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Atto a cui si riferisce:
S.1/00446 premesso che: il decreto-legge n. 109 del 2018, "al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi da depurazione", all'articolo 41 (Disposizioni urgenti sulla...



Atto Senato

Mozione 1-00446 presentata da SAVERIO DE BONIS
mercoledì 12 gennaio 2022, seduta n.394

DE BONIS, MORRA, DE FALCO, ABATE, GRANATO, CORRADO, LONARDO, GIANNUZZI, ANGRISANI, BUCCARELLA, BOTTO, GIARRUSSO, LANNUTTI, TRENTACOSTE, MARILOTTI, LA MURA, MORONESE, MARTELLI, NUGNES, FATTORI, LEZZI, MININNO, ORTIS - Il Senato,

premesso che:

il decreto-legge n. 109 del 2018, "al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi da depurazione", all'articolo 41 (Disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione) fissa a 1.000 milligrammi per chilo di sostanza tal quale il limite per gli idrocarburi pesanti C10-C40;

tale limite, dunque, aumenta da 50 a 1.000 milligrammi per chilo. E si passa da un calcolo su "sostanza secca" ad uno su "tal quale". Il calcolo su sostanza "tal quale" e non su "sostanza secca" consente una maggior intossicazione del suolo;

nel corso dell'esame del decreto-legge, un emendamento della maggioranza ha dunque ampliato i limiti indicati dalla Cassazione per diossine, furani, PCB, toluene, selenio, berillio, cromo e arsenico (tutte sostanze tipicamente di origine industriale); è una modifica sostanziale che cambia decisamente le carte in tavola rispetto a quanto stabilito dal tribunale amministrativo lombardo che, sulla base delle sentenze della Cassazione, aveva stabilito i limiti di concentrazione di sostanze nei terreni previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 a 20 volte meno di quanto previsto nel "decreto Genova";

da oltre 3 anni si autorizza ad accumulare sui terreni destinati all'agricoltura diossine, PCB e microinquinanti tossici trasformando nel tempo quei terreni in aree da sottoporre a bonifica e contaminando le matrici ambientali e la catena alimentare;

si tratta, in particolare, di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani (PCDD/PCDF), policlorobifenili (PCB), toluene, selenio e berillio, arsenico, cromo totale, cromo VI, per i quali i limiti sono i seguenti: sommatoria degli IPA elencati nella tabella 1 dell'allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152: inferiore o uguale a 6 milligrammi per chilo di sostanza secca (mg./kg. s.s.), PCDD/PCDF più PCB DL inferiore o uguale a 25 (nanogrammi WHO-TEQ al chilo di sostanza secca), PCB inferiore o uguale a 0,8 mg./kg. s.s., toluene inferiore o uguale a 100 mg./kg. s.s., selenio inferiore o uguale a 10 mg./kg. s.s. e berillio inferiore o uguale a 2 mg./kg. s.s., arsenico inferiore a 20 mg./kg. s.s., cromo totale inferiore a 200 mg./kg. s.s., cromo VI inferiore a 2 mg./kg. s.s.. A tale fine, la norma richiede inoltre il controllo analitico almeno una volta all'anno per i parametri PCDD/PCDF più PCB DL;

l'articolo 41, al fine di definire l'ambito di applicazione della norma, rinvia alla definizione di fanghi contenuta nell'art. 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 99 del 1992 (recante "Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura"), ma si pone in palese contrasto con le norme europee che fissano limiti ben precisi;

la finalità dell'articolo 41, dichiarata esplicitamente nella relazione del provvedimento, è quella di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione, nelle more di una revisione organica della normativa di settore. Si intuisce, dunque, che la disposizione debba avere efficacia per un certo limite di tempo;

le situazioni di criticità a cui si fa riferimento sono quelle venutesi a creare dopo la sentenza del TAR Lombardia n. 1782 del 20 luglio 2018, che ha ripreso quanto precedentemente affermato dalla Corte di cassazione (con la sentenza n. 27958 del 6 giugno 2017), ribadendo in estrema sintesi che, in mancanza di valori limite per gli idrocarburi nella disciplina dettata dal decreto legislativo n. 99 del 1992, viene in soccorso la disciplina più generale prevista dal Codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006) e, conseguentemente, i fanghi ad uso agricolo devono rispettare i limiti previsti dalla tabella 1 citata, ove viene fissato un valore massimo di 50 milligrammi per chilo per gli idrocarburi pesanti (C superiore a 12) e di 10 milligrammi per chilo per quelli leggeri (C inferiore o uguale a 12), determinati nella sostanza secca;

