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Atto a cui si riferisce:
C.4/04613 (4-04613)



Atto Camera

Risposta scritta pubblicata Mercoledì 14 ottobre 2020
nell'allegato B della seduta n. 408
4-04613
presentata da
GIANNONE Veronica

  Risposta. — Il caso sottoposto al Ministro della giustizia riguarda la vicenda, riportata da diversi organi di stampa, di due funzionarie, assistenti sociali della Ausl di Rimini, indagate dalla procura di Rimini per aver impedito ad una madre di vedere i suoi figli per ben tre anni in quanto accusata di maltrattamenti nei confronti della prole, accuse poi rivelatesi infondate. Stando a quanto riferisce l'interrogante, i minori, ancora in tenera età, erano stati allontanati dalla famiglia e collocati in strutture protette su disposizione del Tribunale per i minorenni di Bologna, che aveva agito su indicazione del servizio sociale.
  Alla luce di tali circostanze, l'interrogante chiede di sapere: «se il Ministro della giustizia sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, anche normative, intenda intraprendere per far in modo che la discrezionalità di cui godono i servizi sociali, così come previsto dall'ordinamento, possa essere esercitata nell'ambito di adeguati ed efficaci controlli al fine della piena tutela dei minori, per evitare il verificarsi di comportamenti “abusanti” che, non solo determinano un sovraccarico di lavoro da parte delle procure, ma ledono diritti fondamentali garantiti a livello internazionale, che una volta violati, sostanzialmente non possono essere più risarciti».
  Nella vicenda in esame, sebbene non siano state indicate le generalità dei soggetti coinvolti, si è provveduto a richiedere informazioni al Tribunale per i minorenni di Bologna che ha riferito di ritenere che trattasi di un procedimento attualmente pendente presso la Corte di appello di Bologna.
  Orbene, quanto a possibili responsabilità da parte di professionisti iscritti all'albo degli assistenti sociali e ai controlli da effettuare sulla loro attività, giova premettere che:
  al Ministero della giustizia è attribuito il compito di vigilare sul funzionamento dei consigli e degli ordini di numerose professioni regolamentate;
  secondo una previsione sostanzialmente omogenea delle leggi che regolano gli Ordini professionali, tale funzione di vigilanza si estrinseca nel potere di scioglimento di un consiglio che non sia in grado di funzionare regolarmente (per qualsiasi ragione), ovvero quando sia trascorso il termine di legge senza che si sia provveduto all'elezione del nuovo consiglio, ovvero ancora quando il consiglio stesso, richiamato all'osservanza degli obblighi ad esso imposti, persista nel violarli;
  l'articolo 15 del decreto ministeriale 11 ottobre 1994, n. 615 (regolamento recante norme relative all'istituzione delle sedi regionali o interregionali dell'ordine e del consiglio nazionale degli assistenti sociali, ai procedimenti elettorali e alla iscrizione e cancellazione dall'albo professionale) dispone che, «Se il consiglio nazionale non è in grado di funzionare regolarmente o commette gravi violazioni di norme di legge o regolamentari il Ministero di grazia e giustizia ne dispone lo scioglimento e nomina un commissario per il disbrigo delle pratiche urgenti e dandone comunicazione ai consigli degli ordini regionali o interregionali»;
  tale sistema è stato ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 11/1968 (relativa all'ordine dei giornalisti), nella quale tra l'altro si legge che «il potere del Ministro è corollario del pubblico interesse al regolare funzionamento dei consigli ... sicché nessuna ingerenza è consentita all'esecutivo sull'attività amministrativa relativa agli iscritti, salva la implicita possibilità di segnalare fatti che possano giustificare il promovimento dell'azione disciplinare: nel che non si può riscontrare, in verità, nessun rischio di abuso».
  Alla luce delle suesposte premesse in merito al perimetro delle competenze ministeriali nei confronti degli ordini professionali, risulta agevole affermare che esula dall'attività di vigilanza del Ministero il sindacato sulle condotte poste in essere dai singoli professionisti, rispetto alle quali chiunque — e dunque, per ipotesi, anche lo stesso interpellante — può presentare un esposto dinanzi al consiglio territoriale di disciplina.
  Dal punto di vista normativo e senza entrare nel merito delle pendenze giudiziarie in atto, deve evidenziarsi che il principio della «bigenitorialità» è stato stabilito dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 recante «Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli» e tende a garantire l'interesse del minore a «mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» articolo 155 del codice civile).
  Ciò premesso, va sottolineato che dopo le riforme operate con la legge 21 marzo 2001, n. 149 e con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 il procedimento innanzi al Tribunale per i minorenni risulta essere fortemente giurisdizionalizzato. In esso sono infatti previsti sia l'assistenza legale dei genitori, che l'ascolto del minore (ormai generalizzato), oltre che la rappresentanza legale del minore nel processo (tramite le figure del curatore speciale). Nei casi di urgenza vengono adottati provvedimenti inaudita altera parte che, comunque, richiedono una successiva istruttoria ai fini della loro conferma.
  Ne deriva che il sistema, come delineato, è in grado di garantire che l'allontanamento dei minori dalle proprie famiglie o il loro collocamento presso l'uno o l'altro genitore sia sufficientemente controllato.
  Ancora, si evidenzia che la normativa avente ad oggetto la tutela dei minori, nei procedimenti di separazione, divorzio, regolamentazione, limitazione e ablazione della responsabilità genitoriale è stata oggetto di recenti riforme (decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154).
  Infine, mi preme richiamare in questa sede l'istituzione in data 22 luglio 2019 della «Squadra speciale di giustizia per la protezione dei minori».
  Essa ha lo specifico compito di effettuare la ricognizione ed il monitoraggio dello stato di attuazione della legislazione vigente in materia di collocamento dei minori in istituti di ricovero e in affidamento eterofamiliare; rilevare profili di criticità della normativa ed esaminare eventuali proposte di modifica della stessa; promuovere la creazione di una banca dati nazionale integrata relativa agli affidi familiari; proporre l'adozione di circolari di armonizzazione e razionalizzazione integrata delle procedure nei diversi settori ordinamentali coinvolti.
  Per quanto concerne, infine, l'invocata adozione di misure idonee a tutelare i minori coinvolti in episodi di violenza domestica, giova evidenziare che i più recenti interventi normativi hanno posto al centro della tutela penale proprio la posizione del minore. Da ultimo, la legge 19 luglio 2019, n. 69 (cosiddetto codice rosso) ha modificato l'articolo 572 del codice penale (Maltrattamenti contro familiari e conviventi) nel senso di aumentare i limiti di pena da tre a sette anni (sostituendo le parole «da due a sei anni») e ha, inoltre, aggiunto al medesimo articolo il secondo comma che recita: «La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi». È stato aggiunto, infine, il seguente comma: «Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato».
  Di conseguenza emerge per tabulas la particolare sensibilità già manifestata dal Ministero nella direzione della tutela prioritaria del minore e l'impegno costante a perfezionare l'impianto normativo esistente così come a verificarne le ricadute applicative concrete.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.