa l'esigenza di ritrovare senso e solidarietà, dall'altra sono le istituzioni che cominciano a progettare modalità innovative di welfare rispetto agli effetti di spaesamento e congestione urbani. E, in questo contesto, in cui appare evidente l'esigenza di stimolare i processi di inclusione sociale, il cohousing può rappresentare una pratica sostenibile di riqualificazione urbana e uno strumento di welfare attivo basato sul coinvolgimento diretto degli individui, perché, prevedendo modalità di co-residenza tra individui diversi tende a sviluppare forme trasversali di supporto dando vita ad una sorta di processo assistenziale intergenerazionale;

    il cohousing può rappresentare una forma innovativa e intelligente di risposta ai nuovi bisogni abitativi e, per tale motivo, risulta necessario considerare seriamente il modello incentivando le sperimentazioni presenti nel Paese. Ad esempio, nei primi giorni del mese di luglio 2021, la giunta del comune di Roma ha approvato un provvedimento destinato a sperimentare una convivenza intergenerazionale: giovani ed anziani sotto uno stesso tetto per contrastare l'emarginazione sociale e promuovere la condivisione ed il confronto tra culture diverse. Promuovendo simili iniziative negli ambiti cittadini di degrado o di abbandono, per la riqualificazione dei quali la pubblica amministrazione non dispone spesso delle risorse economiche necessarie, potrebbero svilupparsi preziose forme di collaborazione tra enti pubblici e associazioni locali al fine di realizzare modelli di interazione urbana funzionali all'assicurazione di benessere, integrazione e coesione sociale dei cittadini;

    è necessario pertanto, anche alla luce di ciò, cambiare visione in materia di politiche abitative;

    le due linee lungo le quali si è mosso l'intervento del legislatore italiano in questi anni si sono mostrate del tutto carenti e poco lungimiranti: la prima è quella rivolta all'incremento del numero delle abitazioni disponibili, da ottenere tramite la realizzazione di un sistema di edilizia residenziale pubblica con cui provvedere alla costruzione di nuove unità abitative e alla loro assegnazione ai bisognosi. Tale settore soffre, oggi, di una cronica carenza di alloggi da destinare ai ceti meno abbienti o a quelli di categorie disagiate o fragili. Il particolare momento che si sta vivendo evidenzia l'esigenza di un reperimento urgente di alloggi di edilizia residenziale pubblica, e la necessità di impiegare ogni risorsa disponibile per essere destinata a dette finalità, passando per una urgente e attenta ricognizione presso ogni regione, dello stato di tutti gli interventi programmati, della corretta utilizzazione delle risorse con l'obiettivo di accelerare con ogni strumento normativamente possibile la realizzazione e/o il completamento degli alloggi di edilizia residenziale pubblica ancora in corso, nonché definire la programmazione con tempi certi di quelli ancora da intraprendere con le risorse che risulteranno ancora disponibili a seguito della ricognizione;

    negli anni, sono stati approvati provvedimenti normativi con i quali sono stati disposti diversi stanziamenti di risorse per l'edilizia residenziale pubblica. Fra questi si ricordano: la legge n. 457 del 1978 (articolo 2, lettera f), e articolo 3, lettera q)); il decreto-legge n. 12 del 1985, convertito dalla legge n. 118 del 1985 (articolo 3, comma 7-bis) con la quale, per far fronte alla situazione abitativa del Paese e per l'immediato avvio del programma di edilizia residenziale pubblica del biennio 1986-1987, si è previsto un finanziamento di 5.350 miliardi di lire; la legge n. 67 del 1988 (articolo 22); il decreto-legge n. 152 del 1991 convertito dalla legge n. 203 del 1991 (articolo 18, lettera a) del comma 1); il decreto-legge n. 9 del 1982 convertito dalla legge n. 94 del 1982 (articolo 4), con cui si autorizzava un finanziamento di 600 miliardi di lire da iscrivere per il biennio 1982-1983 e di 50 miliardi per il 1982 per l'edilizia residenziale pubblica e convenzionata; la legge n. 179 del 1992 (articolo 18). Di recente è stato adottato anche il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 6 luglio 2020 relativo al riparto delle risorse per realizzare interventi di edilizia residenziale sociale nei territori danneggiati dai sismi degli anni 2016-2017;

