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Atto a cui si riferisce:
C.4/06051 (4-06051)



Atto Camera

Risposta scritta pubblicata Mercoledì 23 dicembre 2020
nell'allegato B della seduta n. 445
4-06051
presentata da
GIANNONE Veronica

  Risposta. — L'interrogante chiede di sapere se il Ministro della giustizia intenda adottare iniziative normative «affinché sia escluso il riconoscimento dell'alienazione parentale, concetto che, nonostante i cambiamenti di denominazione, rimane privo di validità e affidabilità scientifica e che pertanto non può considerarsi sufficiente ai fini della decisione di allontanare un genitore dal proprio figlio».
  L'interrogazione prende le mosse dal sit-in organizzato nel mese di giugno 2020 da «un gruppo di madri» allo scopo di sensibilizzare autorità e istituzioni sugli «allontanamenti ingiustificati dei minori dalle loro famiglie».
  In tale occasione è stato sollecitato l'ascolto del minore, come previsto dalla legge, ed è stato chiesto che l'opinione in tale contesto espressa venga presa in «debita considerazione».
  Sempre nel corpo dell'interrogazione si fa presente inoltre che «il Tg2» ha realizzato un servizio «in cui emerge che il filo conduttore che lega la maggior parte delle vicende... è rappresentato dalle consulenze tecniche dei tribunali che dispongono l'allontanamento dei bambini da casa, in piena discrezionalità, basandosi sulla tristemente famosa alienazione parentale» definita anche disturbo relazionale, atteggiamento simbiotico, malevolo o troppo amorevole.
  Vengono infine sommariamente illustrati specifici casi nei quali sarebbe stato determinante, nell'orientare la decisione di allontanamento del minore, il suo mancato ascolto da parte del giudice.
  Tanto premesso, vertendosi di procedure giudiziarie in corso, o di potenziali instaurande, deve specificarsi come gli atti rogatori non possano tradursi in forme d'ingerenza con l'esercizio della funzione giurisdizionale e con l'applicazione, nel caso controverso, di un determinato quadro normativo, operando in tali ambiti l'autorità giudiziaria in piena autonomia e indipendenza.
  Ferma l'intangibilità delle scelte processuali e di merito dell'autorità giudicante, in mera ottica collaborativa – avuto riguardo all'istituto dell'«ascolto del minore nei tribunali» menzionato nell'interrogazione in oggetto – si rammenta come la legge 10 dicembre 2012, n. 219 abbia inserito nel codice civile il nuovo articolo 315-bis ai sensi del cui comma III, «il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano».
  Tale diritto, da ritenersi enucleato quale riflesso del dovere dell'autorità giudiziaria di ascoltare il minore, trovava già riconoscimento, fra l'altro, nei procedimenti di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio ed inerenti la prole nata fuori dal matrimonio (ai sensi del combinato disposto degli articoli 155-sexies del codice civile e 4 comma 2, legge n. 54 del 2006) nonché in quelli volti ad ottenere il consenso mancante dell'altro genitore al riconoscimento (articolo 2050 comma 4 del codice civile) ed in altri procedimenti/questioni concernenti i minori; d'altro canto, la Convenzione di New York del 1989 all'articolo 12 ha sancito il diritto del fanciullo capace di discernimento di esprimere la sua opinione su qualsiasi questione che lo interessi, dandogli la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerna (vedi comma 2 dell'articolo 12, «in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale»), e analogamente l'articolo 6 della legge n. 77 del 20 marzo 2003 (di «ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996»), dispone che nei procedimenti riguardanti un minore l'autorità giudiziaria, prima di giungere a qualunque decisione, deve:

   a) esaminare se dispone di informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell'interesse superiore del minore e, se necessario, ottenere informazioni supplementari, in particolare da parte dei detentori delle responsabilità genitoriali;

   b) quando il diritto interno ritiene che il minore abbia una capacità di discernimento sufficiente: assicurarsi che il minore abbia ricevuto tutte le informazioni pertinenti, nei casi che lo richiedono, consultare il minore personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore, permettere al minore di esprimere la propria opinione;

   c) tenere in debito conto l'opinione da lui espressa.

