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Atto a cui si riferisce:
S.1/00391 premesso che: Cesare Lombroso, nato a Verona nel 1835 e morto a Torino nel 1909, psichiatra e antropologo, è considerato il padre della criminologia moderna, nonostante già la scienza a...



Atto Senato

Mozione 1-00391 presentata da SAVERIO DE BONIS
giovedì 17 giugno 2021, seduta n.338

DE BONIS, DE FALCO, FANTETTI, LONARDO, LA MURA, GRANATO, ANGRISANI, BUCCARELLA, CORRADO - Il Senato,

premesso che:

Cesare Lombroso, nato a Verona nel 1835 e morto a Torino nel 1909, psichiatra e antropologo, è considerato il padre della criminologia moderna, nonostante già la scienza a lui contemporanea, oltre che quella postuma, avesse dichiarato infondate tutte le sue teorie definendole pseudoscientifiche;

a Torino insegnò medicina legale e igiene pubblica. Il suo lavoro fu intenso, diventò membro della Società freniatrica italiana da poco fondata, arricchì i laboratori universitari di nuova strumentazione e fondò quel laboratorio di medicina legale e di psichiatria sperimentale che in breve lo rese celebre in tutto il mondo;

Lombroso creò a Torino una nuova disciplina, l'antropologia criminale, sostenendo che i delinquenti sono portatori di tratti somatici distintivi. Nel 1898 fondò un museo di psichiatria e criminologia, appunto il museo Cesare Lombroso, la cui inaugurazione, però, non riuscì a vedere perché morì nel 1909. La direzione del museo passò quindi al genero di Lombroso, Mario Carrara. Nel 1932 il museo fu chiuso, e le teorie "positiviste" respinte;

la collezione è rimasta in stato di abbandono per mancanza di fondi per decenni, fino al 1985, quando dopo una mostra presso la Mole Antonelliana nasce l'idea di sottoscrivere un appello per il museo Lombroso, firmato da diversi intellettuali e studiosi di varie città italiane, rivolto agli amministratori piemontesi e all'università, per la salvaguardia del patrimonio lombrosiano. Nel 2009 il museo è stato riaperto e la collezione ha trovato la sua nuova sede presso il palazzo degli Istituti anatomici di via Pietro Giuria, in un allestimento permanente e aperto al pubblico;

considerato che:

il museo, oggi di proprietà dell'università di Torino, contiene circa 700 crani e poco meno di 200 cervelli umani. La gran parte di questi "reperti anatomici" fu raccolta personalmente dallo stesso Lombroso che all'epoca era medico militare al seguito dell'esercito piemontese inviato nell'ex Regno delle Due Sicilie per reprimere le rivolte scatenate dopo l'annessione al regno Sardo;

il museo rappresenta la più grande "fossa comune" di meridionali esistente al mondo, dato che vi sono contenuti i crani di uomini ritenuti delinquenti. Lombroso si basava infatti sulla tesi "dell'uomo delinquente nato o atavico", il delinquente per natura, individuo che recherebbe nella struttura fisica i caratteri degenerativi che lo differenziano dall'uomo "normale". La sua teoria aveva individuato il delinquente "perfetto" nel meridionale;

rilevato che:

una parte sempre crescente dell'opinione pubblica italiana ritiene il museo Cesare Lombroso un vero e proprio museo degli orrori. Dal sito internet del museo emerge che il nuovo allestimento vuole fornire al visitatore gli strumenti concettuali per comprendere come e perché questo personaggio così controverso formulò la teoria dell'atavismo criminale e quali furono gli errori di metodo scientifico che lo portarono a fondare una scienza poi risultata errata;

su alcuni punti fondamentali, le teorie di Cesare Lombroso non furono semplici errori scientifici compiuti in buona fede ma vere e proprie manipolazioni; lo si evince chiaramente a seguito di un sopralluogo organizzato dal primo firmatario della presente mozione con i dirigenti del museo, effettuato il 7 giugno 2021 con una delegazione composta dal professor Giuseppe Gangemi dell'università di Padova, autore del saggio "Stato carnefice o uomo delinquente - la falsa scienza di Cesare Lombroso" e altri meridionalisti: Roberto d'Alessandro, Amedeo Colacino, Enrico Fratangelo, Domenico Iannantuoni, Emilio Zangari. Il museo non opera questa distinzione e non mette in evidenza il fatto che Lombroso seguisse criteri riconosciuti come poco scientifici o ascientifici già dai suoi contemporanei;

