• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
S.6/00096 udite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, premesso che: il 20 febbraio 2020, nella riunione del Consiglio europeo straordinario si discuterà del bilancio europeo...



Atto Senato

Risoluzione in Assemblea 6-00096 presentata da ANNA MARIA BERNINI
mercoledì 19 febbraio 2020, seduta n.193

Il Senato,
udite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri,
premesso che:
il 20 febbraio 2020, nella riunione del Consiglio europeo straordinario si discuterà del bilancio europeo a lungo termine al fine di trovare un accordo sul Quadro finanziario pluriennale dell'UE per il periodo 2021- 2027;
a seguito dell'uscita del Regno Unito, potrebbero essere richiesti maggiori sforzi finanziari ai Governi dei restanti 27 Stati membri; secondo stime della Commissione europea, infatti, l'uscita del Regno Unito dall'UE potrebbe produrre una riduzione nel bilancio annuale tra i 10 e i 12 miliardi di euro annui;
nel Consiglio UE del 12 dicembre 2019 i ministri avevano discusso lo schema di negoziato, presentato dalla presidenza finlandese, proponendo un livello complessivo di 1.087 miliardi di euro, che rappresenta l'1,07 per cento del reddito nazionale lordo (RNL) dell'UE a 27. Una proposta di gran lunga più "frugale" - aggettivo usato in ambienti europei in riferimento ai paesi nordici, meno generosi sul bilancio - di quella della Commissione UE, che propone di aumentare l'importo totale del nuovo budget dell'1,11 per cento, passando da 956,9 miliardi (pari a circa l'1 per cento del PIL dell'UE a 28), a 1.279,4 miliardi (pari all'1.1 per cento del PIL dell'UE a 27): 320 miliardi di euro in più. E ancor meno generosa della proposta del Parlamento europeo che indica un aumento complessivo necessario del bilancio UE all'1,30 per cento;
la precedente presidenza finlandese del Consiglio dell'Unione europea aveva presentato uno schema di negoziato riveduto, contenente dati numerici con l'obiettivo di chiarire e semplificare le opzioni sul tavolo dei negoziati per facilitare le future discussioni tra i leader dell'UE; tuttavia, sul negoziato QFP 2021-2027 la strada è ancora in salita, non c'è accordo fra gli Stati membri e per tali ragioni è stato convocato un Consiglio europeo straordinario il 20 febbraio, per raggiungere un accordo che superi le differenze e preparare il terreno per il Consiglio del 26 e 27 marzo, nell'ambito della presidenza croata, dove si intende definire un'intesa;
tale negoziato non ha riscosso il successo sperato dai suoi proponenti e dopo l'insediamento di Ursula Von der Leyen e l'inizio del mandato del nuovo Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, trovare un'intesa "alta" anche perché il negoziato si decide all'unanimità e vede tradizionalmente l'opposizione tra gli Stati contributori netti e quelli beneficiari, con differenti interessi nazionali;
il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, in vista del Consiglio straordinario del 20 febbraio prossimo venturo ha presentato una nuova proposta sull'entità complessiva del bilancio UE, nell'ambito del QFP 2021-2027, e sulle relative modalità di assegnazione, fissando il livello complessivo del bilancio all'1,074 per cento del reddito nazionale lordo dell'UE (RNL), poco più della metà dell'obiettivo dell'1 per cento (voluto dalla Germania e da altri Stati membri, quali l'Olanda, l'Austria, la Svezia e la Danimarca) e la proposta della Commissione europea dell'1,114 per cento;
la suddetta percentuale è solo leggermente superiore a quella indicata dalla presidenza finlandese (1,06 per cento) dello scorso dicembre; Charles Michel ha "ridotto" la dotazione finanziaria assegnata allo sviluppo rurale a poco più di 72,5 miliardi di euro per i prossimi 7 anni, di cui lo 0,25 per cento sarà utilizzato per l'assistenza tecnica della Commissione;