  Sulla falsariga della normativa nazionale e sovranazionale in tema di audizione del minore, la Suprema Corte è addivenuta all'indirizzo che l'istituto in esame integri un adempimento necessario, nelle procedure giudiziarie riguardanti i minori, in particolare in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 e dell'articolo 155-sexies, del codice civile, introdotto dalla legge n. 54 del 2006, salvo che l'ascolto possa porsi in contrasto con gli interessi superiori dell'interessato (così da Cass. Civ. S.U., 21 ottobre 2009, n. 22238; conformi: C. civ. 16 giugno 2011, n. 13241; C. civ. 11 agosto 2011, n. 17201). Fermi gli enucleati principi, il diritto all'audizione non risponde dunque ad un diritto assoluto del minore, da escludersi laddove l'ascolto sia inutile o non riscontri comunque il superiore interesse del fanciullo; cosicché, sia pure con adeguata motivazione, il giudice può soprassedere su tale incombente processuale laddove lo ritenga manifestamente superfluo o contrastante col relativo equilibrio psico-fisico (arg. da Cass. Civ. 18538/13, Cass. Civ. 19327/2015; con analoga ratio Cass. Civ. 3540/14, Trib. Milano sentenza 30 aprile 2013).
  Sotto altro profilo, il codice di procedura, civile disciplina l'attività del consulente tecnico nella sezione III del Libro I, agli articoli 191 e seguenti.
  Non sono state adottate norme che abbiano specificamente ad oggetto le indagini peritali disposte dal giudice nell'ambito di procedimenti che hanno ad oggetto l'affidamento di un minore, e che in tale ambito verifichino la capacità genitoriale del padre o della madre o di entrambi.
  Secondo giurisprudenza ormai consolidata, la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, ma è un mezzo di valutazione delle prove offerte dalle parti, con il quale il giudice acquisisce, ove necessario, il parere di professionisti dotati di particolari competenze tecniche senza, tuttavia, essere vincolato al parere così espresso (si veda, tra le molte, Cass. Civ. sez. VI – 3 del 7 giugno 2019, n. 15521).
  La giurisprudenza distingue, inoltre, tra consulenza tecnica d'ufficio «percipiente», con la quale il giudice può affidare al consulente fatti accertati o dati per esistenti, e consulenza d'ufficio «deducente» con la quale il giudice può affidare al consulente il compito di accertare determinati fatti, purché si tratti di fatti che possono essere rilevati esclusivamente con il ricorso a determinate cognizioni tecniche.
  In tale ipotesi la consulenza (deducente) può fungere da strumento di accertamento di questo genere di fatti, ferma restando tuttavia la discrezionalità del giudice nella valutazione delle prove ai fini della decisione (v. Cass. Civ. Sez. III, ordinanza 15747, depositata il 15 giugno 2018).
  L'articolo 196 del codice di procedura civile consente inoltre al giudice, se ricorrono «gravi motivi», di rinnovare le indagini peritali e sostituire il consulente tecnico inizialmente nominato (cosa che sembra sia accaduto nella causa indicata dall'interrogante).
  È garantito alle parti del processo il diritto di partecipare alle indagini peritali facendosi assistere da propri consulenti, come dispone l'articolo 194, comma secondo il codice di procedura civile.
  Vige infine il principio del libero convincimento del giudice nella valutazione delle prove offerte dalle parti, ivi compresi i pareri tecnici resi dal consulente d'ufficio, come stabilito in generale dall'articolo 116 del codice di procedura civile a mente del quale «il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti», e può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno quando rispondono all'interrogatorio non formale (articolo 117 del codice di procedura civile), così come dal rifiuto ingiustificato di consentire le ispezioni ordinate dal giudice stesso, e in generale, dal «contegno delle parti stesse nel processo».
  Si deve pertanto escludere che l'inserimento o il mancato inserimento di una determinata patologia psichica nel novero dei disturbi «riconosciuti» dalla comunità scientifica di riferimento costituisca di per sé elemento idoneo a influenzare l'esito di una controversia, anche qualora tale accertamento sia oggetto di una consulenza «deducente».