la sentenza del TAR Lombardia, al punto 22 specifica che: "possono essere utilizzati a fini agricoli i fanghi che sono idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante e correttivo del terreno e che non contengono sostanze tossiche e nocive. Tali fanghi inoltre debbono essere prodotti dalla depurazione delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili, ovvero, se provenienti da insediamenti produttivi, devono possedere caratteristiche sostanzialmente non diverse da quelli di cui sopra";

la successiva sentenza (Cassazione, sezione III penale 29 gennaio 2019, n. 4238) prende in considerazione le contestate modifiche normative apportate in proposito con l'art. 41 del "decreto Genova"; articolo che, come è noto, deve la sua origine proprio ad una sentenza della Cassazione del 2017. La III sezione penale della Cassazione giudica il ricorso solo in parte fondato per una serie di ragioni, escludendo di fatto quindi, che, a prescindere dall'art. 41 e dai suoi limiti, possano essere utilizzati in agricoltura fanghi tipicamente industriali non assimilabili ai civili. Ed è appena il caso di ricordare, in proposito, che, ai sensi dell'art. 2, comma 1, n. 3 (che rinvia all'art. 3, comma 1), del decreto legislativo n. 99 del 1992, questa assimilabilità richiede che essi "a) sono stati sottoposti a trattamento; b) sono idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante e correttivo del terreno; c) non contengono sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l'uomo e per l'ambiente in generale". Condizioni (in particolare la terza) che, già di per sé, escludono la possibile presenza di sostanze tipicamente industriali, ammesse invece dall'art. 41 (se pure con limiti) quali diossine, furani, PCB, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), toluene, selenio, berillio, arsenico, cromo che sono, in buona parte, comprese tra quelle il cui uso la UE e la Convenzione di Stoccolma sugli "inquinanti organici persistenti" del 2001 (ratificata dalla UE ma non dall'Italia, nonostante l'abbia firmata il 23 maggio 2001) si pongono l'obiettivo di eliminare o diminuire drasticamente;

considerato che:

dalle inchieste delle Procure di Brescia, Milano, Lodi e Pavia sono state scoperte centinaia di migliaia di tonnellate di fanghi e gessi fuori norma e inquinati da sostanze tossiche che sono state sversate sui terreni del Nord Italia;

oltre 12 milioni di euro di profitti illeciti, 150.000 tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi ed altre sostanze inquinanti (l'equivalente di circa 5.000 tir), spacciati per fertilizzanti e smaltiti su circa 3.000 ettari di terreni agricoli nelle regioni Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna: sono questi i numeri dell'imponente traffico illecito di rifiuti, realizzato tra il gennaio 2018 e l'agosto 2019, su cui si sono concentrate le indagini svolte dai Carabinieri forestali di Brescia. Il fulcro delle attività illecite è una società bresciana operante nel settore del recupero di rifiuti, dotata di tre stabilimenti industriali ubicati nei comuni di Calcinato, Calvisano e Quinzano d'Oglio, sottoposti a sequestro dai Carabinieri forestali su ordine del sostituto procuratore della Repubblica, in esecuzione all'ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari, anche ai fini della successiva confisca. L'azienda, a fronte di lauti corrispettivi, ritirava i fanghi prodotti da numerosi impianti pubblici e privati di depurazione delle acque reflue urbane ed industriali, da trattare mediante un procedimento che ne garantisse l'igienizzazione e la trasformazione in sostanze fertilizzanti. Per massimizzare i propri profitti, la ditta ometteva di sottoporre i fanghi contaminati al trattamento previsto ed anzi vi aggiungeva ulteriori inquinanti come l'acido solforico derivante dal recupero di batterie esauste. Infine, per disfarsi di tali rifiuti e poter continuare il proprio ciclo produttivo fraudolento, li classificava come "gessi di defecazione" e li smaltiva su terreni destinati a coltivazioni agricole situati nelle province di Brescia, Mantova, Cremona, Milano, Pavia, Lodi, Como, Varese, Verona, Novara, Vercelli e Piacenza, retribuendo a questo scopo sei compiacenti aziende di lavorazioni rurali conto terzi (5 bresciane ed una cremonese). "Dalle tabelle emergono dati impressionanti" scrive il GIP nella sua ordinanza. "Nei campioni dei gessi in uscita dall'azienda e in spargimento le sostanze inquinanti (fluoruri, solfati, cloruri, nichel, rame, selenio, arsenico, idrocarburi, zinco, fenolo, metilfenolo e altri) erano decine, se non addirittura centinaia di volte superiori ai parametri di legge";

