• Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA ORALE

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Atto a cui si riferisce:
S.3/01436 ROMANO, LANZI, CORRADO, MARINELLO, FERRARA, PIRRO, MININNO, ANGRISANI, GRANATO, PACIFICO, PELLEGRINI Marco, ORTIS, DI MARZIO, DESSI', VACCARO, NOCERINO, PISANI Giuseppe, GALLICCHIO,...



Atto Senato

Interrogazione a risposta orale 3-01436 presentata da IUNIO VALERIO ROMANO
martedì 10 marzo 2020, seduta n.199

ROMANO, LANZI, CORRADO, MARINELLO, FERRARA, PIRRO, MININNO, ANGRISANI, GRANATO, PACIFICO, PELLEGRINI Marco, ORTIS, DI MARZIO, DESSI', VACCARO, NOCERINO, PISANI Giuseppe, GALLICCHIO, PRESUTTO, TRENTACOSTE, BUCCARELLA, ACCOTO, LEZZI, NATURALE, RICCIARDI, RICCARDI, MOLLAME, LANNUTTI, PAVANELLI, CAMPAGNA, CORBETTA, DE LUCIA, MARILOTTI, GARRUTI, CROATTI, MAIORINO - Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze. - Premesso che:

a partire dal 2011, per mezzo dell'operazione "Poseidone", l'Inps ha avviato una massiccia azione di riscossione di contributi, richiesti a professionisti iscritti ad un albo dotato di una propria cassa previdenziale privata, attraverso l'iscrizione coatta degli stessi alla "gestione separata" istituita con la legge n. 335 del 1995 (cosiddetta legge Dini);

il contenzioso che ne è derivato ha inciso pesantemente in termini di soccombenza sull'ente, tanto da indurre quest'ultimo ad attendere il responso della suprema Corte di cassazione, che in un primo tempo, con le sentenze n. 30344 e n. 30345 del 18 dicembre 2017, ha sancito il diritto alla riscossione;

considerato che:

le numerose battaglie giudiziali contro l'Istituto lo vedono tuttavia soccombere nell'assoluta maggioranza dei casi e non sembra corretto affermare che la Corte di cassazione abbia "confermato le ragioni" dell'Inps, nel merito della corretta applicazione dell'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, atteso che la Corte (ex multis sentenza n. 19099 del 16 luglio 2019) ha, al contrario, stabilito che, in base all'art. 44, comma 2, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, e alla circolare Inps n. 103 del 6 luglio 2004, nonché delle direttive impartite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il limite di 5.000 euro costituisce una fascia di esenzione e, pertanto, i contributi sono dovuti, sempre in relazione alle sole attività considerate dalla norma, esclusivamente sulla quota di reddito eccedente tale importo;

il presupposto da cui deriva l'obbligo di iscrizione alla gestione separata è in linea di principio strettamente correlato alla qualificazione fiscale dei redditi percepiti e all'entità dei medesimi, che diventa irrilevante se inferiore alla soglia di cui all'art. 44, comma 2, citata;

da ciò sono derivati diversi corollari cui si rifanno quotidianamente tutte le Corti d'appello di merito, secondo cui non può ritenersi che l'esercizio di attività professionale per cui sia obbligatoria l'iscrizione in albi debba considerarsi ex se di natura non occasionale, perché così facendo si verrebbe a snaturare proprio il fondamento dell'interpretazione data dalla stessa suprema Corte. Ed invero, tale affermazione presupporrebbe che i professionisti iscritti obbligatoriamente in albi debbano soggiacere a una disciplina contributiva speciale, diversa rispetto a quella di tutti gli altri lavoratori autonomi. Conseguenza dell'opzione interpretativa adottata dalla Cassazione nelle sentenze citate è invece che i professionisti obbligatoriamente iscritti in albi siano soggetti alla disciplina della gestione separata al pari di tutti gli altri lavoratori autonomi, sicché, ove l'attività venga svolta in modo occasionale (come dimostrato dalla percezione di un reddito annuo inferiore ad una certa soglia minimale), essi non sono soggetti all'obbligo di iscrizione, se non per i redditi superiori a 5.000 euro all'anno. Deve quindi ribadirsi l'interpretazione secondo cui anche i professionisti iscritti obbligatoriamente in albi siano obbligati all'iscrizione alla gestione separata Inps, ove non siano iscritti alla propria cassa e obbligati al pagamento del contributo soggettivo, ma esclusivamente per le annualità in cui il loro reddito abbia superato la soglia di 5.000 euro, prevista in linea generale come limite minimo per l'obbligo di iscrizione alla stessa gestione separata Inps per i lavoratori autonomi che svolgano attività occasionale, e solo per la parte di reddito che superi detta soglia. Ciò, quanto meno, in mancanza di allegazione e prova (che è onere dell'Inps fornire) della circostanza che l'attività sia stata di fatto svolta in modo non occasionale (ex multis Corte di appello de L'Aquila, sentenza n. 18/2020 del 9 gennaio 2020);

