• Testo ODG - ORDINE DEL GIORNO IN ASSEMBLEA

link alla fonte scarica il documento in PDF

Atto a cui si riferisce:
S.9/DOC.XXIV,N ... II Senato, discusse le risoluzioni delle Commissioni 3a (Affari esteri, emigrazione) e 4a (Difesa) all'Assemblea sulla Deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla...



Atto Senato

Ordine del Giorno 9/DOC.XXIV,N.49/1 presentato da LOREDANA DE PETRIS
mercoledì 4 agosto 2021, seduta n. 355

Precluso
II Senato,
discusse le risoluzioni delle Commissioni 3a (Affari esteri, emigrazione) e 4a (Difesa) all'Assemblea sulla Deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni internazionali per l'anno 2021, adottata il 17 giugno 2021 (Doc. XXV, n. 4), e sulla Relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita al periodo 1° gennaio-31 dicembre 2020, anche al fine della relativa proroga per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2021, deliberata il 17 giugno 2021 (Doc. XXVI, n. 4), adottate ai sensi, rispettivamente, degli articoli 2 e 3 della legge 21 luglio 2016, n. 145; richiamati gli approfondimenti istruttori svolti e le comunicazioni del Governo sull'andamento delle missioni internazionali autorizzate per il 2020 e sulla loro proroga per l'anno in corso, nonché sulle missioni da avviare nel 2021, nell'ambito dell'esame dei sopra citati provvedimenti davanti alle Commissioni riunite Affari esteri e Difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica,
premesso che:
in seguito all'avvento delle Primavere Arabe e alla caduta del regime di Gheddafi, nel 2011 la Libia è precipitata in una condizione di conflitto militare e grave instabilità politica che la comunità internazionale per quasi un decennio non è stata in grado di gestire;
gli scontri, susseguitisi negli anni tra le forze affiliate al GNA (Government of National Agreement) a sostegno dell'ex primo ministro Fayez al-Serraj, con base a Tripoli, e quelle dell'auto-proclamato LNA (Libyan National Army) del generale Khalifa Haftar con base a Tobruk, hanno peggiorato la situazione di insicurezza del Paese, politicamente frammentato e dilaniato da un lungo conflitto civile;
durante il conflitto, le milizie, i gruppi armati e le forze di sicurezza in guerra fra loro hanno commesso gravi violazioni del diritto internazionale, compresi crimini di guerra e violazioni sistematiche dei diritti umani. Nei combattimenti sono state utilizzate armi trasferite illecitamente dai Paesi terzi che hanno sostenuto una delle due fazioni nonostante l'embargo totale stabilito dalle Nazioni Unite nel 2011;
dopo un lungo stallo, durante il quale sembrava azzerata ogni possibilità di considerare credibile un processo di stabilizzazione del Paese, il 23 ottobre 2020 a Ginevra è stato raggiunto un accordo per il cessate il fuoco tra LNA e GNA che ha permesso l'inizio ufficiale delle consultazioni politiche tra le parti libiche con l'inaugurazione del «Libyan Political Dialogue Forum»;
a marzo 2021 il Forum, che riunisce 75 rappresentanti dell'intero spettro sociale e politico libico, ha eletto Abdelhamid Dbeibah a capo del nuovo Esecutivo nazionale di transizione incaricato di traghettare il Paese alle elezioni previste per dicembre 2021;
i progressi ottenuti rappresentano ad oggi l'unica via percorribile per una transizione credibile verso la pace e la stabilità in Libia e per questo vanno tutelati e sostenuti. Tuttavia desta preoccupazione la battuta di arresto subita in questi giorni per il mancato accordo tra le parti sulla base costituzionale necessaria per le elezioni di dicembre, nonché la minaccia del generale Haftar di attaccare nuovamente Tripoli in caso di fallimento del processo;
in questo contesto gli accordi stipulati dall'Italia con il precedente Esecutivo guidato da al-Serraj e in generale le politiche migratorie dell'Unione europea hanno di fatto affidato alla Libia, in una scelta più ampia di esternalizzazione delle frontiere, la gestione dei flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo centrale e quindi la frontiera meridionale dell'Unione. Questo si è tradotto purtroppo in una violazione continuata dei diritti fondamentali di coloro che hanno tentato e tentano di attraversarla;
la condizione di decine di migliaia di rifugiati, richiedenti asilo e migranti in Libia rimane infatti drammatica: esposti ad arresti arbitrari e rapimenti per mano delle milizie, sono regolarmente vittime di trafficanti di esseri umani e di abusi da parte di gruppi criminali collusi con le autorità. Il prolungarsi di questa situazione di instabilità ha determinato un peggioramento della condizione di vita delle persone migranti nel Paese esponendoli a rischi sempre maggiori;
nei centri di detenzione amministrati dalla direzione per la lotta alla migrazione illegale e nei tanti luoghi di reclusione non ufficiali i prigionieri vengono sottoposti a sfruttamento, minacce, lavoro forzato, tortura e altre violenze, inclusi stupri, spesso allo scopo di estorcere denaro alle famiglie in cambio del loro rilascio;