tra gli indagati, con l'accusa di traffico di consulenze illecite, figura anche il direttore generale dell'AIPO, Autorità interregionale per il fiume Po, che, si legge nell'ordinanza, sfruttando relazioni esistenti con il sindaco di Calvisano e relazioni esistenti o comunque asserite con altri pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio e in particolare il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, l'assessore regionale per l'Aaricoltura Fabio Rolfi, Fabio Carella, direttore generale di ARPA Lombardia, e Guido Guidesi, assessore regionale lombardo per lo sviluppo economico (nessuno di loro è indagato) "indebitamente - scrive il giudice per le indagini preliminari - si faceva dare e promettere da Giuseppe Giustacchini denaro, vantaggi patrimoniali ed altre utilità quali il prezzo della propria mediazione illecita verso i suddetti pubblici ufficiali, finalizzata a favorire le attività imprenditoriali condotte da Giustacchini quale titolare della Wte srl";

un'altra inchiesta è quella della Procura di Milano nei confronti di 11 persone, indagate a vario titolo. Tra il 2012 e il 2015 in diversi comuni delle provincie di Lodi, Cremona e Pavia, per risparmiare sugli abituali costi di smaltimento, fecero profitti illeciti per 4,5 milioni di euro, sversando illecitamente circa 110.000 tonnellate di fanghi di depurazione, recuperati tra quelli regolarmente trattati dalla loro società, e li riversavano sui terreni agricoli privi di qualsiasi trattamento, con l'obiettivo di risparmiare sugli abituali costi di smaltimento;

tenuto conto che:

i principi disciplinanti la politica ambientale dell'Unione europea e, in particolare, il principio "chi inquina paga", sono fissati all'art. 174, ex art. 130 R, comma 2, del Trattato della Comunità europea, nonché le disposizioni di cui alla direttiva 21 aprile 2004, 2004/35/CE, nei seguenti termini: "La politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio 'chi inquina paga'"». Tale principio risulta disatteso;

l'aumento dei limiti di idrocarburi, introdotto con il richiamato decreto Genova del 2018, è 10 volte superiore sia per pericolosità che per tossicità ai limiti di idrocarburi previsti per i fanghi industriali tossici da portare in discarica. Ciò comporta l'obbligo, a livello europeo, di invocare l'applicazione del principio di precauzione al fine di evitare la contaminazione dei cibi. Principio da applicare perché da 30 anni l'Organizzazione mondiale della sanità stabilisce che tutti i composti già previsti dal codice dell'ambiente (13 cancerogeni, 10 probabili cancerogeni, 24 possibili cancerogeni), presi a riferimento dai giudici, devono essere evitati;

al riguardo, l'articolo 41 del decreto-legge n. 109 del 2018 non fornisce una valutazione dei rischi sulla salute e sull'ambiente derivante da un innalzamento dei limiti, né riporta una valutazione del potenziale effetto sinergico dei diversi composti, riconosciuto a livello scientifico internazionale, dove gli effetti delle miscele potenziano quelli dei singoli composti. Molti dei composti dell'elenco sono riconosciuti dall'Environmental protection agency (Agenzia per la protezione dell'ambiente, EPA) statunitense nella lista degli interferenti endocrini;

anche la direttiva del Consiglio europeo del 12 giugno 1986 è intesa a disciplinare l'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull'uomo, incoraggiando la corretta utilizzazione di questi fanghi;

