• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
S.6/00121 udite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri relativamente al Consiglio europeo del 17 e 18 luglio 2020, premesso che: i leader dell'Unione europea...



Atto Senato

Risoluzione in Assemblea 6-00121 presentata da GIANLUIGI PARAGONE
mercoledì 15 luglio 2020, seduta n.240

Il Senato,

udite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri relativamente al Consiglio europeo del 17 e 18 luglio 2020,

premesso che:

i leader dell'Unione europea terranno una riunione in presenza a Bruxelles per discutere del piano per la ripresa in risposta alla crisi Covid-19 e del nuovo bilancio a lungo termine dell'UE;

la Commissione europea ha presentato il 27 maggio una proposta per l'adattamento del Quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027 alle esigenze della ripresa post Covid-19, articolato attorno ai seguenti elementi: i) Next Generation EU, un nuovo strumento europeo per la ripresa tramite il quale si prevede di incrementare il bilancio su base temporanea tramite nuovi finanziamenti raccolti sui mercati finanziari per un ammontare pari a 750 miliardi di euro (COM(2020) 441). Di tale cifra, 500 miliardi sarebbero destinati a sovvenzioni mentre i restanti 250 miliardi sarebbero messi a disposizione degli Stati membri sotto forma di prestiti, da restituire tra il 2028 ed il 2058; ii) un QFP rinforzato per il periodo 2021-2027, con una dotazione in impegni di spesa - a prezzi 2018 - di 1.100 miliardi di euro. E' prevista la creazione di nuovi strumenti e il potenziamento di programmi chiave per rendere disponibili i fondi lì dove vi è maggiore necessità (COM(2020) 443). Sono state altresì presentate alcune proposte di emendamento al QFP corrente 2014-2020 per mettere a disposizione, già per l'anno 2020, 11,5 miliardi di euro di finanziamenti aggiuntivi (COM(2020 446);

dal dibattito politico in corso, emergerebbe la chiara preoccupazione che la trattativa in essere sui tavoli europei potrebbe portare in tempi brevi all'accesso alla linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità (MES);

il MES cosiddetto pandemico o sanitario, nonostante l'assenza dichiarata di condizionalità ex ante, eccetto sulla destinazione dei fondi, presenta insidie rilevanti di ordine politico ed economico, derivanti in particolare dal fatto che: i) la condizionalità appare come un elemento imprescindibile e costitutivo del trattato istitutivo del MES, a prescindere dalle dichiarazioni fatte in tal senso dai leader politici e dai commissari europei. Una "rigorosa condizionalità" («strict conditionality») nell'elargizione dei fondi è infatti prevista dall'articolo 136(3) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), su cui si basa il MES; ii) di "rigorosa condizionalità" si parla anche nel trattato istitutivo del MES agli articoli 3 e 12(1) e anche la Corte di giustizia europea, nel dare il proprio placet al MES nel caso Pringle, molto ha insistito sulla conclusione di un programma di riforme strutturali coerente con gli obiettivi di politica economica dell'Unione quale quid pro quo per l'assistenza finanziaria; iii) a partire dal 2013, i Memoranda of understanding (MoU) conclusi nell'ambito del MES devono essere incorporati all'interno del diritto dell'Unione europea, come prevede l'articolo 7 del Regolamento 472 del 2013, dove si stabilisce che lo Stato membro che riceve assistenza finanziaria dal MES predisponga con la Commissione un progetto di programma di aggiustamento macroeconomico dal contenuto corrispondente al MoU, approvato dal Consiglio economia e finanza (ECOFIN) a maggioranza qualificata;

nonostante i leader politici europei e la Commissione europea abbiano in più occasioni dichiarato che le condizionalità in questione siano da considerarsi sospese, il valore giuridico di tali dichiarazioni è da ritenersi quantomeno dubbio; si è indotti a considerare che la condizionalità sia politicamente, oltre che giuridicamente, non aggirabile, ricordando che, secondo il Tribunale costituzionale federale tedesco, ogni esborso del MES richieda l'approvazione del Bundestag;

anche ammesso che la decisione dei leader europei di sospendere la "rigorosa condizionalità" prevista dall'articolo 136(3) TFUE, nonché dagli altri articoli di cui sopra, abbia valore legale, le condizioni a cui è soggetta l'assistenza finanziaria nell'ambito del MES possono essere modificate unilateralmente dalle istituzioni europee, come prevede l'articolo 7(5) del Regolamento 472 del 2013: «La Commissione, d'intesa con la Banca centrale europea (BCE) e, se del caso, con l'FMI, esamina insieme allo Stato membro interessato le eventuali modifiche e gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento macroeconomico […]. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, decide in merito alle modifiche da apportare a tale programma». I creditori, dunque, in qualunque momento, potranno cambiare le condizionalità dei prestiti concessi, avendo dalla parte loro la forza di un trattato europeo. Come hanno scritto Floriana Cerniglia e Francesco Saraceno sul "Il Sole 24 Ore": «Si può prevedere che, non appena la tempesta sarà passata, il MES pretenderà dai debitori condizioni ben diverse, e si tornerà a parlare di piani di rientro, avanzi primari e così via»;

