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Atto a cui si riferisce:
C.1/00553    premesso che:     la violenza degli uomini sulle donne – alla cui base sono radicati misoginia, discriminazione e un insostenibile divario di genere in termini sociali,...



Atto Camera

Mozione 1-00553presentato daSERRACCHIANI Deboratesto diMercoledì 24 novembre 2021, seduta n. 602

   La Camera,

   premesso che:

    la violenza degli uomini sulle donne – alla cui base sono radicati misoginia, discriminazione e un insostenibile divario di genere in termini sociali, lavorativi, salariali, culturali – rappresenta una tra le più gravi e profonde violazioni dei diritti umani a livello globale;

    il 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza degli uomini contro le donne, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999;

    questa particolare giornata fornisce un'occasione ai Governi, alle istituzioni nazionali, alle organizzazioni internazionali e alle organizzazioni non governative sia per organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica, sia per individuare sempre migliori strategie finalizzate allo sradicamento di quella che è una vera e propria «emergenza strutturale»;

    la cronaca quotidiana in Italia e nel mondo dimostra che non si può affrontare e sconfiggere la crescente ferocia degli uomini nei confronti di donne e bambine, in qualunque forma essa si manifesti – dalla violenza fisica a quella psicologica, dalla violenza domestica a quella economica, dall'odio in rete al revenge porn, dalla tratta allo sfruttamento, dallo stalking alle molestie e allo stupro, fino all'apice del femminicidio – senza correlarla al tema dell'uguaglianza di genere, della parità e delle pari opportunità, obiettivi ancora mancati;

    nel 2020, nel pieno del lockdown dovuto alla pandemia da COVID-19, le cose non sono certo migliorate, anzi il tema della violenza degli uomini contro le donne si è manifestato in tutta la sua drammatica specificità;

    tra il 1° gennaio e il 7 novembre 2021, in Italia, sono stati registrati 247 omicidi, con 103 femminicidi (una uccisa ogni tre giorni per mano di chi avrebbe dovuto amarla), di cui 87 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 60 hanno trovato la morte per mano del partner o dell'ex partner. Sono dati contenuti nell'ultimo report sugli «omicidi volontari» curato dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della polizia criminale;

    rispetto allo stesso periodo del 2020, si nota un lieve decremento (-2 per cento) nell'andamento generale degli eventi (da 251 a 247), mentre le vittime di genere femminile aumentano, così come i delitti commessi in ambito familiare/affettivo mostrano una leggera crescita; le vittime di genere femminile, da 83 nel periodo 1° gennaio-7 novembre 2020, arrivano a 87 nell'analogo periodo del 2021 (+5 per cento); stesso incremento (+5 per cento) per le donne vittime di partner o ex che passano da 57 a 60. In termini assoluti, le donne vittime di omicidi sono state 141 nel 2018, 111 nel 2019 e 116 nel 2020, ma la percentuale di vittime donne sul totale degli omicidi volontari è salita dal 35 per cento del 2019 al 40,5 per cento del 2020; nel 2021, fino al 7 novembre, risulta in ulteriore ascesa (41,7 per cento);

    nell'ultimo decennio è stato compiuto un importante sforzo in termini di mutazione e innovazione del quadro normativo, così come nella pianificazione di interventi e strumenti più aderenti alle necessità emergenti; tuttavia, poiché il fenomeno non accenna a diminuire, è evidente la presenza di un «baco» che impedisce la reale efficacia delle misure già predisposte per il contrasto alla violenza di genere;

    la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, evidenzia come il legislatore «in costante raccordo con tutte le istituzioni e gli ordini professionali coinvolti, ha il dovere di rafforzare e mettere a sistema i modelli positivi emersi, come pure di implementare le misure normative vigenti al fine di garantire a tutti i soggetti coinvolti l'accesso agli strumenti processuali e la formazione necessaria per una corretta lettura e un efficace e tempestivo contrasto della violenza di genere e domestica»;