    nonostante la previsione di tali risorse economiche, la condizione di disagio abitativo persiste ed è destinata ad aggravarsi;

    la seconda linea lungo la quale si è mosso sinora l'intervento del legislatore italiano è quella vertente sulla tutela della parte debole nei rapporti contrattuali di diritto privato (un caso tipico è proprio il rapporto di locazione), che vedono entrare in relazione il proprietario di un immobile e un soggetto interessato a fare di quell'immobile il proprio luogo di abitazione. In quest'ultimo ambito si collocano due importanti strumenti utilizzati in questi anni a livello nazionale per le politiche abitative, ovvero il Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, istituito dall'articolo 11, comma 1, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, istituito ai sensi dell'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, gestito dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili;

    a partire dall'assegnazione delle somme relative all'anno 2019 – consentendo alle regioni di poter riallocare sul Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione le risorse non utilizzate della dotazione del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli – si è sostanzialmente prodotta un'unificazione delle risorse della dotazione dei due fondi con la precipua finalità di attuare misure uniche per la riduzione del disagio abitativo;

    negli anni, si è riscontrato che entrambi i predetti fondi non hanno funzionato in modo adeguato, come si può rilevare, tra l'altro, dall'indagine effettuata dalla Corte dei conti sui fondi per il sostegno all'abitazione in locazione per le categorie sociali deboli per il periodo dal 2014 al 2020 (relazione allegata alla deliberazione 3 agosto 2020, n. 9/2020/G);

    diverse sono le disfunzioni e le distorsioni che le due misure presentano e sulle quali la stessa Corte dei conti si è soffermata:

     a) non vi è stato un corretto assolvimento delle procedure per il riparto delle risorse in quanto i provvedimenti di riparto degli ultimi anni sono stati adottati, per lo più, non nei primi mesi di ciascun anno, come richiesto dalle norme, rendendo, di fatto, più difficile l'utilizzo delle risorse disponibili nel corso dello stesso esercizio e, in definitiva, contribuendo a un loro impiego non del tutto efficiente;

     b) in ordine alle competenze istituzionali, nella relazione la stessa Corte dei conti precisa che «la condivisione con le regioni delle responsabilità istituzionali nel settore delle politiche abitative rende le attività di concertazione istituzionale (livello politico) e di messa a punto tecnico-amministrativa particolarmente complesse»;

     c) nelle annualità considerate non compare in modo costante l'indicazione degli obiettivi relativi alla gestione di entrambi i fondi, una gestione che, a prescindere dal fatto che fossero stati o no rifinanziati dalla relativa legge di Bilancio, doveva essere esercitata con riferimento quanto meno alle attività di monitoraggio circa lo stato di utilizzo delle risorse ripartite tra le regioni;

     d) risorse non utilizzate. Ad esempio, con riferimento alla ripartizione delle risorse tra le regioni del fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli per l'anno 2014, a fronte di un ammontare complessivo di risorse trasferite alle regioni dal Ministero pari a 184,25 milioni di euro, ben 87,92 milioni di euro non sono stati in concreto utilizzati;

     e) si sono registrati numerosi casi in cui le regioni non hanno trasferito – o lo hanno fatto solo parzialmente – le risorse agli enti locali del territorio;