rispetto alla proposta finlandese, il primo pilastro della PAC riceverebbe 2,5 miliardi di euro in più nell'ambito della proposta presentata da Charles Michel ed il secondo pilastro 7,5 miliardi di euro in meno; un ulteriore pacchetto di 7,5 miliardi di euro è stato incluso nella rubrica 3, per il cosiddetto "Fondo per una transizione giusta" per affrontare le conseguenze sociali ed economiche dell'obiettivo del raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050; quest'ultimo dovrebbe aiutare a mobilitare almeno 100 miliardi di euro di investimenti, insieme con gli altri pilastri del Meccanismo per una transizione equa; nella rubrica 3 "Risorse naturali e ambiente", gli stanziamenti di impegno, che consistono nella PAC e nella PCP, nonché nell'azione per l'ambiente e per il clima, non supereranno i 354.082 milioni di euro (rispetto ai 346.582 milioni di euro del precedente documento finlandese), di cui 256.747 milioni di euro (rispetto ai 254.247 milioni di euro) saranno assegnati alle spese connesse al mercato ed ai pagamenti diretti;
rispecchiando ampiamente la proposta della Commissione europea, la convergenza esterna del sostegno diretto continuerà: tutti gli Stati membri i cui aiuti diretti per ettaro si attestano al di sotto del 90 per cento della media UE colmeranno il 50 per cento del divario tra la loro media attuale ed il 90 per cento della media UE in sei fasi uguali a partire dal 2022; secondo la proposta, la convergenza sarà finanziata proporzionalmente da tutti gli Stati membri; inoltre, come già previsto nella proposta originale della Commissione europea, il massimale dei pagamenti diretti (capping) sarà a livello di 100.000 euro;
alcuni Paesi europei - in primis la Spagna che ritiene che la nuova proposta avanzata da Michel sia ancora poco ambiziosa e che non risolva problemi divergenza nell'Unione, comunque al di sotto dei target indicati dal Parlamento europeo, con risoluzione votata il 25 novembre 2018;
in questo quadro, la principale sfida per il futuro bilancio dell'UE sarà assicurare un adeguato finanziamento sia per le cosiddette politiche tradizionali dell'UE (politica di coesione e politica agricola comune, che assorbono circa il 70 per cento dell'attuale QFP), sia per una serie di nuove priorità che sono emerse negli ultimi anni e che necessitano per il futuro di maggiori risorse (gestione del fenomeno migratorio, sfide per la sicurezza interna ed esterna dell'UE, rafforzamento della cooperazione tra Stati membri in materia di difesa);
i quasi 1000 miliardi per il Green Deal - strategia per la riconversione del sistema economico-produttivo - arriverebbero dal prossimo bilancio settennale (480 miliardi), dal cofinanziamento nazionale (115 miliardi), da investimenti dal settore privato e pubblico attraverso programma InvestEU (già noto come Piano Junker, 280 miliardi) e dal Just Transition Fund (100 miliardi, integrati da contributi provenienti dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dal Fondo sociale europeo plus, nonché con risorse nazionali supplementari);
vanno quindi valutati i canali di cofinanziamento del Green Deal che richiederebbe una tassa sulla plastica non riciclata, il cui gettito andrebbe direttamente dai Paesi al bilancio dell'Unione, in tal senso va ricordato che la nostra legge di bilancio 2020-2022 ha già introdotto l'imposta sui manufatti in plastica a singolo impiego (cosiddetta plastic tax), che prevede un gettito di 521 milioni nel 2021, già iscritto nel bilancio dello Stato italiano. Peraltro non ci sarebbe lo scomputo sul deficit per gli investimenti verdi. Si potrebbe utilizzare il Just Transition Fund per bonificare i siti industriali che producono acciaio e non solo carbone (Germania e Polonia), e quindi in favore della bonifica dell'Ilva;
è necessario superare il sistema dei cosiddetti rebates, vale a dire i rimborsi, ormai obsoleto, iniquo e regressivo, che permette sconti solo per alcuni Paesi (Germania, Svezia, Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Regno Unito), contribuendo in maniera inferiore ad altri al bilancio europeo, sulla base di criteri che non trovano più alcuna ragione sostanziale;
