Testo MOZIONE
Atto a cui si riferisce:
C.1/00432 premesso che:
solo tre anni fa, proprio negli Stati Uniti, l'ex presidente americano Barack Obama, denunciava al termine di un'intervista: «L'innovazione è...
Atto Camera
Mozione 1-00432presentato daRAMPELLI Fabiotesto diMercoledì 17 marzo 2021, seduta n. 470
La Camera,
premesso che:
solo tre anni fa, proprio negli Stati Uniti, l'ex presidente americano Barack Obama, denunciava al termine di un'intervista: «L'innovazione è inarrestabile e sta accelerando. Avete visto cos'è successo ai negozi, alle vendite dello scorso Natale. Amazon e le vendite online stanno uccidendo il retail tradizionale, e quello che è vero lì, sta per diventare vero attraverso tutta la nostra economia»;
il potere crescente dei giganti di internet è da tempo oggetto di indagini e preoccupazione da parte della autorità statunitensi ed europee: a inizio ottobre 2020 un rapporto del Congresso Usa ha riscontrato una lunga serie di comportamenti nocivi per la concorrenza e i consumatori messi in atto da Amazon, Google, Apple e Facebook, auspicando interventi che spezzino posizioni monopolistiche ormai consolidate e inscalfibili dalla concorrenza;
anche in Europa, il colosso dell'e-commerce, Amazon, è finito nuovamente sotto i riflettori della Commissione e accusato di aver violato le norme antitrust, distorcendo la concorrenza nei mercati al dettaglio online;
in particolare, secondo la tesi dell'Antitrust, nella doppia veste di gestore della piattaforma per le vendite in cui sono «ospitati» anche rivenditori terzi e di venditore diretto di suoi prodotti sulla medesima piattaforma, Amazon godrebbe e approfitterebbe di una posizione di vantaggio a scapito degli altri rivenditori, che sono sia clienti che concorrenti;
le evidenze raccolte dalla Commissione in un primo parere di contestazioni indicano che quantità «molto grandi» di dati non pubblici relativi ai rivenditori sono disponibili ai dipendenti del servizio di vendita al dettaglio di Amazon e affluiscono direttamente nei sistemi operativi che aggregano i dati e li utilizzano per calibrare le offerte al dettaglio e le decisioni strategiche. Tutto a scapito dei rivenditori stessi;
la società di Seattle, inoltre, utilizzerebbe impropriamente i dati privati dei rivenditori terzi per posizionarsi meglio con le sue offerte: secondo quanto riportato dai documenti pubblicati dall'organo di vigilanza europeo, Amazon sfrutterebbe le informazioni ricavate dalle attività di tali venditori per abbassare i prezzi, generare offerte e ottenere maggiore profitto, concorrendo in modo sleale;
usando le parole di Margrethe Vestager, commissaria europea alla concorrenza, «Dobbiamo garantire che le piattaforme con doppio ruolo di potere nel mercato, come Amazon, non distorcano la concorrenza. I dati sull'attività di venditori di terze parti non devono essere utilizzati a vantaggio di Amazon quando agisce come concorrente di questi venditori. Le regole di Amazon non dovrebbero favorire artificialmente le offerte di vendita al dettaglio di Amazon o favorire le offerte dei rivenditori che utilizzano i servizi di logistica e consegna di Amazon. Con l'e-commerce in forte espansione e Amazon è la principale piattaforma di e-commerce, un accesso equo e senza distorsioni ai consumatori online è importante per tutti i venditori»;
quella che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano una spudorata gestione dei dati, consentirebbe, di fatto, al colosso dell'e-commerce di evitare i normali rischi di impresa e di sfruttare la posizione dominante per la fornitura di servizi, in violazione dell'articolo 102 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue) che vieta l'abuso di una posizione dominante sul mercato;
la posizione dominante è stata accertata in Francia e Germania, i maggiori mercati europei, sui quali si è concentrata finora l'indagine della Commissione, ma l'accusa contro Amazon, se accertata, conferma l'impatto devastante delle politiche commerciali attuate dal colosso americano sul commercio, non solo francese e tedesco, ma anche italiano, che sta subendo un vero e proprio sciacallaggio commerciale, particolarmente accentuato da quando è scoppiata l'emergenza pandemica;
l'indiziato responsabile del graduale svuotamento della grande e piccola distribuzione, nelle varie analisi, rimane lo stesso: l'e-commerce in generale e Amazon, in particolare;
secondo i dati Istat, relativi all'andamento del commercio al dettaglio nel 2019, il valore delle vendite è cresciuto dello 0,8 per cento ma con dinamiche piuttosto diversificate tra le varie forme distributive: le vendite dei piccoli negozi risultano in flessione per il terzo anno consecutivo (-0,7 per cento), con punte del -1,3 per cento per i negozi fino a cinque addetti, mentre il 2019 si conferma l'anno dell'e-commerce, con le vendite online che, su base annua, volano al +18,4 per cento rispetto al 2018;