il 90 per cento dei tentati recuperi dei presunti crediti contributivi dell'Inps si concentra su soggetti rientranti in quella fascia di reddito che, alla luce del principio statuito dalla Cassazione, è esente dall'obbligo di versamento, mentre il restante 10 per cento, con soglie di reddito superiori, non è comunque aggredibile, perché l'Inps non ha effettuato il calcolo sull'eccedenza, ma sull'intero, determinando la nullità insanabile dell'atto amministrativo;

peraltro, la stessa Cassazione, con la sentenza n. 27950 del 2018, ha contestualmente sancito il principio secondo il quale il dies a quo dal quale far decorrere il termine prescrizionale non può che coincidere con quello individuato dalla legge per il versamento del saldo delle imposte per le persone fisiche, con la conseguenza di rendere irrecuperabili detti contributi, in quanto: 1) la prescrizione quinquennale, una volta avvenuta, non può più essere rinunciata dal contribuente ed il successivo pagamento (anche con dilazione accettata dal riscossore) dei debiti contributivi non interrompe la prescrizione già avvenuta (art. 55, comma 2, del regio decreto legge n. 1827 del 1935); 2) il pagamento dei contributi già prescritti deve, qualora effettuato, essere ripetuto al contribuente, poiché, in caso contrario, ci si trova di fronte ad un'ipotesi di appropriazione indebita;

sussiste un "danno" determinato dalla prescrizione originata dalla presunta mala gestio, anch'essa suggellata dalla Corte di cassazione con diverse ordinanze, che opera inesorabilmente anche sul (minimo) recuperato, visto che ciò che l'Inps ha eventualmente incamerato deve essere restituito, perché indebito oggettivo;

vi è notizia di centinaia di esposti/denuncia (785) inviati alle competenti sedi territoriali della Corte dei conti, con i quali sono dettagliate tutte le voci di "antieconomicità" dell'operazione, così meglio riassunte: 1) soccombenza giudiziale e condanna alle spese di giudizio; 2) costi per "accesso alla banca dati dell'Agenzia delle entrate"; 3) costi di tipo amministrativo: funzionari o personale interno, contratti di affidamento esterno per la gestione della banca dati interna, recupero crediti affidati ad altro ente o all'Agenzia delle entrate, riscossioni, spese vive per cancelleria e raccomandate per invio degli avvisi; 4) "retribuzione di risultato" (artt. 7 e 8 del contratto collettivo nazionale di lavoro integrativo per il personale pubblico dell'area dei professionisti Inps, sottoscritto il 25 luglio 2017), calcolata indipendentemente dal recupero del credito di cui agli obiettivi stabiliti dalla pubblica amministrazione (all'incirca 180.000 euro lordi annui per ogni avvocato Inps; per funzionari e dirigenti la quantificazione è molto superiore); 5) crediti non recuperati, tanto che vengono ad oggi trasferiti all'Agenzia che emette (inutilmente) preavvisi di fermo amministrativo ed altri atti di natura esecutiva; 6) crediti recuperati ma da restituire a domanda per intervenuta decadenza; 7) crediti recuperati ma da restituirsi in "quota parte"; 8) costi di azioni giudiziarie ad istanza dell'avvocatura Inps (quando è soccombente), nonostante annullamenti in autotutela da parte della stessa amministrazione; 9) ripetizione di medesimi atti; 10) avvisi emessi in presenza di titoli di tipo esecutivo-giudiziario;

di tutte queste voci nell'ultimo bilancio pubblicato dall'ente pare che non vi sia traccia, mentre nella parte di "attivo" vengono indicati circa 60 milioni di euro, per l'operazione "Poseidone", che non sono presenti materialmente nelle casse dell'Inps e che, per quanto detto, non rappresentano un "titolo", ma che, ammesso che lo fossero, sono evidentemente "deteriorati";

tutto ciò determina un grave rischio per lo Stato qualora l'Inps dovesse continuare l'emorragica esposizione finanziaria,

si chiede di sapere se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza di quanto detto e se, stante il pericolo descritto, nella qualità di organi vigilanti, intendano avviare le opportune verifiche richiedendo una dettagliata relazione, con numeri e voci di costo e, nelle more, attivarsi affinché l'Inps congeli le azioni intraprese.

(3-01436)