quello del QFP è quindi un banco di prova fondamentale per capire se davvero si è in grado di andare avanti sul processo di integrazione o viceversa se si intende scegliere la strada di un'Europa che sempre più fa riferimento alla dimensione degli Stati membri;
l'Europa riparte se si è in grado di ricostruire la "voglia d'Europa" tra i suoi concittadini: non solo e non più soltanto unione monetaria e rispetto dei parametri finanziari, ma anche identità, rispetto delle proprie radici e capacità di guardare e costruire un futuro comune; serve quindi un'Unione europea riformata nelle sue istituzioni, flessibile, che sappia adattarsi ai cambiamenti della realtà, unita nelle diversità territoriali che devono rappresentare non un ostacolo, ma un'opportunità di sviluppo per l'intero continente;
in questo quadro, particolare attenzione in sede di revisione del QFP dovrà essere prestata al finanziamento della ricerca, dell'innovazione e dell'agenda digitale, all'aumento delle risorse in bilancio per le politiche giovanili, alla gestione delle frontiere e alla sicurezza interna; un capitolo a parte dovrà, inoltre, essere dedicato al sostegno delle piccole e medie imprese;
sul negoziato sul prossimo QFP non è possibile disgiungere la partita anch'essa importante e ancora in corso sul MES, che rischia di chiudersi con conseguenze pesanti per il nostro sistema Paese. La riforma del Meccanismo europeo di stabilità istituito nel 2012, sulla base di un trattato intergovernativo per fornire assistenza ai Paesi dell'Eurozona, è quanto mai urgente un'azione politica che porti l'Unione europea a non apportare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali ed investimenti;
solo grazie al pressing svolto in Parlamento da tutto il centrodestra unito, il Governo italiano, che stava subendo nell'indifferenza generale la posizione franco-tedesca, era riuscito, allo scorso Consiglio europeo, ad ottenere un rinvio della firma del trattato;
Forza Italia aveva più volte invitato il ministro dell'economia Roberto Gualtieri a sfruttare l'occasione per presentare una controproposta utile nelle successive riunioni, a partire da quella dell'Eurogruppo dello scorso 20 gennaio, su temi delicati quali le CACs e i meccanismi automatici di ristrutturazione del debito;
il 30 gennaio scorso, il presidente Mario Centeno, tramite una lettera ufficiale pubblicata sul sito dell'Eurogruppo, ha fatto sapere che la discussione sul MES si concluderà nella prossima riunione di marzo e che a questa seguirà la firma ufficiale del trattato e che, a detta dello stesso Centeno, ricalcherà l'impianto già discusso prima del Consiglio europeo di dicembre, al netto di qualche dettaglio di minore importanza;
nella riunione dell'Eurogruppo dello scorso 17 febbraio, il presidente Mario Centeno ha ufficialmente dichiarato, nelle sue conclusioni che "Un'altra priorità per questo semestre è finalizzare i lavori in corso sul Trattato MES e sullo strumento di bilancio dell'area dell'euro" e che, sul tema ha avvertito tra i presenti un clima "di urgenza", confermando quindi la volontà dell'Eurogruppo di chiudere al più presto il trattato MES;
si conferma, dunque, l'inerzia del Governo italiano che non ha approfittato della proroga per presentare una sua controproposta, e che della tanto paventata "logica di pacchetto" non vi sia traccia; l'Italia rischia di rimanere assoggettata alle posizioni di Germania e Francia, che avranno "carta bianca" sulle regole che governeranno le ristrutturazioni dei debiti pubblici, quello italiano in primis, per i prossimi anni su un negoziato importante che riguarda la governance economica UE;