un rapporto del centro studi di Mediobanca ha evidenziato una crescita delle prime 25 società internet al mondo dieci volte superiore all'industria tradizionale, con un fatturato, nell'ultimo quinquennio analizzato, in crescita del 118 per cento a fronte del +10 per cento delle industrie tradizionali; i profitti sono cresciuti del 24 per cento contro il modesto +0,6 per cento della grande manifattura;
non si può, da un lato, riconoscere che i sistemi commerciali delle aree urbane rappresentano veri e propri luoghi di riferimento per intere comunità, e dall'altra far «suicidare» il commercio di vicinato nell'assenza totale di regole condivise e di un supporto delle istituzioni; che è, di fatto, quanto sta accadendo, con notevoli ripercussioni sul piano occupazionale, sociale e di tenuta del sistema produttivo nazionale;
solo a titolo esemplificativo, se i negozi fisici, in media, impiegano 49 persone per ogni 10 milioni di vendite, nel caso di Amazon si scende a 23 persone, sempre per ogni 10 milioni di ricavi; i commercianti hanno limiti di orari, non possono stare sempre aperti come, invece, può fare un negozio online; i commercianti che decidono di praticare sconti su alcuni articoli, fuori dal periodo dei saldi, devono comunicarlo al comune; online si può scontare tutto, senza dar conto a nessuno;
e ancora, i commercianti sono sovraesposti a fenomeni estorsivi e, nonostante questa incombente minaccia, ogni giorno, alzando le saracinesche danno il loro insostituibile contributo alla sicurezza delle strade e degli stessi cittadini, che si sentono rassicurati dalla presenza fisica degli operatori e dalla luce delle vetrine e delle insegne;
dal 2020, ogni giorno viene ricordata l'emergenza sociale quale conseguenza drammatica dell'emergenza sanitaria che il mondo sta vivendo: migliaia di posti di lavoro sono scomparsi, il tasso di occupazione è sceso al 57,9 per cento (penultimo posto in Europa) e quello di disoccupazione è al 6,3 per cento (tra i più bassi degli ultimi decenni), con un'incidenza dei «nuovi poveri» passata dal 31 per cento al 45 per cento;
tale situazione senza precedenti, però, è anche conseguenza diretta dei nostri metodi di produzione, globalizzati, che se, da un lato, quello più facile da vedere, ostentano efficienza, comodità e un relativo risparmio; dall'altro lato, hanno mostrato un mondo sempre più povero, meno tutelato, ricattabile: se a un risparmio di tempo e denaro individuali corrisponde un maggior costo sociale in termini di dignità dei lavoratori e posti di lavoro, allora il bilancio è certamente negativo. E lo è per tutti, perché una società più povera, in termini economici, morali, di sicurezza è un costo per tutti;
e non solo, perché alla perdita di lavoro si aggiunge quella di gettito fiscale locale, ponendo davanti a un duplice evidente problema: di concorrenza sleale verso gli altri operatori commerciali e di perdita di importanti risorse da investire sul territorio;
i giganti del web nel 2018 hanno versato all'erario 64 milioni di euro, pari a circa il 2,7 per cento dei ricavi; nulla in confronto alla crescita vertiginosa dei fatturati, con picchi anche del 300 per cento e incassi pari a 850 miliardi di euro;
solo in Italia le multinazionali del web hanno realizzato ricavi per 3,3 miliardi di euro; ma nel 2019 hanno pagato in tasse soltanto 70 milioni di euro: Amazon ha versato 10,9 milioni a fronte di un fatturato di 1 miliardo di euro; Microsoft 16 milioni di euro, Google 5,7 milioni, seguita da Facebook con soli 2,3 milioni di tasse pagate e Netflix con l'incredibile cifra di 6 mila euro;
le tasse, naturalmente, si calcolano sugli utili e non sui ricavi, ma queste società non rendono noto come sono suddivisi i profitti nei diversi Paesi e attraverso operazioni tra filiali domiciliate in diversi Stati riescono a spostare gli utili nei paesi dove il prelievo è bassissimo o inesistente;
attraverso queste tecniche, definite di «ottimizzazione fiscale», i giganti di internet sono riusciti a sottrarre al fisco tra il 2015 e il 2019 qualcosa come 46 miliardi di euro;
un recente report dell'ufficio studi della Cgia di Mestre ha evidenziato che le piccole e medie imprese (Pmi) italiane hanno un carico fiscale quasi doppio delle multinazionali del web: se, infatti le prime registrano un carico fiscale complessivo che si attesta al 59,1 per cento dei profitti (The World Bank, «Doing Business 2020», 24 ottobre 2019), le multinazionali del web presenti in Italia, o meglio le controllate di questi giganti economici ubicate sul nostro territorio, registrano un tax rate del 33,1 per cento (Area studi Mediobanca, «I giganti del websoft», 27 novembre 2019);
la questione di una tassazione dei servizi digitali viene discussa da anni, in sede internazionale, ma anche europea e nazionale, con l'obiettivo di colmare il divario di tassazione fra i ricavi tradizionali e quelli digitali;
