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Atto a cui si riferisce:
C.4/04539 (4-04539)



Atto Camera

Risposta scritta pubblicata Mercoledì 14 ottobre 2020
nell'allegato B della seduta n. 408
4-04539
presentata da
BORDONALI Simona

  Risposta. — In relazione ai quesiti sollevati nell'atto di sindacato ispettivo in esame, si espone quanto segue.
  In data 17 gennaio 2020, il detenuto Aitlaasri Ismael, allocato presso la sezione ex articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, alle ore 14.30 circa ha messo in atto una forma di protesta per avere tabacco e farmaci, danneggiando un tavolo e uno sgabello.
  La sorveglianza generale, giunta sul posto unitamente ad altro personale ha visto il detenuto, posizionato davanti alla propria camera di pernottamento, brandire il piede del tavolo precedentemente danneggiato ed impugnare una lametta e minacciare il personale intervenuto.
  Mentre si cercava di contenere il ristretto, è intervenuto a supporto del personale un altro detenuto, Niemen Ronald Gino, che ha subito a sua volta un'aggressione; a supporto del detenuto aggressore è improvvisamente intervenuto un altro ristretto, Chabib Bela, il quale ha aggredito un assistente del corpo, alzandolo di peso e scaraventandolo a terra, per poi aggredire un altro operatore, che ha riportato una distorsione al dito.
  Successivamente il detenuto Niemen, nel tentativo riuscito di evitare che il Chabib colpisse un agente con una lametta, è stato ferito alla mano destra e al volto durante la colluttazione.
  Solo con l'intervento del comandante del reparto e di altro personale in supporto è stato possibile isolare i rivoltosi e riportare l'ordine e la sicurezza.
  I detenuti coinvolti sono stati condotti in infermeria per le cure del caso ed il detenuto Aitlaasri è stato inviato al pronto soccorso per ulteriori accertamenti.
  Al suo rientro in sezione, il detenuto Chahb ha iniziato a gridare in modo chiaro e sostenuto per una decina di minuti: «Allah Akbar», nel tentativo di ottenere il sostegno di altri detenuti della sezione; solo il detenuto Aitlaassri si è associato, mentre gli altri si sono dissociati da tale gesto con minacce e intimazioni verbali.
  Data la gravità dei fatti accaduti, la direzione ha richiesto al locale provveditorato l'immediato allontanamento dei soggetti verso altra sede per motivi di ordine e di sicurezza; il relativo carteggio è stato inoltrato alla locale procura della Repubblica.
  Su disposizione del locale provveditorato, in data 18 gennaio 2020 il detenuto Aitlaasri è stato trasferito presso la casa di reclusione di Vigevano ed in data 20 gennaio 2020 il detenuto Chahb è stato trasferito presso la casa circondariale di Busto Arsizio.
  Giova evidenziare che nei confronti di Chahb Belal il tribunale di Brescia in data 14 giugno 2019 ha definito con sentenza il procedimento mod. 21 n. 17753/2017 per le ipotesi di reato di cui agli articoli 612, commi 1 e 2, e 61 n. 10 del codice penale e che in data 4 gennaio 2020 il Gip presso il tribunale di Brescia ha emesso la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere in relazione al procedimento mod. 21 n. 85/2020 per le ipotesi di reato di cui agli articoli 56-628 commi 1 e 3, 56 e 575 del codice penale; a carico di Chahb Belal e di Aitlaasri Ismael risulta inoltre iscritto a mod. 21 in data 29 gennaio 2020 presso la procura della Repubblica presso il tribunale di Brescia il procedimento n. 1530/2020 per le ipotesi di reato di cui agli articoli 337, 341-bis e 635 del codice penale e a carico di Chahb Belal risulta iscritto a mod. 21 in data 29 gennaio 2020 il procedimento n. 1551/2020 per le ipotesi di reato di cui agli articoli 337 e 341-bis del codice penale (tali ultimi procedimenti risultano pendenti nella fase delle indagini preliminari).
  In ordine alle esigenze di contenimento del crescente fenomeno del terrorismo internazionale di matrice confessionale, giova evidenziare che da anni il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria attua il monitoraggio dei detenuti segnalati per rischio di proselitismo e radicalizzazione violenta in carcere.
  In particolare, al fine di evitare ogni forma di automatismo che possa interpretare come comportamenti pericolosi condotte riconducibili alla libera professione del culto, è lo stesso dipartimento, attraverso il Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria e dopo una rigorosa attività di analisi delle informazioni e dei dati appresi nell'ambito del Comitato di analisi strategica antiterrorismo, a stabilire la formale attivazione del monitoraggio sul soggetto.
  In considerazione dell'innalzamento della minaccia terroristica, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha adottato una serie di misure di controllo di carattere preventivo, volte a contrastare il rischio di radicalizzazione e sempre più affinate, nei confronti dei detenuti per reati comuni, ospitati nella media sicurezza.
  I detenuti imputati o condannati per il reato di cui all'articolo 270-bis del codice penale sono invece inseriti nel circuito penitenziario alta sicurezza 2, che prevede la loro rigorosa separazione dalla restante popolazione detenuta e dagli altri appartenenti al medesimo circuito e riconducibili all'eversione interna.
  L'attività di analisi e di studio della radicalizzazione violenta e del proselitismo di matrice confessionale resta convenzionalmente articolata su tre diversi livelli di osservazione e continuerà a fondarsi sulla conoscenza del soggetto, alla quale si addiviene attingendo alle informazioni in possesso dell'amministrazione, debitamente aggregate e analizzate dal nucleo investigativo centrale e dunque utilizzabili per lo svolgimento di una puntuale attività di prevenzione.