pur avendo apportato alcune modifiche, il museo veicola ancora oggi un messaggio parziale (e perciò riduttivo e sbagliato) di che cosa sia scienza. Il metodo scientifico non consiste nello sbagliare e correggersi, ma nello sbagliare e correggersi pur avendo applicato i canoni della logica sperimentale, dal meno comprovante (il canone della concordanza usato con malizia da Lombroso che toglieva i casi che non si accordavano con le sue tesi) ai più comprovanti (il canone della differenza magistralmente usato da Charles Darwin e Max Weber o quello delle variazioni concomitanti usato da Emile Durkheim);

nel museo, in particolare, non si dice che Andrea Verga, al tempo medico e craniologo di chiara fama, sfidato da Lombroso a trovare un cranio di uomo onesto con fossetta occipitale della grandezza dell'atavico calabrese Giuseppe Villella, dopo tre anni di ricerca trovò il cranio in un onestissimo anziano signore di Bologna e ne riferì, con un documentato saggio, nel volume del 1876 su "Archivio per l'antropologia e la etnologia", rivista ufficiale della Società italiana di antropologia ed etnologia. Per avere rifiutato di rispondere alle prove empiriche scoperte da Andrea Verga, e per avere fondato, nel 1880, la rivista "Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale" che pubblicava esclusivamente i risultati ottenuti dalle sue ricerche e da quelle dei suoi allievi, Lombroso fu radiato dalla Società italiana di antropologia ed etnologia nel 1882;

un'altra questione sottaciuta dal museo è quella di Vincenzo Verzeni. Lombroso tolse il bergamasco Vincenzo Verzeni dalla categoria dei criminali "atavici" (lo era nella prima edizione de "L'Uomo delinquente") e lo passò nella categoria dei criminali "d'occasione" (nella terza edizione de "L'Uomo delinquente"). Lo fece perché le sue teorie razziste (i meridionali atavici in quanto appartenenti alla razza africana e i settentrionali non atavici in quanto appartenenti alla razza ariana) sarebbero meno credibili se un settentrionale fosse considerato atavico. Lo fa pur ritenendo, come rivelerà la figlia Gina Lombroso dopo la morte del padre, che in Verzeni egli avesse trovato la prova più diretta possibile dell'atavismo. Anche questa sua disonestà intellettuale era nota ai colleghi antropologi e si univa a quella, simmetrica, di considerare Villella un atavico, pur essendo stata pubblicata la prova inoppugnabile secondo cui non lo era effettivamente (la fossetta occipitale che Verga ha dimostrato essere presente anche in un galantuomo);

un'altra manipolazione sottaciuta è quella sul brigante Salvatore Misdea. Lombroso ne fece pubblicare un falso ritratto a matita. Il ritratto di Misdea fatto realizzare da Lombroso presenta tutti i tratti del criminale atavico secondo la sua teoria. È sicuramente un falso perché le descrizioni di Misdea fornite dai giornali del tempo sono compatibili con il ritratto pubblicato sul "Roma" e incompatibili con il ritratto pubblicato da Lombroso;

un'altra manipolazione sottaciuta si evince dal sopralluogo effettuato nella sala 9 del museo (cartello espositore con titolo "La razza"), dove si legge: "Lombroso adottava una definizione di 'razza' più generica, che si confonde con i concetti di etnia e nazionalità". È falso. Il concetto di razza di Lombroso non si è mai confuso con il concetto di nazionalità. Il museo non specifica che quando Scipio Sighele, allievo di Enrico Fermi, fa discendere dalla teoria delle due razze di Lombroso la conclusione che, essendoci nella penisola italiana e nelle isole due razze, ci sarebbero state due nazionalità e, quindi, ci sarebbero dovuti essere due Stati, Lombroso capì immediatamente che questo gli avrebbe tolto il favore delle élite intellettuali e politiche e reagì con rapidità utilizzando lo strumento dei quotidiani: in quattro articoli pubblicati sui quotidiani del tempo ridefinì la propria teoria delle due razze. Non sostenne più che esisteva una razza ariana al Nord e una al Sud, ma che esisteva una sola razza al Nord (quella ariana) e due al Sud: la classe dirigente meridionale che discende dai greci della Magna Grecia, i quali erano ariani (e quindi, i discendenti puri sono della stessa razza dei settentrionali), e gli altri meridionali che discendono da razze africane (e quindi, sono di razza africana);