molte di queste sostanze sono molecole stabili che si accumulano nel suolo e nelle falde acquifere e non basta l'aratura per attenuarne la contaminazione;

il citato articolo 41 non prevede nessun test di fitotossicità, non indica quali siano i suoli idonei allo smaltimento, le condizioni ambientali del suolo (ph, umidità, temperatura, potenziale Redox, età), la reattività dei costituenti del terreno, la distanza dalle strade da corsi d'acqua e le pendenze dei terreni. La disposizione doveva servire a giungere a una soluzione di emergenza, che non doveva essere definitiva. Al contrario, non è stato assegnato un termine per risolvere questa emergenza, né è stato richiesto un parere aggiornato all'Istituto superiore di sanità. Quello precedente, del 14 marzo 2018, era limitato ai soli parametri microbiologici e non a quelli tossicologici;

con l'approvazione definitiva di questa norma si è avuto il seguente paradosso: per conferire i fanghi da depurazione in discarica il limite previsto è 500 milligrammi di idrocarburi per chilo mentre con l'attuale disposizione per utilizzare fanghi con le stesse sostanze inquinanti sui suoli agricoli i limiti diventano 1000 milligrammi per chilo riferiti, però, non alla "sostanza secca" ma al "tal quale". Il che significa un valore che, se riferito alla sostanza secca, oscilla da 5.000 a 8.000 milligrammi per chilo, vale a dire valori prossimi ai livelli desiderati dalla Regione Lombardia, ottenuti in modo da poter superare i pronunciamenti della magistratura. La disposizione relativa ai limiti sul tal quale non fissa i quantitativi massimi di fanghi in materia secca che le disposizioni comunitarie prevedono espressamente per gli Stati membri. Sarebbe infatti opportuno chiedere a chi produce tali fanghi di ridurre gli inquinanti mediante processi tecnologici, come viene fatto già in altre parti d'Europa, come per esempio in Svizzera, in Austria e in molte altre regioni della Germania, dove è vietato lo spandimento di questi fanghi tossici;

tenuto, inoltre, conto che:

dalle problematiche evidenziate si ritiene molto poco efficace, per quanto riguarda l'effettiva tutela della salute pubblica, il controllo analitico previsto almeno una volta all'anno per i parametri PCDD/PCDF più PCB DL. Si ritiene che tutti i parametri strategici devono essere monitorati nei suoli ove i fanghi vengono sversati almeno ogni 4 mesi. Questo anche in relazione alle quantità e alle caratteristiche dei fanghi sparsi;

l'articolo 3, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 99 del 1992, "Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura", recita: "È ammessa l'utilizzazione in agricoltura dei fanghi indicati all'articolo 2 solo se ricorrono le seguenti condizioni: non contengono sostanze tossiche e nocive e/o persistenti e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l'uomo e per l'ambiente in generale";

l'Italia non ha ancora ratificato la Convenzione di Stoccolma che si pone come obiettivo l'eliminazione e la diminuzione dell'uso di alcune sostanze nocive per la salute umana e per l'ambiente definite inquinanti organici persistenti (POP o POPs) tra i quali diossine, benzofurani, policlorobifenili e IPA, che potranno essere sparsi sui suoli agricoli. Il disegno di legge "Ratifica ed esecuzione della Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, con Allegati, fatta a Stoccolma il 22 maggio 2001", AC 2806, è ancora in corso d'esame ed è fermo alla Camera dei deputati al 4 agosto 2021;

da ultimo, autorevoli pareri scientifici affermano che questi fanghi sono potenziali vettori di virus e batteri e, nello specifico, anche del COVID-19. Di recente è stata diffusa dall'OMS una nota informativa sui rischi da coronavirus nelle acque, incluse le acque reflue di cui i fanghi sono i materiali di risulta. Due studi di analisi metagenomica virale hanno dimostrato la presenza di coronavirus umani in fanghi di depurazione trattati e destinati all'agricoltura: uno studio del 2011 identifica i coronavirus 229E e HKU1 in fanghi trattati negli Stati Uniti, e un'altra ricerca riporta la presenza degli stessi coronavirus in fanghi in entrata e in uscita da digestori anaerobici;

