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Atto a cui si riferisce:
C.4/10475 (4-10475)



Atto Camera

Risposta scritta pubblicata Martedì 21 dicembre 2021
nell'allegato B della seduta n. 619
4-10475
presentata da
OCCHIONERO Giuseppina

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in argomento si chiedono chiarimenti in merito alle soluzioni che il Ministro intende adottare per porre fine al trattamento diffuso nei confronti della dirigenza pubblica nazionale e locale, alla quale spesso non verrebbe corrisposta la componente accessoria della retribuzione connessa alla valutazione della performance.
  Segnatamente, l'interrogante denuncia il verificarsi di diversi casi in cui, per inerzia o per negligenza, le pubbliche amministrazioni – nazionali e, soprattutto, locali – non corrisponderebbero ai dirigenti la retribuzione di risultato, nonostante questi ultimi abbiano raggiunto gli obiettivi predeterminati e quindi abbiano maturato il diritto a tali somme.
  È necessario, in proposito, operare una distinzione: una cosa sono i problemi che possono sorgere a monte, per una disciplina normativa che presenta alcune criticità; altra cosa sono i casi di scorretta gestione amministrativa a valle, in cui le pubbliche amministrazioni vengono meno agli obblighi legali e agli impegni contrattuali assunti con i propri dipendenti. I due aspetti richiedono risposte differenti da parte di questo dicastero.
  Quanto al primo profilo, l'interrogante sostiene che «sarebbe opportuno prevedere sistemi sempre più automatici e oggettivi di valutazione, che, però, impediscano anche, in maniera categorica, che tali processi possano essere arrestati o addirittura inficiati da inerzia degli organi competenti».
  La proposta non è soddisfacente e ritengo vada esattamente nella direzione opposta rispetto a quella assunta negli ultimi anni dalla normativa di riferimento. Da vent'anni ormai i tentativi del legislatore sono rivolti a sottrarre la valutazione dei dipendenti pubblici – e in special modo dei dirigenti – ai rigidi automatismi della disciplina legale. Il tentativo di conformare l'azione amministrativa ad un modello «manageriale» mutuato dal settore privato ha imposto al legislatore di conferire ai vertici delle amministrazioni maggiore discrezionalità, proprio per consentire una valutazione quanto più puntuale e dettagliata possibile.
  A riprova di quanto detto, bisogna ricordare che la concreta valutazione della performance è stata delegata dal legislatore ai vertici amministrativi anche sottraendola, in linea di massima, alla contrattazione collettiva. L'articolo 40, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001, chiarisce infatti che la contrattazione in merito alla «valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio [...] è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge». E difatti, l'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2009, così come modificato dal decreto legislativo n. 74 del 2017, dispone proprio che «[i]l contratto collettivo nazionale, nell'ambito delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance ai sensi dell'articolo 40, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, stabilisce la quota delle risorse destinate a remunerare, rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale e fissa criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi [...] corrisponda un'effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati».
  D'altra parte, per garantire l'imparzialità della valutazione e la sua rispondenza al principio di buona amministrazione, l'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2009 ha previsto una forma di controllo interno, preposta al monitoraggio e all'asseverazione dei processi valutativi, impersonata dagli organismi indipendenti di valutazione (OIV), i quali godono di uno statuto di indipendenza funzionale all'interno delle pubbliche amministrazioni.
  Fra le funzioni assegnate a tali organismi, sono da segnalare la valutazione e il controllo strategico, che mirano a verificare l'effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico; il monitoraggio del funzionamento complessivo del sistema della valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni; la verifica circa la correttezza dei processi di misurazione e valutazione.
  Non va poi dimenticato che il dipartimento della funzione pubblica, nell'ambito della funzione di coordinamento assegnata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, finalizzata proprio a ridurre il rischio di un'applicazione disomogenea e dissonante delle prescrizioni normative nell'ambito della pubblica amministrazione in genere (e sottacendo l'attività di verifica dell'ispettorato, di cui fra poco si dirà), si è impegnato da tempo a fornire orientamenti univoci nel processo di costruzione del sistema (linee guida) e a promuovere lo sviluppo di competenze e conoscenze specifiche sul tema della performance, attraverso strumenti di diffusione delle esperienze e conoscenze, come le comunità di pratica.
  Detto questo, è innegabile che talvolta le inefficienze dell'apparato possano tradursi in un malfunzionamento del modello legale disegnato dal legislatore del 2009. Un problema di questo tipo, per esempio, può verificarsi qualora il vertice politico-amministrativo di un'amministrazione non adotti il piano della performance. In tal caso, l'articolo 10, comma 5, del decreto legislativo n. 150 del 2009, impedisce la corresponsione del trattamento accessorio ricollegabile alla valutazione dei risultati «ai dirigenti che risultano avere concorso alla mancata adozione del piano, per omissione o inerzia nell'adempimento dei propri compiti».