    il primo atto parlamentare della XVII legislatura è stato la ratifica – con legge 27 giugno 2013, n. 77 – della cosiddetta Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza;

    la Convenzione precisa che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella sfera pubblica sia nella sfera privata; la Convenzione interviene, inoltre, specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini e anziani, ai quali si applicano le medesime norme di tutela;

    si è scelto, e bisogna proseguire sulla stessa direttrice, di far procedere in parallelo i piani della prevenzione, della protezione delle vittime, della formazione e della repressione, sulla scorta delle indicazioni e dei principi della Convenzione di Istanbul. Il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, (cosiddetto decreto contro il femminicidio) ha per la prima volta definito con chiarezza la centralità e la peculiarità della violenza compiuta entro le mura domestiche da chi ha vincoli familiari o affettivi con la persona colpita; ha, inoltre, introdotto profonde modifiche processuali a tutela della vittima, con l'obiettivo, da un lato, di rafforzare gli strumenti repressivi, secondo un disegno che tenga conto delle caratteristiche delle violenze di genere, e, dall'altro, con l'intenzione di implementare gli strumenti volti a tutelare la vittima stessa. Ha poi introdotto misure di sostegno per le donne e i minori coinvolti nella fase processuale: modalità protette per le testimonianze, gratuito patrocinio, dovere del giudice di comunicare rispetto alle modifiche delle misure cautelari, processi più rapidi e l'estensione del permesso di soggiorno alle donne straniere vittime di violenza domestica slegato dal permesso del marito;

    per quanto riguarda la dotazione di strumenti «repressivi», di particolare rilievo appare l'introduzione di un'aggravante per gravi delitti violenti da applicare in caso di «violenza assistita», e cioè avvenuta in presenza di minori, con particolare riferimento al regime della querela di parte: la querela è diventata irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate e aggravate. In tutti gli altri casi, comunque, una volta presentata la querela, la remissione potrà avvenire soltanto in sede processuale, ma il delitto resta perseguibile d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio, con la possibilità di disporre intercettazioni quando si indaga per stalking;

    si è agito, inoltre, introducendo importanti misure di prevenzione, quali l'ammonimento del questore anche per condotte di violenza domestica, sulla falsariga di quanto già previsto per il reato di stalking, l'allontanamento – anche d'urgenza – dalla casa familiare e l'arresto obbligatorio in flagranza dell'autore delle violenze. Per tentare di migliorare l'interazione tra chi subisce violenza e le autorità, sono stati poi inseriti specifici obblighi di comunicazione da parte dell'autorità e della polizia giudiziaria alla persona offesa e si sono previste modalità protette di assunzione della prova e della testimonianza di minori e di adulti particolarmente vulnerabili, inserendo, inoltre, i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e stalking tra quelli che hanno priorità assoluta nella formazione dei ruoli d'udienza, ed è stato esteso il gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito alle vittime dei reati di stalking, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili;

    con il decreto-legge n. 93 del 2013, la cosiddetta legge sul femminicidio, è stata estesa alle vittime dei reati di stalking, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili l'ammissione al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito;

    il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, in vigore dal 20 gennaio 2016, aveva infatti recepito la direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che istituiva norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e istituito il Fondo destinato al ristoro patrimoniale delle vittime di reati intenzionali violenti, che nel 2017 era stato dai Governi incrementato e alimentato dalle somme dovute a titolo di sanzione pecuniaria civile;