     f) a ciò si aggiunge che le risorse assegnate ai comuni non sono state sempre integralmente erogate ai richiedenti per la riscontrata presenza di alcune criticità relative ai requisiti di accesso. Il funzionamento, in particolare, del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli ha presentato criticità relative ai requisiti di accesso che ne hanno reso, sino ad oggi, assai difficoltosa la fruizione da parte dei cittadini. Uno dei maggiori ostacoli all'agevole erogazione del contributo è, di certo, il presupposto richiesto ai potenziali beneficiari di essere già destinatari di un'intimazione di sfratto con citazione per la convalida. La stessa Corte dei conti, nelle conclusioni della relazione, afferma che: «In senso propositivo dovrebbero essere rivisti quei requisiti (quali la convalida dello sfratto) che hanno rappresentato un forte ostacolo alla concessione di contributi in favore di soggetti in condizioni di morosità incolpevole ma non ancora giunti alla fase conclusiva del procedimento esecutivo di rilascio», e aggiunge che «Potrà anche essere valutata l'opportunità di modificare i livelli di reddito di accesso, ampliandoli e rendendoli maggiormente rispondenti alle fasce sociali che si affacciano sul mercato della locazione. Inoltre, dovrà essere considerata la nuova domanda proveniente da soggetti che hanno perso la propria capacità reddituale (in una determinata percentuale) a seguito delle ricadute negative conseguenti all'emergenza COVID-19 ...)»;

     g) sono emerse criticità anche nell'effettuazione del monitoraggio. Gli elementi informativi raccolti dall'amministrazione, in sede di monitoraggio, sono numericamente davvero esigui, in quanto comunicati solo da poche regioni e sempre le stesse (Lombardia, Emilia-Romagna, Marche, Campania e Sardegna). Per la Corte dei conti «il monitoraggio della gestione dei Fondi riveste un ruolo centrale nell'attuazione delle politiche abitative nazionali, ma le modalità con le quali è stato condotto sino ad ora dalla competente struttura ministeriale non appaiono adeguate»;

     h) non risultano essere state rispettate, per tutte le annualità considerate, le disposizioni che impongono, a partire dal 2005, alle regioni la comunicazione (prima entro un anno e poi entro sei mesi) delle risorse erogate agli enti locali, quale condicio sine qua non al fine di poter scomputare dalle quote ripartite nei successivi anni le somme non trasferite ai comuni;

    a causa dell'emergenza da Coronavirus, dapprima l'articolo 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27) ha previsto la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, fino al 31 dicembre 2020;

    da ultimo, ai sensi dell'articolo 40-quater del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, che ha previsto una immobili, anche ad uso non abitativo, dal 1° luglio 2021 sono riprese le esecuzioni degli sfratti relativamente ai provvedimenti di rilascio degli immobili precedenti al 29 febbraio 2020; dal 1° ottobre 2021 sono ripartite le esecuzioni degli sfratti riguardanti i provvedimenti di rilascio degli immobili emessi tra il 1° marzo 2020 e il 30 settembre 2020, mentre quelli disposti per il periodo che va tra il 1° ottobre 2020 e il 30 giugno 2021, l'esecuzione ha ripreso dal giorno 1° gennaio 2022;

    i comuni devono oggi far fronte ad una domanda di alloggi di edilizia residenziale pubblica a canone sociale che non sono in grado di soddisfare per garantire il passaggio da casa a casa alle famiglie con sfratto, presupposto necessario per evitare un aggravamento situazioni di disagio sociale conseguenti all'esecuzione dei provvedimenti di sfratto relativi agli immobili ad uso non abitativo;

   rilevato che:

    la situazione mostrata dai dati sopra illustrati riflette la grave precarietà della situazione economica dei cittadini e delle famiglie italiani e richiede un ripensamento delle tradizionali modalità di risposta, con politiche e interventi a loro volta più mirati alle diverse tipologie di bisogno;

    nel nostro sistema di welfare le politiche abitative sono state sempre la «Cenerentola» delle politiche sociali, dimostrandosi inadeguate ad affrontare e a risolvere il crescente fenomeno del disagio abitativo;

    di fronte a una situazione così grave è evidente che adeguate misure di sostegno al reddito in favore di soggetti e delle famiglie che vivono una condizione di fragilità economica, per consentire loro di accedere più facilmente alla locazione abitativa nonché di mantenerla, rivestono un ruolo fondamentale in termini di risposte al disagio abitativo;

    bisogna intervenire per porre rimedio alle disfunzioni, alle distorsioni dei due Fondi menzionati, anche tramite l'istituzione di un nuovo Fondo di garanzia e la revisione di quello destinato agli inquilini morosi incolpevoli, affinché queste ultime misure possano concretamente assolvere alla loro finalità di mitigare e di ridurre lo stato di sperequazione sociale di molti italiani derivante dalla situazione di disagio abitativo;