un altro esempio di manipolazione di Lombroso, non specificata come tale dal museo, è quella relativa al cannibalismo sociale. Lombroso falsificò i dati per inventare il concetto di cannibalismo sociale esibito dei meridionali. Presentò, infatti, il caso del maresciallo D'Ancre, che era un maresciallo di Francia del XVII secolo, come una vittima cannibalizzata dai briganti meridionali. Inoltre, sottoscrisse il falso storico delle donne siciliane che, nel 1866, vendevano rotoli di carne umana, carne di carabiniere;

il museo compie anche altre gravi inesattezze. Afferma ad esempio nella sala 3 (pannello espositore con titolo "Lombroso e la medicina sociale") che "nel 1870 Cesare Lombroso riceve un premio per le sue ricerche sulla pellagra". Non è vero. Il presidente della commissione aggiudicatrice, Ercole Ferraris, comunicò che questa ricerca non raggiungeva l'assoluta dimostrazione e non può essere premiata. Inoltre, nella sala 4 (pannello espositore con titolo "1870: la 'rivelazione'") si legge: "L'autopsia di Giuseppe Villella fu eseguita a Pavia nell'agosto 1864 (...) Al momento dell'autopsia Lombroso non aggiunse altre osservazioni su questo caso". Non è vero. Lombroso non era presente al momento dell'autopsia di Villella;

i curatori del museo non hanno precisato che i crani presenti non furono mai protocollati da Lombroso. Anche in questo Lombroso fu scorretto come scienziato, in quanto lasciò centinaia di crani anonimi senza protocolli di ricerca che dicessero a chi fossero appartenuti e come fossero stati raccolti. L'assenza di accurati protocolli di ricerca è sempre stata considerata prova sufficiente di mancanza di metodo scientifico;

atteso che:

nel gennaio 2013 finanche il Comune di Torino, attraverso l'approvazione in Consiglio di una mozione sulla necessità della legittima, etica e cristiana sepoltura delle spoglie trattenute nel museo Lombroso, aveva impegnato il sindaco e l'amministrazione comunale a promuovere ogni iniziativa affinché venissero restituite le spoglie trattenute nel museo ai discendenti o amministrazioni comunali di origine che avessero fatto richiesta. Oltre al Comune di Torino sono ben 300 i Comuni d'Italia che hanno manifestato la stessa volontà di restituire la giusta tutela alla pietas verso i defunti;

in occasione del citato sopralluogo, invece, il Consiglio comunale di Torino sembra aver cambiato indirizzo. Il 7 giugno 2021, con una strana concomitanza temporale, il Consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno in cui si legge: "Si confonde la memoria storica e la narrazione di una ricerca con il racconto di questa storia, come se si chiedesse di abolire il museo di Auschwitz perché si tratta di razzismo, invece si tratta del contrario". Ma non è la stessa cosa. Il museo di Auschwitz è un museo degli orrori e delle mostruosità. Non si può mettere sullo stesso piano il museo Lombroso con il museo di Auschwitz. Anche perché non esiste ad Auschwitz una sezione dedicata al dottor Josef Rudolf Mengele, laureato in antropologia e medicina, in cui si presentino i suoi esperimenti sui gemelli come errori scientifici. Di lui non si dice che è stato uno scienziato che ha fatto degli esperimenti e che ha sbagliato nel metodo. Di lui si dice, giustamente, che è stato un militare e criminale nazista. La validità degli esperimenti di Mengele ad Auschwitz non è mai stata presa in considerazione, data l'abnormità delle sue teorie;

