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Atto a cui si riferisce:
S.4/03695 NENCINI, CUCCA, MODENA, BONINO, PITTELLA - Al Ministro della giustizia. - Premesso che: Walter Tobagi (nato a Spoleto il 18 marzo 1947), giornalista del "Corriere della Sera", scrittore...



Atto Senato

Risposta scritta pubblicata nel fascicolo n. 081
all'Interrogazione 4-03695

Risposta. - Occorre segnalare che la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella pronuncia della quale si argomenta nell'atto di sindacato ispettivo, ha affrontato la vicenda esclusivamente sotto il profilo della libertà di espressione dei giornalisti protetta dall'articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo delle libertà fondamentali. Di conseguenza la premessa dell'atto riguarda un profilo della vicenda dell'omicidio Tobagi differente dal contenuto della richiesta finale di intervento rivolta al Ministero. In ogni caso, considerato il rispetto per le attribuzioni rimesse all'autorità giudiziaria con riferimento all'approfondimento dei fatti relativi all'omicidio e le prerogative investigative connesse sulle quali non risulterebbe ammissibile alcuna interferenza, si osserva quanto segue.

Nella sentenza Magosso e Brindani del 16 gennaio 2020, emessa sul ricorso recante n. 59347/11, la Corte europea ha accertato la violazione dell'art. 10 della Convenzione in relazione alla condanna dei due giornalisti, Renzo Magosso e Umberto Brindani, all'epoca dei fatti rispettivamente giornalista e direttore responsabile del settimanale "Gente", condanna comminata dai giudici nazionali per la pubblicazione di un articolo dal contenuto giudicato diffamatorio; in particolare, la Corte ha ritenuto che tale condanna si sia tradotta in un'ingerenza sproporzionata nel diritto alla libertà di espressione dei ricorrenti non "necessaria in una società democratica". La Corte ha osservato che i fatti descritti nell'articolo giornalistico riguardavano un argomento di interesse generale, contribuendo al dibattito pubblico, avendo ad oggetto, in particolare, fatti controversi nella recente storia italiana, vale a dire l'assassinio di un giornalista da parte di un gruppo terrorista e l'influenza della loggia massonica P2 sulle istituzioni italiane durante gli "anni di piombo".

Per quanto riguarda le notizie di stampa basate su interviste, la Corte ha operato una distinzione tra le dichiarazioni del giornalista e quelle di terzi, che sono state poi citate dal giornalista stesso nel suo articolo pubblicato. In particolare, nel caso di specie, la Corte ha affermato che i tribunali nazionali non hanno fatto distinzione tra le dichiarazioni fatte dal primo ricorrente, il giornalista, e quelle fatte da DC, che era il vero autore delle affermazioni diffamatorie. DC in effetti era stato già condannato in altro ed autonomo procedimento e secondo la Corte questo era già un esito sufficiente per garantire i diritti delle persone offese costituite come parti civili. La Corte ha dunque ribadito che, quando i giornalisti raccolgono dichiarazioni rese da terzi, la questione principale è se abbiano agito in buona fede e se abbiano rispettato l'obbligo di verificare i fatti a seguito di una verifica scrupolosa delle fonti. Nel caso di specie, ha osservato che i ricorrenti avevano fornito un gran numero di documenti e di elementi che consentivano di ritenere che la versione dei fatti presentata nell'articolo potesse essere considerata attendibile e che la base fattuale fosse solida.

Tali valutazioni, che vertono non sulla verità, bensì sull'attendibilità della versione dei fatti e sulla loro solidità, sono in linea con la necessità che la Corte delimiti solo il campo di estensione della libertà di stampa, di cui all'art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, a prescindere dall'accertamento dei fatti storici per come effettuato dai tribunali italiani, accertamento su cui nemmeno la Corte può influire.

In particolare, nella motivazione della richiamata sentenza (punto 47) della sentenza si legge: "Alla funzione della stampa che consiste nel diffondere informazioni e idee su questioni di interesse pubblico si aggiunge il diritto per il pubblico di riceverne (si vedano, tra altre, Observer e Guardian c. Regno Unito, 26 novembre 1991 par. 59, serie A n. 216, e Dupuis e altri c. Francia, n. 1914/02, par. 41, 7 giugno 2007). Ciò premesso, la Corte osserva che, nel caso di specie, il ragionamento dei tribunali nazionali non dimostra che questa considerazione sia stata ritenuta pertinente né che abbia influito sull'esame della causa. I tribunali hanno insistito sul carattere 'scandalistico' dell'articolo (paragrafi 17 e 21 supra) senza bilanciare sufficientemente i diversi valori e interessi in conflitto". Infine: "55. In secondo luogo, la Corte rammenta che, quando i giornalisti riprendono delle dichiarazioni fatte da una terza persona, il criterio da applicare consiste nel chiedersi non se tali giornalisti possano dimostrare la veridicità delle dichiarazioni in questione, ma se abbiano agito in buona fede e si siano conformati all'obbligo che normalmente hanno di verificare una dichiarazione fattuale fondandosi su una base reale sufficientemente precisa e affidabile che possa essere considerata proporzionata alla natura e alla forza di quanto affermano (Dyundin, sopra citata, par. 35), sapendo che più l'affermazione è seria, più la base fattuale deve essere solida (Pedersen e Baadsgaard sopra citata, par. 78)".

Non si può dunque ricavare dalla sentenza della Corte europea elementi che possano sostenere ricostruzioni in ordine all'individuazione delle responsabilità per l'omicidio di Walter Tobagi, posto che l'oggetto del giudizio non poteva che essere quello relativo al contemperamento tra la libertà di espressione del giornalista e il diritto alla reputazione degli ufficiali dei carabinieri querelanti.

BONAFEDE ALFONSO Ministro della giustizia

15/10/2020