a prescindere dalle condizionalità legate all'articolo 136(3) del TFUE, il MES prevede comunque la "sorveglianza rafforzata" sulla politica di bilancio dei Paesi debitori pienamente incardinata nel quadro normativo dei trattati e quindi in quelle regole di finanza pubblica che hanno già dimostrato la propria disfunzionalità, specialmente in periodi di crisi. Come hanno scritto Carlo Cottarelli ed Enzo Moavero sulla "la Repubblica": «Gli effetti dell'ineludibile sorveglianza rafforzata" sono comunque significativi per lo Stato - articolo 3: una più attenta indagine sulle sue finanze, con l'obbligo di fornire a livello UE le medesime informazioni previste dalla procedura d'infrazione per disavanzi eccessivi; le "missioni di verifica periodiche" della Commissione, della BCE, "se del caso, con l'FMI"; poi, il Consiglio UE può raccomandare allo Stato "misure correttive" o un "progetto di programma di aggiustamento macroeconomico", una "raccomandazione" di peso, specie se combinata al timore della reazione negativa dei mercati». L'articolo 3(7) del Regolamento è molto chiaro a questo proposito: «Se, sulla base delle missioni di verifica di cui al paragrafo 5, la Commissione giunge alla conclusione che sono necessarie ulteriori misure e che la situazione economica e finanziaria dello Stato membro in questione ha importanti effetti negativi sulla stabilità finanziaria della zona euro o dei suoi Stati membri, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può raccomandare allo Stato membro interessato di adottare misure correttive precauzionali o di predisporre un progetto di programma di aggiustamento macroeconomico»;

il Regolamento 472 del 2013 non è stato emendato, ma i commissari Dombrovskis e Gentiloni si sono limitati a inviare una lettera al presidente dell'Eurogruppo (7 maggio 2020) in cui dichiaravano: «La Commissione non vede spazio per una possibile attivazione dell'articolo 3(7)». Il valore giuridico di tale lettera appare alquanto dubbio. Come notano Cottarelli e Moavero: «Va sottolineato che gli effetti della "sorveglianza rafforzata" possono essere scongiurati solo modificando o sospendendo le normative applicabili, con atti giuridici di identico livello; non bastano le solenni affermazioni politiche». E comunque, ammettendo anche che la lettera abbia valore di legge, essa lascia intatte altre parti del Regolamento, per esempio quelle relative alla sorveglianza post-programma, nel corso delle quali la Commissione può consigliare, alla luce delle mutate contingenze, ulteriori misure correttive (articolo 14(3) del Regolamento);

alla luce di quanto detto, risulta del tutto evidente che la condizionalità appaia come un elemento imprescindibile e costitutivo del trattato istitutivo del MES;

sebbene tra i documenti di accompagnamento del MES cosiddetto pandemico vi sia una valutazione positiva della sostenibilità del debito italiano, esso tuttavia contiene una crono-tabella che prevede per l'Italia un disavanzo complessivo di bilancio del 2 per cento nel 2026, e dunque un consistente avanzo primario, maggiore di quelli richiesti all'Italia negli anni passati, considerato che il disavanzo è lo stesso previsto per il 2019, ma le somme pagate per interessi saranno più elevate nel 2026, dato l'incremento del rapporto debito-PIL. In sostanza, un pieno ritorno a regole e politiche fiscali pre-crisi, a cui ci si aspetta che il Paese debba attenersi, del tutto incompatibile con una ipotesi di ripresa economica del nostro Paese;

i risparmi in termini di tassi di interesse sono limitati rispetto all'alternativa di finanziare tali spese con l'emissione di debito pubblico, considerato che nelle ipotesi più estreme si tratterebbe di 700 milioni l'anno per dieci anni o, più verosimilment, e di una cifra intorno ai 500 milioni l'anno;

il ricorso al MES è condizione necessaria ma non sufficiente perché la BCE possa dar luogo al programma outright monetary transactions (OMT) di acquisto illimitato dei titoli pubblici del Paese in questione da parte della BCE stessa, come dichiarato dallo stesso direttore generale del MES Klaus Regling;

considerato che:

c'è ancora grande incertezza circa il volume e le modalità di funzionamento del recovery fund ma, anche se venisse approvata l'attuale proposta della Commissione europea, il potenziale massimo aggiuntivo di spesa sarebbe per l'Italia di circa 174 miliardi complessivamente tra prestiti e trasferimenti a fondo perduto, circa 43 all'anno, se distribuiti su quattro anni, pari al 2,3 per cento del PIL del 2019, a partire dal 2021: una cifra assolutamente insufficiente a sostenere la ripresa dell'economia italiana, di cui la Commissione per quest'anno prospetta un calo senza precedenti dell'11,2 per cento e che, comunque, arriverebbe troppo tardi;