    negli ultimi giorni della XVII legislatura, il Parlamento ha approvato la legge n. 4 del 2018, volta a rafforzare le tutele per i figli rimasti orfani a seguito di un crimine domestico, che riconosce tutele processuali ed economiche ai figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti della vittima di un omicidio commesso da: il coniuge, anche legalmente separato o divorziato; l'altra parte dell'unione civile, anche se l'unione è cessata; una persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza con la vittima. La medesima legge, inoltre, modifica il codice penale intervenendo sull'omicidio aggravato dalle relazioni personali. Rispetto alla norma vigente, che punisce l'uxoricidio (omicidio del coniuge) con la reclusione da 24 a 30 anni, il provvedimento aumenta la pena ed estende il campo d'applicazione della norma. Modificando l'articolo 577 del codice penale, infatti, è prevista la pena dell'ergastolo se vittima del reato di omicidio è: il coniuge, anche legalmente separato; l'altra parte dell'unione civile; la persona legata all'omicida da stabile relazione affettiva e con esso stabilmente convivente;

    con l'entrata in vigore della legge 17 ottobre 2017, n. 161, di riforma del codice antimafia, agli indiziati di stalking potranno essere applicate nuove misure di prevenzione e, in particolare, sarà applicabile la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, a cui può essere aggiunto, se le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più province. Qualora le altre misure di prevenzione non siano ritenute idonee, può essere imposto all'indiziato di atti persecutori l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale. Infine, con il consenso dell'interessato, anche allo stalker potrà essere applicato il cosiddetto braccialetto elettronico, una volta che ne sia stata accertata la disponibilità. La riforma del codice consente, inoltre, l'applicazione agli indiziati di stalking anche delle misure di prevenzione patrimoniali;

    questo complesso sistema di misure a oggi, però, non appare sufficientemente efficace a contrastare il problema;

    la prevenzione è infatti la via maestra per risolvere questo fenomeno. È necessario un radicale cambiamento culturale e sociale, che l'impianto normativo dovrebbe accompagnare e favorire;

    la sfida del raggiungimento della parità di genere, fondamentale per contrastare la sottocultura della violenza degli uomini contro le donne, passa per l'eliminazione di barriere e ostacoli, quali, ad esempio, la situazione di inferiorità economica in cui si trovano endemicamente le donne nel nostro Paese e che vede le lavoratrici italiane guadagnare in media il 31,2 per cento in meno dei loro colleghi maschi, come riportato dall'Inps: proprio per affrontare il cosiddetto gender pay gap, e cioè il divario di genere in termini di guadagno a parità di mansioni fra uomini e donne, il Parlamento ha appena licenziato una legge che introduce controlli, sanzioni e anche premialità, nonché tutela contrattuale e flessibilità di forme di lavoro e orari; sulla base dell'ultimo report sul gender gap del World economic forum, l'Italia si colloca ancora al 76° posto su 153 Paesi della classifica mondiale, con un tasso di occupazione femminile fermo al 48,9 per cento, agli ultimi posti in Europa, e che vede le donne che lavorano subire penalizzazioni di ogni tipo;

    la Strategia europea per la parità di genere 2020-2025 e la Strategia nazionale italiana per la parità di genere di recente introdotta affrontano il problema e indicano le politiche per ottenere la parità di retribuzione. Tra queste, il sostegno all'educazione nelle materie Stem e digitali per le ragazze e le donne, così da facilitare l'accesso ai lavori del futuro negli ambiti green e digitali. Tra gli strumenti principali per contrastare questo fenomeno ci sono misure per l'armonizzazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro, come quelle contenute nel Family Act, interventi per una maggiore trasparenza sulle retribuzioni e una legislazione a supporto delle donne nei consigli di amministrazione delle società;

    la crisi economica legata alla pandemia da COVID-19 ha colpito duramente tutti, ma in particolare le donne; solo a dicembre 2020, su 101 mila unità di lavoro perse, 99 mila sono donne. Ma se si guarda l'insieme dei dati relativi ai mesi di pandemia, il risultato è anche più grave: su 456 mila unità di lavoro perse, più di 315 mila sono donne;

    il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta una grande occasione per intervenire sulle disuguaglianze e sul gender gap; la partecipazione all'economia italiana delle donne è ferma al 53 per cento, inferiore al resto dei Paesi europei (68 per cento), percentuali che si riflettono sul prodotto interno lordo: la Banca d'Italia, nei mesi scorsi, aveva calcolato un aumento del 7 per cento del prodotto interno lordo se si fossero raggiunti gli obiettivi europei di occupazione femminile (al 60 per cento) e di parità di salario;