il Governo aveva il preciso dovere di affrontare in maniera decisa la questione, che ha un impatto sulla salute, sull'ambiente e anche sull'economia molto più forte di quanto non sia ancora noto all'opinione pubblica, essendo l'emergenza sanitaria da COVID-19 prioritaria rispetto a quella relativa all'esigenza industriale di smaltimento dei rifiuti, in particolare in alcune regioni del Nord Italia;

l'ISS ha fornito raccomandazioni relative alle modalità di smaltimento dei fanghi trattati, nel rispetto delle prescrizioni normative di riferimento e limitatamente alle circostanze contingenti di emergenza della pandemia in corso; l'evidenza di manifestazioni cliniche associate a COVID-19, inclusa la diarrea, pone l'interrogativo circa la possibilità di trasmissione per via fecale-orale, a seguito del rilascio del virus nelle acque di scarico. Sulla base dei dati disponibili in letteratura, circa il 2-10 per cento dei pazienti con COVID-19 presentano diarrea, e due studi recenti hanno rilevato frammenti di RNA virale nelle feci. Solo uno studio ha dimostrato presenza del SARS-CoV-2 in un campione di feci mediante colture cellulari. Tuttavia, durante l'epidemia da SARS-CoV-1 del 2003 è stata dimostrata la presenza del virus nelle feci di pazienti infetti e la sua trasmissione attraverso produzione di droplet contaminati provenienti dal sistema fognario che venivano reintrodotti all'interno delle abitazioni attraverso le condotte aerauliche;

ancor più alla luce di questo, dispiace constatare che la revisione della normativa sui fanghi promessa dall'ex ministro Costa dopo l'approvazione dell'articolo 41 del decreto-legge n. 109 del 2018 non abbia ancora avuto seguito, a distanza di ormai 4 anni;

rilevato, infine, che:

la puntata del 10 gennaio 2022 di "Report" intitolata "L'odore dei fanghi" ha ricostruito la filiera "tal quale" e quella del prodotto diventato gesso di defecazione, una pratica ormai consolidata che si muove in un vuoto normativo, come ha ammesso lo stesso Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani. Quest'anno entrerà in vigore un nuovo regolamento europeo, ma ogni Stato può continuare a utilizzarli secondo le proprie normative nazionali. E se in Spagna, Gran Bretagna e Irlanda sono largamente impiegati come fertilizzanti, in Olanda, Belgio e Svizzera preferiscono incenerirli. In Italia i fanghi dei depuratori civili e industriali possono essere recuperati in agricoltura come concime perché contengono azoto e fosforo utili ai terreni, ma anche una serie di inquinanti, metalli pesanti, idrocarburi e PCB considerati cancerogeni. In Italia, incenerire il fango nei termovalorizzatori costa 140 euro a tonnellata, smaltirlo invece su un campo agricolo 65 euro. Meno della metà;

purtroppo, la presenza di sostanze altamente cancerogene nei fanghi, come ha affermato a Report la dottoressa Fiorella Belpoggi (direttrice scientifica dell'istituto "Ramazzini" di Bologna) finiscono direttamente negli alimenti; anche Attilio Bonetta, chimico, ha dichiarato a Report: "Il quantitativo di fanghi lavorati in provincia di Pavia è un milione e 100mila tonnellate/anno. Contengono contaminanti, metalli, microplastiche, antibiotici. Qui i terreni sono argillosi, si coltiva il riso, per cui vanno nelle falde. Ma solo 48 mila tonnellate provengono dalla provincia. Il resto da tutta Italia";

nelle intercettazioni nell'ambito delle indagini della Procura di Brescia a carico dell'azienda WTE Srl di Brescia, si odono due soggetti coinvolti dire le seguenti affermazioni: "Ho fatto il delinquente consapevolmente. Ogni tanto ci penso: chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais...cresciuta sui fanghi di Vercelli"; "Ti ho trovato un altro clientino a Sizzano, in Piemonte. Sono posti veramente belli, ma proprio paesaggisticamente... andiamo proprio a rovinarli coi gessi";

il 3 dicembre 2021 è stato posto agli arresti domiciliari finanche un sindaco, Giorgio Falbo, primo cittadino di Barbianello (Pavia), per presunta complicità negli sversamenti illegali. Gli arresti sono stati poi revocati, ma rimane per lui il divieto di dimora presso Belgioioso, il comune dove sorge l'impianto sequestrato dell'azienda Var Srl, coinvolta nelle indagini;