    è necessario, altresì, predisporre un welfare integrato, nel quale il contrasto della povertà abitativa possa rappresentare l'anello da cui partire per sostenere e favorire l'accesso all'istruzione, alla formazione e all'occupazione e per risolvere le situazioni di povertà che sono molte e tra loro interdipendenti;

    infine, bisogna fare proprie le sollecitazioni provenienti dall'ordinamento europeo che poggia su una lettura forte del diritto all'abitazione e, nel raccogliere le raccomandazioni della Corte dei conti contenute nella citata relazione, appare quanto mai opportuno un profondo ripensamento delle modalità con le quali provvedere all'erogazione delle risorse economiche da mettere a disposizione di un settore, come quello delle politiche abitative, che esprime un fabbisogno molto elevato;

    da ultimo il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha previsto misure di sostegno alle politiche di inclusione, anche con interventi di potenziamento dell'edilizia pubblica residenziale, di housing temporaneo (come le strutture di accoglienza temporanea per gli individui senza fissa dimora o in difficoltà economica) e di housing, sociale destinato ad offrire alloggi a canone ridotto, ad esempio, a studenti o famiglie monoreddito. Nell'ambito della Missione 5 è infatti indicato uno specifico investimento con l'obiettivo di realizzare nuove strutture di edilizia residenziale pubblica, per ridurre le difficoltà abitative, con particolare riferimento al patrimonio pubblico esistente, e alla riqualificazione delle aree degradate, puntando principalmente sull'innovazione verde e sulla sostenibilità,

impegna il Governo:

1) nell'ambito degli interventi di pianificazione e programmazione delle politiche abitative, ad adottare le iniziative di competenza, anche normative finalizzate:

  a) a prevedere e dare attuazione in tempi certi ad un piano pluriennale di edilizia residenziale pubblica a consumo di suolo zero, in linea con gli obiettivi previsti nell'ambito della Missione 5 del Piano nazionale di ripresa e resilienza ed in modo da garantire un coordinamento con gli investimenti in progetti di rigenerazione urbana volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale previsti nell'ambito della medesima Missione 5 del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nonché con le misure contenute nel decreto-legge n. 17 del 2022, cosiddetto «decreto Energia» (articolo 28), con gli indirizzi contenuti nella mozione in materia di rigenerazione urbana, recentemente approvata dalla Camera, e con le ulteriori misure in materia di rigenerazione urbana adottate dai Ministeri competenti con l'obiettivo di accompagnare all'edilizia residenziale pubblica la creazione di spazi e/o servizi culturali e sociali in grado di migliorare l'inclusione e la qualità della vita dei cittadini destinatari di tali interventi;

  b) ad effettuare una ricognizione delle somme stanziate con le leggi in materia di edilizia residenziale pubblica, e rimaste ad oggi inutilizzate, accertando le cause dell'eventuale mancata utilizzazione, e ad assicurare il reimpiego immediato delle risorse eventualmente residuate per far fronte alla carenza di alloggi a canone sociale nel nostro Paese;

  c) a prevedere interventi sostitutivi (anche tramite la nomina di commissari ad acta) per tutti i programmi che abbiano ad oggetto interventi finalizzati all'edilizia sociale in caso di conclamata inadempienza degli accordi di programma o intese da parte di qualsiasi ente tenuto a rispettarlo, al fine di rimuovere le inerzie accertate e dunque dare nuovo e risolutivo impulso ai procedimenti in corso per definirli e poter riutilizzare le risorse ancora disponibili da destinare a nuovi programmi;