  In particolare, il primo livello, classificato Alto, raggruppa i soggetti ristretti per reati connessi al terrorismo internazionale e quelli di particolare interesse per atteggiamenti che rivelano evidenti forme di proselitismo, radicalizzazione o di reclutamento per estremismo islamico/jihadismo; il secondo livello, classificato Medio, raggruppa i detenuti che all'interno dell'istituto hanno posto in essere atteggiamenti che fanno presupporre la loro vicinanza all'ideologia jihadista, e quindi ad attività di proselitismo e reclutamento, mentre il terzo livello, considerato Basso, raggruppa quei detenuti nei confronti dei quali le notizie risultano generiche e richiedono pertanto un ulteriore approfondimento sulle determinazioni utili.
  Per tutte e tre le categorie indicate, le sedi penitenziarie redigono relazioni comportamentali con periodicità mensile per il primo livello di analisi, bimestrale per il secondo livello e semestrale per il terzo livello; tali relazioni vengono attentamente analizzate dal nucleo investigativo centrale.
  In un'ottica di cooperazione, i risultati delle suddette attività sono condivisi con i vertici dell'amministrazione penitenziaria, con il comitato analisi strategica antiterrorismo, con la direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e con l'autorità giudiziaria, qualora emergano fatti di interesse investigativo o giudiziario.
  Al fine di dotare le sedi penitenziarie di ulteriori e utili strumenti di rilevazione, nel tempo sono stati forniti «indicatori sulla radicalizzazione», informazioni che consentono di rilevare situazioni meritevoli di attenzione.
  A tale scopo, un ulteriore strumento a fini specialmente conoscitivi è il «Syllabus», uno strumento di carattere informativo (realizzato dall'Università di Napoli «L'Orientale», in collaborazione con il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e il particolare contributo del nucleo investigativo centrale nell'ambito del progetto TrainTraining) per tutti gli operatori degli istituti penitenziari, riguardante la tradizione islamica riguardo all'assolvimento dei riti, il pudore, l'uso del Corano, l'alimentazione, il modo di pregare e la gestione del denaro.
  Per rendere più incisivo e capillare il contrasto al fenomeno della radicalizzazione, dal 2005 il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha predisposto specifici moduli di formazione, tuttora in uso e rivolti agli operatori penitenziari (in particolare agli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria front line, ai comandanti di reparto, ai direttori degli istituti di pena, ai funzionari giuridici pedagogici...).
  Va inoltre evidenziato che i detenuti sottoposti a profilo analisi dal Nucleo investigativo centrale sono segnalati allo staff multidisciplinare dell'istituto penitenziario di pertinenza, per la presa in carico e per l'individuazione di un'eventuale strategia di depotenziamento (de-radicalizzazione).
  Inoltre, in caso di scarcerazione dei soggetti sottoposti a profilo, ovvero in caso di concessione di permessi premio o misure alternative alla detenzione, le direzioni degli istituti penitenziari provvedono anticipatamente alla comunicazione alle forze di polizia sul territorio per l'adozione delle più idonee strategie di prevenzione tra le quali la riservata vigilanza, l'avvio di attività tecniche preventive e l'espulsione.
  Per completezza, si evidenzia che uno dei due protagonisti dell'aggressione menzionata dall'onorevole interrogante, Chahb Belal, per avere opposto resistenza durante l'arresto e per avere urlato le frasi «Allah akbar» e «Non ho paura di morire» ed in considerazione della circostanza che dal colloquio con lo psicologo nel corso della detenzione è emerso «un fanatismo religioso con sfumature deliranti di tipo mistico», è inserito nel 1° livello del profilo di analisi - Alto per rischio di radicalizzazione o proselitismo di matrice confessionale.
  Considerato che l'altro detenuto facinoroso, Aitlaasri Ismael, è sembrato subire l'influenza del Chahb, sono in fase di svolgimento accurati accertamenti.
  Si evidenzia inoltre che con lettera circolare n. 3666/6116 del 2 dicembre 2015 è stata resa nota e diffusa l'avvenuta sottoscrizione del protocollo d'intesa siglato tra il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e l'Unione delle comunità islamiche (U.co.I.I.) in data 5 novembre 2015, con l'obiettivo di migliorare il modo di interpretare la fede islamica in carcere e di fornire un valido sostegno morale e religioso ai detenuti attraverso l'accesso agli istituti di pena di persone particolarmente preparate, anche al fine di prevenire fenomeni di radicalizzazione (consentendo l'ingresso solo a persone qualificate come gli imam, tramite il nulla osta del Ministero dell'interno).
  L'amministrazione penitenziaria, nel rispetto del principio di libertà religiosa sancito dalla Costituzione, e considerando che l'ordinamento penitenziario inserisce la religione tra gli elementi del trattamento, ha da sempre ritenuto indispensabile assicurare l'assistenza religiosa alla popolazione detenuta, a qualsiasi fede essa appartenga.
  La multietnicità che da alcuni anni caratterizza la popolazione detenuta richiede infatti ancor più cura e attenzione verso le differenti fedi e culture che si incontrano in un istituto penitenziario.
  In assenza di una legge che regoli i rapporti delle comunità islamiche con lo Stato italiano, per l'accesso negli istituti penitenziari il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria acquisisce il necessario nulla osta della Direzione centrale degli affari dei culti del Ministero dell'interno, sia in ordine alla qualifica di imam, sia in ordine all'assenza di motivi ostativi.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.