    il Governo ha annunciato una Strategia nazionale per la parità di genere per gli anni 2021-2026 volta a scalare la classifica del Gender equality index, che vede oggi l'Italia ferma al 14° posto, con 63,5 punti su 100;

    le proposte del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevedono la digitalizzazione, l'innovazione, la competitività e la cultura, ovvero la promozione di posizioni dirigenziali di alto livello e incentivi per il corretto bilanciamento tra vita professionale e vita privata; investimenti nell'imprenditoria femminile digitale; un piano asili nido e di estensione del tempo pieno per semplificare la gestione della cura famigliare e l'occupazione femminile, uno specifico investimento nell'imprenditoria femminile, soprattutto nelle aree più critiche per la crescita professionale delle donne. In più, sono previste azioni per l'autonomia delle persone disabili che avranno effetti indiretti sull'occupazione femminile, nonché il rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto domiciliare;

    il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede, inoltre, un investimento significativo per le giovani donne, che beneficeranno di progetti nei campi dell'istruzione e della ricerca, come pure dello stanziamento di risorse per l'estensione del tempo pieno scolastico e per il potenziamento delle infrastrutture sportive (a tal proposito, è promossa l'attività motoria nella scuola primaria, in funzione di contrasto alla dispersione scolastica), nonché la previsione di una clausola di condizionalità per l'assunzione di almeno il 30 per cento di donne e giovani;

    per sottrarre nutrimento alla sottocultura della violenza di genere è necessario educare e formare per sconfiggere l'ignoranza e combattere la diffusione di stereotipi e di notizie false: il ruolo della scuola appare, come sempre, centrale; si devono dunque predisporre e mettere a disposizione gli strumenti necessari a valorizzare le differenze ed educare i giovani alla cultura del rispetto e, proprio in questo senso, essa deve fornire strumenti e metodologie per il superamento di pregiudizi e stereotipi e per attivare tutti gli interventi di prevenzione, informazione e sensibilizzazione, anche per fornire maggiori strumenti per un uso consapevole del web e dei social network;

    sul piano della comunicazione viene ancora riservata poca attenzione al ruolo che i media possono avere per consolidare una coscienza sociale diffusa di condanna del fenomeno. Troppe volte, soprattutto nei casi di femminicidio, i media tendono a far passare un messaggio fuorviante e diseducativo, sia sul piano del linguaggio sia su quello della rappresentazione della notizia. Espressioni come «amore malato», «eccesso di amore», «raptus» rimandano a una sorta di giustificazionismo dell'azione violenta. Anche su questo punto la Convenzione di Istanbul interviene in maniera puntuale con l'articolo 17, prevedendo la sensibilizzazione degli operatori dei settori dei media per la realizzazione di una comunicazione e di una informazione, anche commerciale, rispettosa della rappresentazione di genere;

    il ruolo delle associazioni di donne va riconosciuto, valorizzato e potenziato quale strumento fondamentale per la lotta contro la violenza maschile sulle donne. In tal senso, va garantita su tutto il territorio la presenza di case rifugio e di case delle donne in linea con i parametri internazionali, privilegiando quelle che possono garantire la qualità dei servizi e la competenza di genere e professionale;

    anche il trattamento e il recupero in termini rieducativi degli uomini violenti deve rappresentare una priorità, per riuscire a coniugare – nel rispetto dei principi costituzionali di cui all'articolo 27 della Costituzione – sicurezza delle vittime e funzione rieducativa della pena;