  L'eventuale diagnosi, nel corso di una consulenza d'ufficio, di patologie psichiatriche, anche di quelle sulla cui effettiva identificabilità vi è dibattito scientifico, lascia infatti impregiudicata la facoltà del giudice di discostarsi motivatamente dalle conclusioni del Ctu sia in base al proprio «prudente apprezzamento», sia in base alle controdeduzioni svolte dalle parti attraverso i propri consulenti, oltre che in base alla complessiva valutazione delle prove.
  Secondo la giurisprudenza di legittimità, la capacità genitoriale deve essere valutata partendo da dati di fatto concreti e oggettivi (Cass. 7041/2013).
  L'affidamento del minore, inoltre, deve essere ispirato al suo diritto alla bigenitorialità (v. Cassazione civile sez. I, 19 maggio 2020, n. 9143) così come la necessità di operare, in sede di verifica della capacità genitoriale, accertamenti multifattoriali, escludendo quindi che i giudici di merito possano dare esclusivo rilievo alla pur accertata esistenza di problemi psichici o psicologici del genitore (Cassazione civile sez. I, 18 ottobre 2018, n. 26293).
  La cosiddetta sindrome da alienazione parentale non risulta essere ufficialmente riconosciuta come patologia psichica né in generale, né come patologia specificamente rilevante nei procedimenti di affido o collocamento del minore, né vi è evidenza, nella giurisprudenza di legittimità, di un riconoscimento – di fatto – di tale sindrome, né di un orientamento interpretativo che favorisce una valutazione «monofattoriale» della capacità genitoriale limitata alla valutazione di eventuali disturbi psichici o psicologici.
  Quanto al diritto del minore di essere sentito dal giudice nel corso di qualsiasi procedimento finalizzato ad adottare decisioni che lo riguardano, si evidenzia che tale diritto è previsto, per i minori che abbiano compiuto 12 anni, ma anche per i minori di età inferiore, purché abbiano capacità «di discernimento» dagli articoli 315-bis, comma 3, 336-bis, comma 1, e 337-octies del codice civile, introdotti con legge n. 219 del 2012 e con decreto legislativo n. 154 del 2013.
  Lo stesso diritto è previsto, in identici termini, nell'ambito dei procedimenti di adozione, dall'articolo 15, legge n. 184 del 1983.
  Nessuna delle norme citate contiene, invece, un obbligo a carico del giudice di accogliere le eventuali preferenze espresse nel corso dell'ascolto.
  Inoltre, secondo Cass. Sez. I, n. 12018/2019 «L'audizione dei minori, già prevista nell'articolo n. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che lì riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003, nonché dell'articolo 315-bis c.c. (introdotto dalla l. n. 219 del 2012) e degli articoli 336-bis e 337-octies c.c. (inseriti dal decreto legislativo n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l'articolo 155-sexies del codice civile). Ne consegue che l'ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse.».
  La decisione che riguarda l'affido del minore ed eventualmente l'opportunità di mantenere rapporti con la famiglia di origine, deve del resto essere assunta dal giudice operando una valutazione multifattoriale degli elementi rilevanti (v. ad esempio Cass. Sez. I, 4 novembre 2019, n. 28257), con necessario bilanciamento dei contrapposti interessi alla luce del superiore interesse del fanciullo.
  Quindi che questa complessa ponderazione difficilmente potrebbe essere svolta in modo adeguato qualora venissero introdotte, con legge, significative limitazioni a carico dell'organo giudicante, ad esempio mediante attribuzione di assoluta prevalenza a uno solo dei numerosi fattori potenzialmente rilevanti.
  Tanto esposto con riferimento all'assetto normativo vigente, allo stato, non sono allo studio del Ministero ulteriori atti di iniziativa legislativa nella materia indicata dall'interrogante.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.