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Atto a cui si riferisce:
S.1/00268 premesso che: secondo recenti dati raccolti dall'Istat, tra il 2009 e il 2018 circa 320.000 giovani di età compresa tra i 20 e i 34 anni hanno lasciato il nostro Paese per difficoltà...



Atto Senato

Mozione 1-00268 presentata da TIZIANA NISINI
martedì 21 luglio 2020, seduta n.242

NISINI, ROMEO, DE VECCHIS, PIZZOL, MONTANI, CASOLATI, BAGNAI, BORGHESI, RUFA, CORTI, BRIZIARELLI, PEPE, AUGUSSORI, VESCOVI, PILLON, ZULIANI, VALLARDI, PERGREFFI, BRUZZONE, PUCCIARELLI, SAPONARA, CAMPARI, SBRANA, CANDIANI, BERGESIO, LUNESU, IWOBI, FREGOLENT, TOSATO, PELLEGRINI Emanuele, CANTU', MARIN, RICCARDI, STEFANI, RIPAMONTI, PIANASSO, URRARO, SAVIANE, LUCIDI, PAZZAGLINI, ARRIGONI, RIVOLTA, ALESSANDRINI - Il Senato,

premesso che:

secondo recenti dati raccolti dall'Istat, tra il 2009 e il 2018 circa 320.000 giovani di età compresa tra i 20 e i 34 anni hanno lasciato il nostro Paese per difficoltà legate al tema dell'occupazione;

il nono Rapporto annuale sull'economia dell'immigrazione, curato dalla Fondazione "Leone Moressa", precisa che in dieci anni l'Italia ha perso quasi 500.000 italiani, di cui quasi 250.000 giovani nella fascia 15-34 anni, considerando il saldo tra arrivi e partenze;

alla luce delle caratteristiche lavorative dei giovani in Italia, secondo la Fondazione questa emigrazione giovanile è costata 16 miliardi di euro, oltre 1 punto percentuale di Pil, il valore aggiunto che i giovani emigrati potrebbero realizzare se fossero occupati nel nostro Paese;

l'Italia è altresì un Paese con tassi di denatalità preoccupanti e con un incremento dell'età media tra le maggiori del mondo;

secondo le stime Eurostat, da qui al 2050 l'Italia potrebbe perdere tra i 2 e i 10 milioni di abitanti, mentre gli anziani aumenterebbero di circa 6 milioni, arrivando a rappresentare oltre un terzo della popolazione, passando dall'attuale 22,4 per cento ad un valore compreso tra il 33,8 e il 37,9 per cento;

l'emigrazione è dovuta principalmente alle difficoltà occupazionali dei giovani, come denota il fatto che il nostro Paese ha il tasso di occupazione giovanile più basso a livello europeo (56,3 per cento, contro una media Ue del 76 per cento nella fascia 25-29 anni) e il più alto tasso di giovani che non studiano e non lavorano (29,7 per cento, contro la media Ue pari al 16,6 per cento);

quasi un quinto dei giovani che hanno lasciato l'Italia negli ultimi dieci anni viene paradossalmente dalla regione Lombardia (18,3 per cento), una delle più ricche del Paese;

seguono Sicilia, Veneto e Lazio, con oltre 20.000 emigrati ciascuno, sebbene il dato non consideri l'emigrazione interna e quindi sottorappresenti i dati delle regioni meridionali;

la diminuzione di giovani in età da lavoro ha effetti negativi sulla crescita economica, in quanto riduce, da un lato l'offerta di lavoro per quantità e qualità e dall'altro l'innovazione e l'imprenditorialità;

a tali considerazioni si aggiunga altresì il fatto che la carenza di giovani implica anche una scarsità di entrate sul fronte dei contributi previdenziali;

come ha avuto modo di rilevare la CGIA di Mestre, nello scorso mese di maggio sono state pagate più pensioni che stipendi;

a fronte di 22,77 milioni di occupati registrati a maggio 2020 ci sono 22,78 milioni di pensioni, erogate al primo gennaio 2019, ma considerando che i pensionati nell'ultimo anno sono aumentati di numero, il numero complessivo dei trattamenti previdenziali erogati è aumentato di almeno 220.000 unità; ne consegue che il numero di assegni pensionistici erogato oggi in Italia è superiore al numero di occupati presenti nel Paese;

in virtù del progressivo invecchiamento della popolazione, si pone dunque un serio problema di sostenibilità del sistema previdenziale, che richiede pertanto un intervento strutturato al fine di incrementare il numero di occupati, soprattutto nella fascia giovanile;

sinora, il Governo si è dimostrato scarsamente attento al tema dell'occupazione giovanile, come testimonia il fatto che le risorse impiegate sono destinate principalmente ad erogare misure di pura assistenza sociale, anche laddove sarebbe più opportuno investire in politiche attive del lavoro;

nel recente rapporto sulla finanza pubblica 2020, la Corte dei conti ha evidenziato che solo il 2 per cento dei percettori del reddito di cittadinanza è riuscito a trovare un lavoro attraverso i centri per l'impiego, nonostante siano state accolte circa 1 milione di domande, a fronte di quasi 2,4 milioni di richieste;

nonostante presso l'Agenzia nazionale politiche attive del lavoro operino 3.000 navigator, assunti con il compito di supportare i centri per l'impiego e favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, la Corte dei conti non ravvisa una maggiore vivacità complessiva dell'attività dei centri per l'impiego e una crescita del loro ruolo nell'ambito delle azioni che si mettono in campo per la ricerca del lavoro;

solo il 23,5 per cento della forza lavoro nel 2019 ha infatti cercato un'occupazione tramite i centri per l'impiego, una percentuale che si è addirittura ridotta rispetto al 24,2 per cento del 2017 e al 23,3 per cento del 2018;

sarebbero quindi solo 20.000 i posti di lavoro assegnati con una misura assistenziale che è costata al Governo nazionale quasi 4 miliardi di euro,

impegna il Governo ad adottare un piano di intervento strutturato ed organico volto alla definizione di serie politiche attive per il lavoro, con il fine di incrementare l'offerta di lavoro, in modo particolare per i giovani, aumentare il tasso di occupazione giovanile, le entrate dell'erario in termini di contributi previdenziali, tralasciando le misure puramente assistenziali e puntando verso la valorizzazione delle risorse umane prodotte dal nostro Paese.

(1-00268)