    come si legge nel rapporto del Grevio sullo stato di attuazione della Convenzione di Istanbul nel nostro Paese, pubblicato nel gennaio 2020, è oggi quanto mai necessario che si correggano tutte quelle prassi applicative che vittimizzano ulteriormente la donna che denuncia gli abusi subiti e che si proceda all'introduzione di una norma volta a sanzionare le molestie sessuali. Così come nel rapporto redatto nel novembre del 2019, il Grevio ha espresso preoccupazione nei confronti dell'Italia per «l'emergere di una tendenza a reinterpretare le politiche d'uguaglianza tra i sessi come politiche della famiglia e della maternità», trascurando la sfera della parità nel lavoro e nella società. Vuol dire che le politiche di genere devono essere mirate all'avanzamento sociale delle donne, alla loro realizzazione come persone e al loro percorso professionale;

    troppo spesso, infatti, le donne rischiano ancora di subire fenomeni di vittimizzazione secondaria derivanti dal contatto insoddisfacente con il sistema di giustizia penale, vivendo così un ulteriore trauma psico-emotivo. È quindi importante favorire, attraverso strumenti normativi, buone prassi e formazione mirata, integrata e permanente di tutti gli operatori coinvolti (anche sui contenuti della Convenzione di Istanbul) e dunque una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima di genere. Un ulteriore elemento di vittimizzazione secondaria, di cui occorre tenere conto, è l'estrema durata del procedimento penale;

    in merito alla sicurezza delle donne, i dati dicono che la diffusione di armi comporta un rischio maggiore di omicidi e di vittime nei settori più indifesi, in particolare donne e minori;

    purtroppo, ancora oggi, nei mondi che vengono a contatto con la violenza sulle donne, sono presenti molti pregiudizi. Pregiudizi che – uniti all'assenza di stigma sociale verso chi commette violenza sulle donne – possono comportare un'errata valutazione del rischio da parte degli operatori delle reti di protezione della donna vittima di violenza, con conseguente assenza di misure di protezione adeguate che possono avere come conseguenza il femminicidio. Troppo spesso dalle cronache giudiziarie emergono situazioni nelle quali il soggetto violento, trasformatosi in omicida di genere, non risultava sottoposto ad alcuna misura, pur avendo la donna più volte denunciato la violenza subita;

    la scelta di una donna vittima di violenza di affidare il racconto della propria storia alle forze dell'ordine va accolta con capacità e professionalità: chiedere aiuto è un punto di arrivo che segna il passaggio tra il passato e il futuro. Per queste ragioni, chi accoglierà tale affidamento, e soprattutto il modo in cui lo farà, può segnare una grande differenza nel prosieguo del viaggio di rinascita della donna,

impegna il Governo:

1) ad adottare tutte le iniziative necessarie per mettere a regime e rendere pienamente efficace e operativo il complesso sistema di strumenti e di tutele di cui il nostro Paese si è dotato, con l'obiettivo di raggiungere la piena applicazione della Convenzione di Istanbul e di contrastare e prevenire la violenza degli uomini sulle donne;

2) a proseguire l'azione di promozione della parità tra i generi e la prevenzione della violenza di genere attraverso l'educazione scolastica, sensibilizzando e finanziando progetti specifici anche sull'uso consapevole del linguaggio e dei social network;

3) ad assumere iniziative per investire risorse adeguate per la formazione specifica e per il necessario aggiornamento del personale chiamato a interagire con la vittima: forze dell'ordine, magistrati, personale della giustizia, polizia municipale e personale sanitario;

4) ad adottare iniziative normative per favorire il coordinamento tra processo penale, civile e tribunali per i minorenni, al fine di garantire un'efficace protezione delle donne e dei loro figli e per evitare del tutto l'affido condiviso nei casi in cui vi sia violenza domestica;

5) ad adottare iniziative volte a promuovere strumenti e procedure di valutazione del pericolo di letalità, gravità, reiterazione e recidiva del reato, partendo dall'esistenza di protocolli di valutazione del rischio sviluppati nell'ambito degli studi e delle ricerche sulla violenza di genere e di protocolli investigativi in via di diffusione presso le forze dell'ordine, con specifico riferimento a questa materia;