tenuto conto che:

alla luce delle imprecisioni e omissioni evidenziate, la funzione di propaganda del museo è ancora attuale e alimenta odio e razzismo che violano il principio europeo di non discriminazione. Lombroso propagandò intenzionalmente idee razziste per fare gli interessi della classe dominante. La questione più profonda è dunque anche di natura politica, come dimostra bene il professor Gangemi nel già citato libro. Lombroso era perfettamente organico a una classe intellettuale che faceva gli interessi della classe dominante e pur di portare avanti la propaganda voluta dal neonato Stato unitario fu disposto a distorcere o inventare "di sana pianta" teorie che furono rifiutate con orrore dai suoi colleghi, tutto affinché la gente semplice non si lasciasse convincere a seguire progetti politici alternativi;

per accreditare questa dominazione, Lombroso non esitò a: a) teorizzare la teoria dell'atavismo criminale sulla base della ormai celebre fossetta occipitale, che è stato peraltro dimostrato essere un falso; l'atavismo criminale non identifica i criminali, è una teoria sballata e razzista a prescindere dall'origine geografica; è razzista nei confronti della razza umana; b) teorizzare l'esistenza di due razze in Italia: quella ariana al Nord e quella africana al Sud; c) falsificare i dati pur di consolidare la teoria del cannibalismo sociale esibito dei meridionali; d) utilizzare un metodo scientifico intrinsecamente sbagliato, ma soprattutto arretrato rispetto agli altri scienziati dell'epoca che usavano tutti i canoni logici sperimentali di John Stuart Mill, come aveva insegnato a fare nelle scienze umane Charles Darwin, mentre Lombroso ne usava uno solo, il meno affidabile, quello della concordanza;

ancora oggi si sente parlare di questo personaggio nei libri di scuola, nelle università e nella toponomastica stradale. In un momento in cui sono molto forti le nuove teorie lombrosiane (vedi le recenti teorie di Richard Lynn), il museo contribuisce a tramandare lo stereotipo razzista attraverso simboli efficaci e non ambigui, per esempio il riconoscimento di un museo dedicato esclusivamente a un antropologo che ha teorizzato una chiara separazione tra razze buone e cattive;

rilevato che:

la scienza non è solo teorie e prove sperimentali. Essa è anche tradizione di pensiero e riceve reputazione dal potersi presentare come una generazione di scienziati che può guardare più lontano perché sta "sulle spalle" dei predecessori. Richard Lynn sarebbe stato più facilmente liquidato come fascista o razzista se non avesse potuto appoggiarsi sulla reputazione di "scienziato" che, a torto, ha ricevuto Cesare Lombroso che ha avuto tanto carisma da riuscire a portare un falso mito razzista a diventare realtà per alcuni pochi scienziati, per un crescente numero di politici e per molte masse che ancora oggi danno credito all'idea della supposta inferiorità dei meridionali;

tuttora la comunicazione del museo diffonde assai discutibili teorie che potrebbero ingenerare nuove forme di fenomeni razzisti tra le nuove generazioni; l'immagine che viene trasmessa al visitatore induce a pensare che la supposta inferiorità dei meridionali sia concreta e attuale;

ancora oggi intere comunità di italiani si sentono offese per un grosso equivoco scientifico e storico che continua e che il museo non aiuta certo a smascherare;

la "diversità" del Meridione, celebrata dal museo, entra e si fissa nell'immaginario del visitatore del museo stesso, nel segno dell'inferiorità antropologica e dell'incomprensione culturale;

tenuto, inoltre, conto che:

nel decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, recante "Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica" (Gazzetta Ufficiale 12 agosto 2003, n. 186), è stata introdotta una precisazione di estrema importanza: "L'Unione europea respinge le teorie che tentano di dimostrare l'esistenza di razze umane distinte". Con questa precisazione, finalmente, l'Unione europea prende una chiarissima posizione ufficiale in materia, che dovrebbe applicarsi anche al museo Lombroso, fonte di razzismo scientifico;

le tesi razziste del museo Lombroso potrebbero presupporre altresì una violazione dell'articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con altri articoli della Carta europea dei diritti dell'uomo;