2) ad adottare iniziative per prevedere una complessiva ricognizione del patrimonio edilizio esistente, comprensivo del patrimonio in stato di degrado, ivi incluso il patrimonio industriale dismesso suscettibile di riconversione all'edilizia residenziale pubblica o a forme alternative come il co-housing, al fine di perseguire una corretta pianificazione dell'offerta abitativa;

3) ad adottare iniziative per ripristinare l'istituzione, presso il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, dell'Osservatorio nazionale della condizione abitativa, già previsto dalla legge n. 431 del 1998, con il compito di effettuare la raccolta dei dati nonché il monitoraggio permanente della situazione abitativa a livello nazionale;

4) ad adottare iniziative per introdurre misure di monitoraggio e sostegno all'utilizzo del «Superbonus 110 per cento» per gli interventi effettuati da Iacp ed enti equivalenti, prevedendo una ulteriore proroga al 2025 con una progressiva diminuzione della percentuale di detrazione, come già previsto dalla legge di bilancio 2022 per i condomini;

5) ad adottare iniziative per definire una normativa quadro sull'edilizia residenziale pubblica e sociale che definisca i livelli essenziali del servizio abitativo, in linea con la normativa europea sul diritto all'abitazione inteso come posizione soggettiva avente un «contenuto essenziale»;

6) ad adottare le iniziative di competenza, per introdurre meccanismi che consentano di garantire il criterio della rotazione nell'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica mediante il monitoraggio periodico circa la sussistenza dei presupposti e delle condizioni che legittimano la permanenza delle assegnazioni, prevedendo procedure semplificate di rilascio dell'alloggio da parte di terzi che risultino occupanti senza titolo;

7) nell'ambito delle misure volte al contrasto del disagio abitativo, ad adottare iniziative normative finalizzate:

  a) a prevedere un aumento e una razionalizzazione delle risorse relative al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione e a quello per la morosità incolpevole, individuando modalità procedurali atte a rendere più agevole l'erogazione delle risorse nei confronti dei soggetti aventi diritto (prevedendo anche l'erogazione diretta in favore dei proprietari degli immobili dati in locazione) non solo con tempi contenuti e certi ma anche con criteri omogenei che assicurino, quanto più possibile, livelli essenziali e uniformi delle prestazioni;

  b) a prevedere l'istituzione di un Fondo nazionale di garanzia per la locazione di immobili abitativi in favore di alcune categorie di soggetti o nuclei familiari come, ad esempio, giovani coppie o genitori separati o divorziati con figli minori o maggiori di età disabili o non economicamente indipendenti, al fine di consentire un più agevole accesso al mercato delle locazioni per tutti quei soggetti che non abbiano possibilità di fornire idonee garanzie in ordine alla propria solidità economica e futura solvibilità;

  c) a definire incentivi fiscali per la rinegoziazione dei canoni di locazione ed una loro diminuzione per prevenire le difficoltà e criticità connesse alla morosità incolpevole;

8) ad adottare iniziative per prevedere modalità tracciabili di pagamento dei canoni di locazione, che favoriscano l'eliminazione dell'uso del contante, nonché sistemi di controllo della regolarità della registrazione dei contratti, anche la fine di garantire la certezza e legittimità dei rapporti posti in essere;

9) a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative per prevedere un ulteriore incremento della detrazione d'imposta sui canoni pagati dagli inquilini che abbiano un reddito complessivo inferiore ai 30 mila euro;

10) ad adottare iniziative per introdurre strumenti normativi ed operativi volti a promuovere e favorire la costituzione e la diffusione di insediamenti di cohousing, in linea con le normative e le best practices già esistenti in molti Paesi europei.
(1-00633) «D'Orso, Daga, Orrico, Carbonaro, Barzotti, Galizia, Baldino, Berti, Federico, Francesco Silvestri, Sportiello, Sut».