come sottolineato, fra gli altri, dal Rapporto 2020-21 di Amnesty International, le condizioni dei detenuti sono disumane, di sovraffollamento e mancanza di cibo, acqua e cure mediche. La situazione sanitaria nei centri di detenzione si è ulteriormente aggravata a causa della diffusione del Covid-19;
a Tripoli, le condizioni dei centri di detenzione sono degenerate a tal punto da costringere Medici Senza Frontiere ad annunciare la sospensione, a giugno 2021, delle loro operazioni di assistenza medico-umanitaria a causa dei rischi per il proprio personale e dei numerosi episodi di violenza subiti dai migranti prigionieri che si rivolgevano all'équipe di MSF;
nel maggio del 2020 il Segretario generale delle Nazioni Unite ha dichiarato esplicitamente una forte preoccupazione per la condizione di rifugiati e migranti non solo nelle prigioni clandestine dei trafficanti, ma anche «nelle strutture di detenzione sotto il controllo del Ministero dell'interno», e ha esortato gli Stati membri a rivedere le politiche a sostegno del ritorno dei rifugiati e migranti in quel Paese;
chi riesce a fuggire dai centri di detenzione non ha altra alternativa che tentare la fuga attraverso il mare verso le coste europee affidandosi alle reti di trafficanti, che spesso sono gli stessi che gestiscono i centri e che li liberano in cambio del pagamento di ingenti somme di denaro. Al momento, infatti, non esiste alcuna via di accesso legale al continente europeo;
gli stessi centri vengono regolarmente ripopolati grazie all'intercettazione in mare di migranti e rifugiati da parte della Guardia costiera libica, che opera nella zona di competenza SAR dichiarata autonomamente dalla Libia senza che sussistano i requisiti fondamentali previsti dalle convenzioni internazionali, a partire dall'esistenza di un POS (Place of Safety) dove far sbarcare le persone soccorse. L'ONU, la Commissione europea, il Consiglio d'Europa infatti hanno più volte dichiarato che la Libia non può in nessun caso essere considerato un porto sicuro;
secondo i dati riportati dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), soltanto nei primi sei mesi del 2021 sono state intercettate quasi 15.000 persone nel Mediterraneo centrale. In tutto il 2020, secondo la stessa fonte, le intercettazioni sono state 11.821;
le operazioni della Guardia costiera libica non possono quindi essere considerate vere operazioni di SAR volte al salvataggio dei migranti e rifugiati in pericolo di naufragio. Al contrario, queste sono operazioni di intercettazione, spesso violente, come testimoniato da ultimo da un video ripreso dall'aereo di ricognizione della ONG Sea-Watch pochi giorni fa, nel quale la motovedetta libica Ras Jadir, donata dall'Italia nel 2017, viene ripresa mentre spara dei colpi su un barcone carico di persone tentando di speronarlo;
il Segretario generale dell'ONU l'anno scorso ha chiesto dunque di interrompere la cooperazione per la cattura dei migranti in mare esortando gli Stati membri «a rivedere le politiche a sostegno del ritorno di rifugiati e migranti in quel Paese». Nonostante tutto ciò, l'Italia, Malta e l'agenzia europea Frontex hanno intensificato il sostegno alla Guardia costiera libica a cui vengono segnalati i barconi da intercettare anche all'interno di SAR europee;
già nel 2019, la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa Dunja Mijatovic ha presentato 35 raccomandazioni agli Stati membri dell'organizzazione, e in particolare a quelli che sono anche membri della UE, affinché rispettino il giusto equilibrio tra il diritto di controllare i confini e il dovere di proteggere le vite e i diritti delle persone soccorse nel Mediterraneo. Una di queste chiedeva agli Stati membri dell'Unione europea di sospendere ogni collaborazione con la Libia finché non sarà provato che non siano violati i diritti umani delle persone sbarcate sulle sue coste;
il 5 aprile dello stesso anno il direttore generale dell'OIM António Vitorino ha dichiarato: «I migranti, compresi uomini, donne e bambini sono detenuti in condizioni spesso subumane», osservando che «la Libia non è un posto sicuro per rimpatriare i migranti che hanno tentato e fallito il raggiungimento dell'Europa»;
le violazioni organizzate e continuate da parte delle autorità libiche sono ora oggetto di un'indagine della Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità;
alla luce di queste considerazioni qualsiasi azione volta a riportare le persone salvate in mare in Libia quindi si configura come respingimento verso un luogo non sicuro in violazione delle Convenzioni e del diritto internazionale. Va ricordato infatti che l'articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione), prevede che «Le espulsioni collettive sono vietate» e «Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti»;
