Testo INTERPELLANZA
Atto a cui si riferisce:
C.2/00736 (2-00736) «Palazzotto, Fratoianni, Muroni, Pastorino, Fornaro».
(Presentata il 14 aprile 2020)
Atto Camera
Interpellanza urgente 2-00736presentato daPALAZZOTTO Erasmotesto diMercoledì 15 aprile 2020, seduta n. 326
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell'interno, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell'interno e il Ministro della salute, ha emanato un decreto che sospende la classificazione di place of safety (luogo sicuro) per i porti italiani, per i casi di soccorso effettuati da unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell'area Sar italiana;
nella consapevolezza che la drammatica emergenza sanitaria che il nostro Paese sta vivendo impone al Governo, come priorità assoluta, la tutela della salute pubblica, a parere degli interpellanti il suddetto decreto non solo non risponde a tale necessità, ma appare anche sbagliato, incomprensibile e illegittimo;
la pandemia da COVID-19 sta interessando, infatti, il mondo intero e per questo sarebbe opportuno e necessario concentrare ogni sforzo, al fine di individuare ogni strumento utile a definire protocolli in grado di assicurare la sicurezza e la salute pubblica, anziché negare il soccorso e la protezione dai rischi della navigazione;
l'obbligo etico e giuridico di impedire che le persone perdano la vita nel Mediterraneo centrale non viene meno a causa dell'emergenza sanitaria e non pregiudica la tutela della salute, la sicurezza di tutti e un'efficace battaglia contro il nuovo Coronavirus;
ad avviso degli interpellanti il nostro Paese è assolutamente nelle condizioni di predisporre protocolli sanitari in grado di garantire a terra, o attraverso l'utilizzo di assetti navali adeguati, luoghi sicuri nei quali far svolgere la necessaria quarantena alle persone soccorse, proprio per garantire la salute e la sicurezza di tutti, quella dei naufraghi e quella del personale che si occupa dello sbarco e dell'accoglienza (come ha recentemente detto anche l'Unhcr) e anche delle comunità costiere potenzialmente esposte a rischi di contagio, senza per questo pregiudicare i principi su cui si fonda la nostra civiltà giuridica e gli obblighi imposti dal diritto internazionale con decreti interministeriali come quello in questione;
in questo senso, a parere degli interpellanti, si riscontra un travisamento e un uso illegittimo di alcuni articoli di testi normativi del diritto internazionale, tra cui l'assenza del presupposto richiesto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare siglato a Montego Bay, introducendo il principio secondo cui non è la nave che rappresenta un pericolo per la comunità costiera, ma è la comunità costiera a rappresentare un pericolo per l'integrità fisica delle persone a bordo;
se questa è la ratio, non può dunque escludersi che per effetto del decreto i porti della Repubblica italiana possano essere ritenuti sostanzialmente chiusi a qualsiasi imbarcazione straniera;
il decreto, che si compone di 12 voci di premesse e di 2 articoli, richiama diversi decreti e convenzioni internazionali, dalla Convenzione di Amburgo fino agli ultimi decreti sul Coronavirus e, proprio in virtù dello «stato di emergenza» varato il 31 gennaio 2020, vi è la «deroga» alla Convenzione di Amburgo e nell'articolo 1 si decreta che «i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di place of safety (“luogo sicuro”), in virtù di quanto previsto da Amburgo», ma tale principio varrebbe solo per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell'area Sar italiana;
non si comprende quindi, secondo quale presupposto il place of safety («luogo sicuro») cesserebbe di esistere o ritornerebbe a seconda della nazionalità dell'imbarcazione: se la nave non ha bandiera italiana il place of safety («luogo sicuro») non c'è; se, al contrario, la nave batte bandiera italiana, ritorna il place of safety («luogo sicuro»). Tale distinzione basata sulla bandiera produrrebbe un'intollerabile discriminazione tra i soggetti soccorsi e tra i medesimi soccorritori; il Governo non può non porsi, inoltre, il problema del destino delle persone che continuano a fuggire dalla Libia e che continueranno a farlo, soprattutto in primavera e in estate. Il rischio reale è che ci saranno migliaia di persone in fuga dalla guerra e dai campi di detenzione libici, che probabilmente faranno aumentare i morti in mare e anche gli sbarchi spontanei;
nel caso di questi ultimi le imbarcazioni che riescono ad arrivare autonomamente sulla terraferma rischiano di diventare un pericolo potenzialmente maggiore in assenza di protocolli per la quarantena e la gestione sanitaria delle persone sbarcate, mentre una gestione ordinata e razionale dei soccorsi permetterebbe al Governo di operare in tutta sicurezza;
nell'attuale condizione di assenza di dispositivi di soccorso, sia della società civile che statali, il vero rischio è l'aumento sia degli arrivi spontanei, sia delle morti in mare e il suddetto decreto non risponde al primo fenomeno e rischia di far lievitare i numeri del secondo;
si hanno tutti gli strumenti e le risorse per disporre misure di sicurezza che permettano di proteggere da possibili contagi sia i naufraghi che le popolazioni costiere, senza la necessità di definire il nostro Paese un «luogo non sicuro» o derogare a principi e valori costituzionali e alle convenzioni internazionali per la pandemia in corso;
si è di fronte a un decreto che a parere degli interpellanti non solo non risolve il problema e denota un approccio sbagliato, ma rischia anche di essere più dannoso, oltre ad essere in palese violazione di norme di diritto internazionale a cui è sottoposto;
dal 1° gennaio 2020 al 3 aprile 2020 ben 2.677 persone sono state riportate indietro dalla cosiddetta guardia costiera libica e quest'ultimo decreto del Governo genera un paradosso per il quale si considera un porto sicuro la Libia, che è un Paese in guerra, e non l'Italia –:
se il Governo non intenda revocare subito il decreto citato in premessa e lavorare contestualmente a un dispositivo che preveda protocolli sanitari in grado di garantire a terra o in mare, attraverso l'utilizzo di assetti navali adeguati, luoghi sicuri nei quali far svolgere la necessaria quarantena, prevista dalle misure per combattere il COVID-19, ad eventuali migranti ed equipaggi di imbarcazioni che abbiano effettuato salvataggi di naufraghi, così da garantire la salute e la sicurezza degli stessi, degli operatori e delle comunità costiere.
(2-00736) «Palazzotto, Fratoianni, Muroni, Pastorino, Fornaro».
(Presentata il 14 aprile 2020)