in Italia alcuni passi avanti sono stati fatti con l'adozione della cosiddetta «digital tax» (introdotta dalla legge di bilancio 2020), ossia l'imposta applicata, nella misura del 3 per cento, sui ricavi derivanti dalla fornitura di servizi digitali. La forma e le modalità applicative sono state mutuate dalla proposta di direttiva COM(2018)148 final del Consiglio relativa al sistema comune d'imposta sui servizi digitali applicabile ai ricavi derivanti dalla fornitura di taluni servizi digitali, ma l'imposta, nella sua attuale formulazione, non consente di escludere dal campo di applicazione le imprese che fruiscono, dietro corrispettivo, dei servizi digitali messi a disposizione dei grandi operatori del web e, soprattutto, le imprese nazionali;
è dunque, necessario un intervento che consenta di recuperare un serio obiettivo di equità fiscale;
basti pensare, peraltro, che la pandemia da Covid-19 ed i connessi effetti economici, hanno costretto il Governo a proporre al Parlamento una serie di scostamenti di bilancio a copertura degli interventi economici, quando una effettiva applicazione della «digital tax» assicurerebbe alla finanza pubblica un gettito stimato di circa 600 milioni di euro annui;
con l'avvicinarsi del Natale, peraltro, la campagna vendite di Amazon si è fatta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, assillante e invasiva e rischia di trovare terreno fertile nella chiusura di negozi disposta dalle misure di contenimento dei contagi, che sta costringendo molte attività commerciali di vicinato, tra cui spesso botteghe storiche, a chiudere, definitivamente o in attesa di tempi migliori;
ma vi è di più, perché dove non è arrivata Amazon ci ha pensato il Governo italiano, permettendo di spendere sulla piattaforma anche il buono mobilità 2020 per acquistare una bicicletta, una e-bike o un monopattino elettrico;
per uscire da questa crisi, è necessario recuperare due aspetti: la nostra sovranità nazionale ed europea e il nostro spirito di solidarietà; bisogna tornare ad occuparsi dei nostri negozi «di strada», nei centri storici, come nelle periferie;
le istituzioni hanno il dovere di sostenere con lo stesso parametro usato per i lavoratori dipendenti i negozi di vicinato, escludendo dai contributi i giganti del web e il circuito e-commerce che sta effettuando un vergognoso sciacallaggio sulla crisi, a danno del commercio di prossimità;
non si tratta solo di un intervento necessario per ovvie ragioni economiche, ma per presidiare una socialità ormai persa: questi negozi, nei piccoli centri come nelle periferie delle grandi città, rappresentano luoghi di aggregazione, un avamposto contro l'illegalità, il degrado, la desertificazione di strade e quartieri;
la sopravvivenza del commercio nelle nostre città ha oggi solo una soluzione: regole che incoraggino i negozi di vicinato a concorrere con i giganti del web, perché difendere il commercio di prossimità significa impedire la desertificazione delle città: non si tratta solo di una questione economica, ma anche e soprattutto sociale e di qualità della vita,
impegna il Governo:
1) ad attuare una politica nazionale che metta gli esercizi di vicinato in condizione di concorrere con i colossi del web, salvaguardando il tessuto economico e sociale, attraverso l'adozione di iniziative volte a prevedere regole eque ed uniformi per tutti, anche per quanto riguarda le promozioni commerciali, come il black Friday o il Prime Day, a tutela dei consumatori e di un mercato sano;
2) ad adottare iniziative normative per introdurre una tassazione agevolata per le attività commerciali in zone svantaggiate, dai piccoli comuni, alle periferie delle città metropolitane, alle aree depresse e ai comuni montani;
3) ad adottare iniziative normative per modificare i parametri della «digital tax» per escludere dal campo di applicazione della stessa le imprese nazionali e colpire le asimmetrie fiscali di cui godono le multinazionali del web, destinando prioritariamente le risorse ricavate al ristoro delle piccole e medie imprese e delle attività commerciali di vicinato, tra cui le botteghe storiche, che rappresentano un patrimonio unico dal punto di vista culturale e della tutela del made in Italy;
4) a porre in essere ogni iniziativa utile nelle competenti sedi europee finalizzata a rivedere la proposta di direttiva COM(2018)148 final del Consiglio relativa al sistema comune d'imposta sui servizi digitali applicabile ai ricavi derivanti dalla fornitura di taluni servizi digitali, al fine di assicurare una tassazione coordinata a livello globale che consenta di limitare i comportamenti di elusione fiscale.
(1-00432) «Rampelli, Ferro, Silvestroni, Bucalo, Mollicone, Bellucci, Rotelli, Galantino, Deidda, Rizzetto, Varchi».