lo stesso principio di non respingimento è sancito dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, integrato dall'articolo 3 della Convenzione ONU contro la tortura, quindi richiamato dai Regolamenti europei n. 656/2014 e 1624/2016, che impedisce di respingere una persona verso uno Stato dove la sua vita sarebbe in pericolo o dove essa rischi di essere sottoposta a tortura o altro trattamento inumano o degradante. Questo divieto è stato interpretato dalla Corte europea dei diritti umani come applicabile anche ai casi di respingimento in alto mare. È quindi evidente come respingere una nave con persone soccorse verso un territorio dove queste persone potrebbero subire una violazione di diritti fondamentali costituisce un atto illecito;
il Regolamento di Frontex n. 656/2014 definisce il Place of Safety come il «... luogo in cui si ritiene che le operazioni di soccorso debbano concludersi e in cui la sicurezza per la vita dei sopravvissuti non è minacciata, dove possono essere soddisfatte le necessità umane di base e possono essere definite le modalità di trasporto dei sopravvissuti verso la destinazione successiva o finale tenendo conto della protezione dei loro diritti fondamentali nel rispetto del principio di non respingimento...»;
quando le autorità italiane sollecitano la responsabilità SAR «libica», con riferimento alle persone che, trovandosi a bordo di gommoni in acque internazionali, sono state segnalate per prima alle autorità italiane, e dunque ricadono già sotto la giurisdizione italiana, indipendentemente dallo Stato di bandiera dei mezzi civili o militari che vengono coinvolti nel soccorso, realizzano a tutti gli effetti una consegna (rendition) di quelle stesse persone alle autorità di un Paese che non garantisce un luogo di sbarco sicuro, che non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, nel quale sono note le collusioni tra autorità statali e trafficanti, e che, non da ultimo, si trova in una fase di instabilità politica e di grave violazione dei diritti umani anche ai danni della popolazione libica;
la collaborazione con il centro di coordinamento libico (JRCC) contraddice quindi le norme internazionali in materia di diritti umani e diritto dei rifugiati, innanzitutto perché i migranti corrono il pericolo di essere sottoposti a tortura e a trattamenti inumani e degradanti in Libia, come descritto sopra, e in secondo luogo perché le stesse autorità libiche potrebbero respingere i migranti verso i loro Stati di origine, dove potrebbero nuovamente essere sottoposti a tortura, trattamenti inumani e degradanti e persecuzioni, in violazione alle norme sulla tutela dei diritti umani e dei diritti dei rifugiati;
a ulteriore riprova dell'estrema pericolosità della rotta centrale del Mediterraneo laddove sorvegliata esclusivamente dalle autorità libiche, anche quest' anno si conferma la tendenza di brusca crescita del tasso di mortalità evidenziata dall'UNHCR. Nella prima metà del 2021, infatti, il numero di persone morte nel Mediterraneo centrale è triplicato rispetto all'anno precedente;
ciononostante, l'Italia e gli altri Stati membri dell'Unione europea hanno di fatto ritirato tutti gli assetti governativi di salvataggio in mare e hanno continuato a fornire supporto alla Guardia costiera e ad altre autorità libiche preposte al contenimento dei flussi migratori in uscita dal Paese;
questo avviene anche tramite la donazione di motovedette d'altura, come nel caso della Ras Jack menzionata sopra e della Ubari-660, che a maggio 2021 ha aperto il fuoco contro i pescherecci italiani Artemide e Aliseo;
per questo motivo è possibile sostenere che il Governo italiano, continuando a finanziare e supportare il sistema d'intercettazione della Guardia costiera libica e di fatto anche quello di detenzione dei rifugiati e migranti, si renderebbe corresponsabile delle violenze, delle torture e delle sistematiche violazioni dei diritti descritte finora, oltre che di azioni di respingimento illegali in violazione di tutte le convenzioni internazionali a tutela dei diritti umani;
inoltre, diversi report di organizzazioni non governative e numerose inchieste giornalistiche testimoniano come siano spesso le stesse milizie ed in particolare quelle delle città costiere a gestire sia i traffici di esseri umani che le attività di intercettazione della Guardia costiera. In particolare in un rapporto del Segretario generale dell'ONU al Consiglio di sicurezza dell'anno scorso viene segnalato un alto rischio di infiltrazione e di legami tra il personale della Guardia costiera libica e le milizie che gestiscono il traffico di esseri umani;