  Ora, una tale evenienza può verificarsi per negligenza degli uffici di vertice, ma può anche accadere che le pubbliche amministrazioni si ritrovino oberate di oneri amministrativi e burocratici eccessivi. Ciò è vero soprattutto per le amministrazioni di minori dimensioni, come quelle degli enti locali.
  Peraltro, proprio nei confronti delle regioni e degli enti locali, va precisato che, in base agli articoli 16 e 31, del decreto legislativo n. 150 del 2009, sussiste semplicemente un obbligo di adeguare i propri ordinamenti ai princìpi sopra elencati. In altri termini, anche il modello legale può differire fra i diversi livelli delle amministrazioni territoriali.
  In questo conteso, la regione Molise merita un discorso a parte. La relazione della Corte dei conti di accompagnamento al giudizio di parifica del rendiconto 2018 della regione Molise (Del. CdC n. 121/2019/PARI), infatti, ha evidenziato come, da un lato, la regione abbia recepito le linee programmatiche imposte dal decreto legislativo n. 150 del 2009; ma ha anche censurato, dall'altro lato, la concreta gestione amministrativa di valutazione della performance della regione, sottolineando come «dalla relazione sui controlli interni della Regione Molise dedicata alla valutazione del personale emerge un sistema complessivamente insoddisfacente quanto ai metodi ed ai sistemi utilizzati, che risultano incompleti, non aggiornati alla normativa vigente e non in grado di assicurare una valutazione integrata ed incrociata alle varie tipologie di controlli interni normativamente previste». Ora, proprio nell'ottica di provare a fornire una risposta «sistematica» alle possibili criticità accennate e, soprattutto, per prevenire il rischio di una mancata adozione dei piani da parte delle amministrazioni di minori dimensioni, il decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, ha recentemente introdotto una misura di semplificazione e razionalizzazione degli atti di pianificazione del personale pubblico. Mi riferisco al Piano integrato previsto dall'articolo 6 del predetto decreto, il quale, a regime, dovrà assorbire anche il piano della performance. Si tratta, in verità, di una misura la cui natura semplificatoria comporterà un minor onere amministrativo per le pubbliche amministrazioni, derivante dall'assorbimento in un unico documento di molteplici atti di programmazione e pianificazione attualmente vigenti.
  In questo modo si è inteso migliorare l'assetto normativo della materia, sottraendo alla dirigenza di vertice delle piccole amministrazioni qualunque appiglio legale alla sua eventuale negligenza. Ciò, tuttavia, non esclude del tutto che si verifichino situazioni ingiustificate in cui le pubbliche amministrazioni comunque non corrispondono la retribuzione di risultato ai propri dipendenti. Le fattispecie astrattamente configurabili sono infinite e possono discendere tanto dal dolo quanto dalla colpa grave degli organi di vertice, nonché da possibili situazioni di dissesto finanziario degli enti.
  Per questo motivo – e vengo al secondo profilo della mia risposta – non si possono confondere in questa materia gli aspetti legislativi – di competenza dello Stato e delle regioni in base ai rispettivi ambiti – con gli aspetti gestionali, i quali chiamano in causa la responsabilità delle singole amministrazioni direttamente coinvolte e che non competono direttamente al mio dicastero.
  Nello specifico, la mancata corresponsione del trattamento accessorio, se illegittima e connessa alla colpa grave o al dolo della dirigenza, può tradursi in una responsabilità per danno erariale, da sottoporre al vaglio della Corte dei conti. D'altra parte, una situazione di dissesto finanziario di un ente può ragionevolmente comportare un ritardo nei pagamenti dei dipendenti, ma questi ultimi risultano comunque parzialmente garantiti.
  In altri termini, l'universo delle ipotesi di illegittimità è ampio e per tali fattispecie è pur sempre possibile adire l'autorità giudiziaria per tutelare i propri interessi giuridici ed economici; spetta poi eventualmente alla funzione di sindacato ispettivo degli organi di rappresentanza politica delle autonomie territoriali esigere una risposta da parte delle rispettive amministrazioni.
  È sempre possibile, nelle fattispecie sopra richiamate, richiedere l'attivazione dei poteri di controllo da parte di questa amministrazione – per il tramite del proprio Ispettorato per la funzione pubblica – nel qual caso è necessario circostanziare nel dettaglio le situazioni di irregolarità riscontrate.
  In conclusione: l'indirizzo politico-legislativo costantemente ribadito negli ultimi anni dal legislatore induce a non percorrere strade atte a rendere «automatici e oggettivi» i sistemi di valutazione della performance.
  Nondimeno, un elemento di miglioramento della disciplina può rinvenirsi nella semplificazione amministrativa operata con il Piano integrato recentemente previsto dall'articolo 6 del decreto-legge n. 80 del 2021.
Il Ministro per la pubblica amministrazione: Renato Brunetta.