nel corso della medesima puntata di Report del 10 gennaio 2022, il ministro Cingolani ha assunto precisi impegni. Ha innanzitutto riconosciuto, a prescindere dalla differenza tra fanghi e gessi da defecazione, che, "normalmente, non dovrebbe nemmeno avvenire che ai fanghi da usi civili si uniscano fanghi di depurazione da reflui industriali. Ma è quello che a quanto pare è avvenuto, visto che dopo il decreto Genova sono stati innalzati i limiti per poter mettere insieme componenti diverse. Questo va assolutamente stroncato e va fatto quanto prima il tracciamento. Ci dovrà mettere mano la normativa nazionale e il nostro Ministero. È un ottimo momento per cominciare a lavorare su questo. Se viene sfruttata in maniera illegittima, la legge va cambiata. Studiamo le carte, ma dobbiamo intervenire e lo faremo. Lo faremo prestissimo";

il primo firmatario del presente atto di indirizzo ha presentato, nel 2018, alcuni emendamenti per sopprimere o modificare la disposizione riguardante i fanghi di depurazione nel decreto Genova ma, purtroppo, sono stati respinti. L'ex ministro Costa aveva promesso che quella norma sarebbe stata transitoria e che i limiti sarebbero stati rivisti quanto prima. Non si è fatto nulla. Evidentemente c'è un colpevole ritardo sul quale va richiamata una precisa responsabilità politica,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi al fine di giungere all'abrogazione della disposizione prevista dall'articolo 41 del decreto-legge n. 109 del 2018, per evitare la distribuzione di idrocarburi e altre sostanze nocive nei terreni agricoli e varare, come promesso allora dall'ex ministro Costa, una nuova normativa, anche armonizzando la misurazione degli idrocarburi in sostanza secca;

2) a varare una moratoria che sospenda immediatamente e per l'intero periodo dell'emergenza sanitaria, l'uso dei fanghi di depurazione civile e industriale sui terreni agricoli, il cui trasporto potrebbe ulteriormente veicolare il virus da COVID-19;

3) a rafforzare i controlli su smaltimenti illeciti di acque reflue o fanghi non trattati in impianti di depurazione che potrebbero causare esposizione umana a materiali potenzialmente infetti da SARS-CoV-2, anche attraverso la contaminazione di falde sotterranee o superficiali;

4) ad agire per la definizione di più stringenti limiti guida nazionali per individuare e monitorare l'inquinamento dei suoli agricoli, in particolare in coincidenza con lo spandimento di fanghi;

5) ad obbligare nei controlli che le analisi non siano solo sui metalli pesanti, ma anche su tutte le altre sostanze tossiche presenti nei fanghi;

6) a definire un periodo limite per la risoluzione dell'emergenza e, comunque, a limitare in tale periodo lo spargimento su terreni non destinati alla produzione di derrate alimentari;

7) ad obbligare i produttori e i distributori di ammendanti per l'agricoltura a confezionare ed etichettare i propri prodotti destinati alla commercializzazione, al fine di assicurare un'adeguata conoscenza delle sostanze ivi contenute;

8) a prevedere l'obbligo dell'adeguamento dei processi di produzione dei fanghi industriali al fine di abbattere la presenza di contaminanti e, quindi, obbligare al loro "pretrattamento";

9) a valutare di limitare, secondo le considerazioni svolte, lo spandimento dei fanghi civili, industriali ed ospedalieri, presunti vettori di virus;

10) a prevedere il divieto di immissione in pubblica fogna o conduttura delle acque reflue, per tutti gli impianti di trattamento di biodigestione dei rifiuti in caso di accertata non bioaccumulabilità degli scarichi da parte delle ARPA territoriali;

11) ad incaricare al più presto una commissione specifica multidisciplinare di esperti che predisponga una normativa adeguata sul tema, visto il quadro gravissimo che abbiamo di fronte, soprattutto per la presenza delle ecomafie, che mette in serio rischio i nostri suoli, le nostre acque superficiali e sotterranee, il nostro cibo, la nostra salute.

(1-00446)