le autorità italiane non hanno fatto tutto ciò che ci si poteva attendere da loro al fine di indagare sui fatti, tenendo conto in particolare della natura razzista fondata su basi antiscientifiche. L'Italia ha omesso di indagare sull'ipotesi di un movente razzista; si è di fronte a sentimenti anti meridionali asseritamente espressi in un museo finanziato dallo Stato italiano e la possibilità di restituire i resti del calabrese Giuseppe Villella è stata negata;

le istituzioni statali devono farsi carico di queste giuste rivendicazioni così come avvenuto all'estero per altre comunità. In Europa e nel mondo ci sono infatti diversi casi sovrapponibili. La Francia ha accettato di restituire ai loro discendenti i resti del Liempichún Sakamata, un tehuelche che costituiva la collezione del museo dell'Uomo di Parigi, dove è stato esposto fino al 2009; sempre in Francia, il Musée du quai Branly di Parigi ha restituito venti teste di maori a Te Papa, il museo nazionale neozelandese di Wellington; il Museo etnologico di Berlino nel 2020 ha restituito alla Nuova Zelanda due teste maori mummificate e tatuate, conosciute come toi moko, rimaste lontane dalla loro terra di origine rispettivamente una dal 1879 e l'altra dal 1905; in Australia, il Tasmanian museum a distanza di molti anni nel 1976 ha concesso la sepoltura dello scheletro della donna nota come Truganini; infine, in Germania, a distanza di un secolo, sono stati consegnati alla Namibia i resti di venti dei loro connazionali periti tra il 1904 e il 1905 durante la rivoluzione del popolo Herero contro le autorità dominatrici tedesche che sfociò nel sangue: primo genocidio del XX secolo autorizzato dall'allora generale tedesco Lothar von Trohta. Dopo il massacro, circa 300 teschi dei namibiani furono trasferiti a Berlino per esperimenti scientifici;

è dovere dello Stato, delle istituzioni politiche e culturali, tenere nella dovuta considerazione la sensibilità di interi territori che, ancora oggi, devono a malincuore tollerare le assurde teorie lombrosiane, che oltretutto alimentano un sentimento divisivo e per niente riconciliante; non ci può essere nazione senza memoria, unità senza riconoscimento dei propri errori,

impegna il Governo:

1) ad assumere tutte le iniziative possibili affinché il museo sia chiuso, oppure, in subordine, sia aggiornata la sua missione o denominazione e nelle singole sale emerga con chiarezza l'inattendibilità delle teorie dell'atavismo criminale e l'erroneità del metodo scientifico adoperato da Lombroso;

2) ancora in subordine, a valutare la possibilità che in luogo del museo Lombroso venga ospitato il vero museo di antropologia ed etnografia, il quale esponeva anche preziosi manufatti egizi prima della chiusura al pubblico, avvenuta nel 1984 in quanto il palazzo che attualmente lo ospita non risponde più ai criteri di sicurezza. Va evidenziato, infatti, che l'università di Torino ha preferito puntare sul museo Lombroso invece che sulla riqualificazione di un museo costruito secondo i criteri scientifici adottati dalla Società italiana di antropologia ed etnologia (società dalla quale Lombroso venne radiato nel 1882);

3) a restituire le spoglie trattenute nel museo all'amministrazione comunale di Napoli, per il suo valore simbolico e per aver già espresso nel 2013 il Consiglio comunale di Torino questa volontà, affinché siano sottoposte ad una legittima, etica e cristiana sepoltura, sostituendole, eventualmente, con spoglie fittizie;

4) a modificare la toponomastica dell'intera nazione che reca il nome di Lombroso e, qualora il Governo senta l'esigenza di confrontarsi preventivamente con la comunità scientifica, a far sì che ciò non avvenga attraverso la selezione di un "comitato di saggi" di nomina politica, ma avvenga attraverso un convegno aperto a tutti gli studiosi nazionali e internazionali che abbiano pubblicato scritti significativi sull'opera complessiva di Lombroso: il tema è di grande attualità e di grande peso politico e merita attenzione al massimo standard scientifico possibile.

(1-00391)