6) ad adottare iniziative per garantire adeguati stanziamenti finanziari per le case rifugio e per i centri di accoglienza, nonché per gli sportelli dedicati alle vittime di reati violenti, semplificando, velocizzando e rendendo stabile il percorso dei finanziamenti stessi, anche al fine di assicurare una loro adeguata distribuzione in tutto il territorio nazionale;

7) a monitorare l'applicazione omogenea di politiche e norme esistenti volte a garantire la parità di genere e a incrementare l'occupazione femminile, elemento, quest'ultimo, fondamentale per la liberazione delle donne dalla violenza, e a mettere in campo strategie efficaci volte a prevenire e perseguire ogni forma di violenza, fisica, psicologica e sessuale, che può affliggere le donne nel contesto di un rapporto di lavoro, così come in un percorso di studio o in un qualunque consesso sociale, dando così piena attuazione alla Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro n. 190 del 2019 contro le molestie e le violenze nei luoghi di lavoro;

8) a monitorare e garantire, per quanto di competenza, che le missioni indicate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza volte all'eliminazione del gender gap siano applicate concretamente in tutti i campi di azione indicati in premessa;

9) ad adottare nuove iniziative per introdurre strumenti volti a sostenere economicamente le donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza, nonché a favorirne l'inserimento nel mondo del lavoro e l'autonomia abitativa, con particolare attenzione alle fragilità legate alla povertà, alle migrazioni e alle vittime di persecuzione e di tratta;

10) ad adottare iniziative per contrastare con misure specifiche ogni forma di violenza di genere on line e di istigazione all'odio anche in rete nei confronti delle donne;

11) ad adottare iniziative per incrementare le forme di indennizzo per le vittime di reati violenti e gli orfani di femminicidio;

12) ad adottare iniziative necessarie a garantire, su tutto il territorio nazionale, che le vittime di reati, come lo sfruttamento della prostituzione, possano essere inserite in percorsi sociali per metterle in sicurezza dalle reti criminali che le sfruttano;

13) nell'ambito dello sviluppo di tutti gli strumenti più efficaci per prevenire e contrastare la violenza contro le donne, a proseguire nell'attività di monitoraggio della diffusione di armi per uso di difesa personale, nonché ad assicurare che, alla detenzione legittima di un'arma, corrisponda una tempestiva ed efficace comunicazione ai familiari e ai conviventi maggiorenni, anche diversi dai familiari;

14) a promuovere iniziative per incoraggiare le donne a denunciare, garantendo loro una rete di protezione che nasca e operi nell'ambito di una fattiva ed effettiva collaborazione interistituzionale.
(1-00553) «Serracchiani, Avossa, Bazoli, Benamati, Berlinghieri, Boccia, Boldrini, Bonomo, Bordo, Enrico Borghi, Braga, Bruno Bossio, Buratti, Campana, Cantini, Carla Cantone, Cappellani, Carè, Carnevali, Casu, Ceccanti, Cenni, Ciagà, Ciampi, Critelli, Dal Moro, De Filippo, De Luca, De Maria, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Delrio, Di Giorgi, Fassino, Fiano, Fragomeli, Frailis, Gariglio, Giorgis, Gribaudo, Incerti, La Marca, Lacarra, Lattanzio, Lepri, Letta, Lorenzin, Losacco, Lotti, Madia, Gavino Manca, Mancini, Mauri, Melilli, Miceli, Morani, Morassut, Morgoni, Mura, Nardi, Navarra, Nitti, Orfini, Pagani, Ubaldo Pagano, Pellicani, Pezzopane, Piccoli Nardelli, Pini, Pizzetti, Pollastrini, Prestipino, Quartapelle Procopio, Raciti, Rizzo Nervo, Andrea Romano, Rossi, Rotta, Sani, Schirò, Sensi, Siani, Soverini, Topo, Vazio, Verini, Viscomi, Zan, Zardini».