non sono ancora noti gli eventuali contenuti di condizionalità, se e quali saranno le riforme proposte, se e con quali conseguenze sociali;

considerato altresì che:

alla luce di quanto esposto l'unica soluzione per evitare il collasso dell'economia italiana sarebbe il mantenimento di un consistente disavanzo pubblico negli anni a venire;

il debito pubblico italiano, già ora, è destinato ad aumentare del 20 per cento del PIL secondo le previsioni più ottimistiche: più 320 miliardi in un anno, considerando una contrazione del PIL del 10 per cento. Tale stima rende l'idea dell'assoluta esiguità dei fondi previsti dal recovery fund, anche nella sua versione attuale, escludendo dunque un'ulteriore revisione al ribasso. In queste condizioni, la sostenibilità del debito pubblico italiano e la capacità del Governo di ricorrere a disavanzi pubblici per sostenere l'economia sarà garantita solo dal mantenimento dei tassi di interesse a livelli molto bassi e dall'acquisto di titoli pubblici da parte della BCE, ovverosia dal programma di acquisto PEPP della stessa, che però è limitato nel tempo e nel volume e ha grossi problemi di congruenza con la lettera e lo spirito dei trattati europei, come evidenziato dalla recente sentenza della Corte costituzionale tedesca sul programma di acquisto PSPP;

le misure proposte dall'UE sono in netto contrasto con quelle perseguite nella maggioranza degli altri Paesi del mondo, ivi incluso diversi Paesi emergenti, dove si è scelto di rispondere alla crisi economica indotta dal Covid-19 non per mezzo di prestiti, piuttosto tramite forme, più o meno dichiarate, di finanziamento monetario della spesa pubblica, ovverosia di monetizzazione del disavanzo-debito pubblico da parte della Banca centrale, attraverso l'acquisto - in alcuni casi illimitato - di titoli pubblici a copertura dei disavanzi. Questi non sono da considerarsi prestiti in senso stretto, giacché è opinione diffusa che tali titoli verranno molto probabilmente tenuti sul bilancio delle banche centrali a tempo indefinito, di fatto cancellando il debito in questione;

considerato altresì che:

negli ultimi anni, vari esperti - tra cui Adair Turner, William Buiter, Richard Wood, Martin Wolf, Paul McCulley e Zoltan Pozsar, Steve Keen, Ricardo Caballero, John Muellbauer e Paul Krugman - hanno avanzato l'idea di una qualche forma di finanziamento monetario del disavanzo pubblico, indicandola come la soluzione più ottimale nell'attuale contesto delle economie avanzate, proprio perché comporterebbe un aumento del deficit, e dunque della domanda, senza far aumentare il debito pubblico;

l'ex governatore della Fed Ben Bernanke qualche anno fa ha indicato "un'espansione fiscale finanziata con la creazione di moneta", cioè la monetizzazione del deficit senza contestuale emissione di titoli di debito per un valore equivalente, come "la migliore alternativa in quei casi in cui la domanda aggregata sia particolarmente deficiente";

in seguito allo scoppio della pandemia, le proposte di monetizzazione del disavanzo da parte di economisti e policy maker si sono moltiplicate;

in particolare, nel contesto europeo, Paul De Grauwe, presidente della cattedra John Paulson di politica economica europea alla London School of Economics e probabilmente il più autorevole economista europeo, ha indicato la monetizzazione dei disavanzi dei singoli Stati da parte della BCE come unica via d'uscita dalla crisi: «La BCE deve acquistare titoli di Stato sui mercati primari, emettendo denaro per finanziare i deficit di bilancio degli Stati membri durante la crisi. L'aspetto positivo di tale approccio è che risparmia ai Governi nazionali di dover emettere nuovo debito. Poiché tutti i nuovi debiti sarebbero monetizzati, infatti, il deficit non aumenterebbe i rapporti debito-PIL, poiché i titoli verrebbero tenuti sul bilancio della BCE in perpetuo e dunque non dovrebbero essere rimborsati. In questo modo i Paesi non dovranno preoccuparsi di un'eventuale ritorsione da parte dei mercati. Si potrebbe obiettare che il finanziamento monetario produrrebbe inflazione. Tuttavia, nelle circostanze attuali, questo rischio non esiste»,

impegna il Governo ad avanzare la proposta di monetizzazione dei disavanzi pubblici, da parte della Banca centrale europea, dei singoli Stati, per mettere questi ultimi nelle condizioni di rispondere autonomamente alla crisi economica.
(6-00121)
Paragone, Giarrusso, Martelli.