un caso emblematico in questo senso è quello di Abdurahman al-Milad, detto al-Bija, noto trafficante di esseri umani il cui ruolo è stato minuziosamente raccontato dal quotidiano Avvenire e in particolare dai giornalisti italiani Nello Scavo e Nancy Porsia, finiti sotto scorta nel nostro Paese per le minacce ricevute in seguito alle loro inchieste. Al-Bija è stato contemporaneamente a capo delle milizie di Zawiya, a supporto del Governo di Al Serraj a difesa di Tripoli, e della Guardia costiera Ovest a controllo dell'area da Tripoli a Zuwara, uno dei principali punti di partenza per le coste europee. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, gli uomini di Bija sono responsabili di violenze inaudite, stupri, estorsioni, torture, omicidi e vendita di esseri umani come schiavi;
in un documento a disposizione della procura presso la Corte penale internazionale in Olanda riportato da Avvenire si legge che alcuni dei suoi uomini avrebbero beneficiato del programma UE di addestramento e che le sue forze erano state destinatarie di una delle navi fornite dall'Italia. Si ricorda a tal proposito che Bija è stato ricevuto e accolto in Italia come esponente della Libyan Coast Guard e con tale ruolo ha partecipato ad incontri ufficiali;
a seguito delle accuse di crimini contro l'umanità avanzate dalla Corte dell'Aja, Bija è stato arrestato a Tripoli; inoltre l'ONU e l'Unione europea hanno disposto diverse sanzioni a suo carico, prevedendo anche il congelamento dei beni (richiesta mai eseguita dalle autorità governative libiche). Il trafficante è stato scarcerato nell'arco di pochi mesi e da poco è stato promosso dalle autorità di Tripoli al grado di maggiore della Guardia costiera a Zawyah;
le milizie implicate nel traffico di esseri umani sono le stesse che, guidate da logiche tribali e di potere basato sul controllo di porzioni di territorio e delle attività economiche illegali a queste collegate, contribuiscono all'insicurezza e instabilità del Paese, minacciando il processo di transizione pacifica inaugurato a Ginevra. In considerazione di ciò, la prosecuzione della Missione di supporto alla Guardia costiera libica finanziando e rafforzando indirettamente tali milizie contribuisce ad indebolire il processo di stabilizzazione della Libia;
in termini di oneri finanziari, il Governo nella recente deliberazione del Consiglio dei ministri ha deciso di mantenere il proprio sostegno e di prorogare la Missione di supporto alla Guardia costiera libica incrementando il finanziamento da euro 10.050.160 a euro 10.479.140, per un totale di euro 32.6 milioni di euro dal 2017, anno della firma dell'accordo Italia-Libia. A questi vanno aggiunti i costi sostenuti dai contribuenti italiani per le missioni navali nel Mediterraneo, nessuna delle quali ha compiti di ricerca e soccorso in mare: per l'anno 2021, euro 39.7 milioni destinati a EUNAVFOR MED Irini (scheda n. 6/2021), euro 46.7 milioni per la missione bilaterale di assistenza e supporto (scheda n. 18/2021) e euro 95.9 milioni per Mare Sicuro (scheda n. 34/2021) quest'ultima con un incremento delle risorse di oltre 15 milioni di euro senza alcuna variazione del personale e degli assetti coinvolti;
il fragile cessate il fuoco raggiunto ad ottobre scorso dovrebbe essere l'occasione per definire un piano di evacuazione, coordinato a livello europeo, di tutti i migranti e rifugiati detenuti arbitrariamente attraverso dei veri corridoi umanitari, proponendo inoltre un piano di riforme che metta fine alla loro detenzione obbligatoria e automatica. Ciò rappresenterebbe un investimento non solo più utile al miglioramento della condizione dei diritti umani nel Paese, ma anche della situazione socio-politica, oltre che un impegno sicuramente più coerente con l'articolo 10 della Costituzione italiana e con la Carta europea dei diritti dell'uomo;
alla luce di quanto fin qui esposto appare del tutto evidente l'urgenza di sospendere tutti gli accordi con la Libia in materia di controllo dei flussi migratori fino a quando non verranno ripristinate le condizioni minime di sicurezza e non vi siano garanzie sufficienti sul rispetto dei diritti umani. Continuare in questo contesto la collaborazione con delle pseudo istituzioni libiche preposte al controllo delle frontiere significherebbe renderci corresponsabili delle violenze che subiscono i migranti e i richiedenti asilo che vengono respinti grazie anche al contributo e al supporto logistico e al finanziamento, anche del Governo italiano, in luoghi di detenzione, di tortura che sono e sembrano sempre di più veri e propri campi di concentramento,
alla luce delle considerazioni che precedono, non si autorizza la proroga della missione bilaterale di assistenza alle istituzioni libiche preposte al controllo dei confini marittimi (Scheda 48).
(numerazione resoconto Senato G2)
(9/DOC.XXIV,n.49/1)
De Petris, Bonino, Verducci, Errani, Grasso, Marilotti, Buccarella, Nugnes, Ruotolo, Laforgia, La Mura, Granato, Mantero, Angrisani, Corrado, Fattori