è opportuno pertanto opporsi nel merito ad assetti normativi che finiscano per costringere alcuni Paesi a percorsi di ristrutturazione predefiniti e sostanzialmente automatici, includendo un quadro di indicatori economici e finanziari che comprendano anche il livello di debito privato, oltre a quello pubblico e l'evoluzione, oltre che la consistenza, delle sofferenze bancarie;
la rilettura del MES alla luce anche del bilancio a lungo termine dell'UE deve essere inserita in un pacchetto più ampio di riforme della governance economica dell'Unione, che vada da quella del Patto di stabilità e crescita all'approfondimento dell'Unione economica e monetaria (UEM); nella governance attuale manca il controllo democratico e vi è scarsa trasparenza, in quanto la natura intergovernativa del MES esclude la presenza delle Istituzioni UE, con la sola Commissione europea chiamata a dare un parere tecnico; in particolare va rivisto il voto a maggioranza, posto che le decisioni del fondo avvengono a maggioranza e non all'unanimità per cui le risorse economiche di uno Stato possono essere usate anche qualora lo stesso Stato abbia votato contro;
in definitiva, i soldi degli italiani potrebbero essere usati anche contro la volontà dell'Italia per risolvere i problemi di altri Stati, avvantaggiando in questo modo i Paesi più forti, Germania innanzitutto, nazione che, invece, prevede il voto del Bundestag, cioè il Parlamento tedesco deciderebbe al posto del Parlamento italiano, che, al contrario, non ha potere decisionale in proposito essendo questo ruolo affidato direttamente al Ministro dell'economia e delle finanze; mancano strumenti di controllo efficaci, democratici e trasparenti, mentre ci sono troppi poteri inappellabili concentrati nella figura del Direttore generale;
l'11 dicembre 2019, nel corso delle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 12 e 13 dicembre 2019, i gruppi parlamentari hanno sollevato con forza la necessità di un coinvolgimento del Parlamento nelle decisioni relative alla riforma del MES;
il centrodestra unito ha presentato in quell'occasione una risoluzione unitaria, nella quale si invitava il Governo a non procedere ad alcuna formale adesione al trattato MES prima che le numerose criticità fossero state discusse e risolte, e a dare da quel momento in poi compiuta attuazione alla legge n. 234 del 2012 recante "norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea", riferendo in modo chiaro ed esaustivo alle Camere e agli organi parlamentari competenti circa l'effettivo stato di avanzamento del negoziato sul MES e sugli altri elementi del pacchetto;
anche la stessa risoluzione di maggioranza (6-00087 n. 2) approvata dal Senato, ha impegnato chiaramente il Governo "ad assicurare il pieno coinvolgimento del Parlamento in tutti i passaggi del negoziato sul futuro dell'unione economica e monetaria e sulla conclusione della riforma del MES";
come riportato i giorni scorsi da alcuni organi di stampa nazionale, fonti dell'Eurogruppo hanno dichiarato che il trattato sul Meccanismo europeo di stabilità sarà firmato il prossimo aprile dagli ambasciatori degli Stati membri dell'Unione europea durante la riunione del CORPER (Comitato dei rappresentanti permanenti), su un testo ritenuto da loro ormai non più soggetto a modifiche se non marginali;
se fosse confermata tale previsione saremmo di fronte ad una grave violazione degli impegni assunti dal Governo davanti a questa assise;
si rende quindi necessario garantire che il trattato sul MES non venga sottoscritto il prossimo aprile e che ci siano garanzie da parte del Governo affinché sia data ancora la possibilità all'Italia di modificare il testo formulato antecedentemente alla riunione dell'ultimo Consiglio europeo tenutosi il 12 dicembre 2019 con l'obiettivo di giungere ad un testo ampiamente condiviso;
in termini numerici il versamento della intera quota italiana del MES corrisponderebbe a 125,3 miliardi essendo pari al 17,7 per cento del totale di 704 (14 su 80 già versati), mentre nei prossimi 7 anni l'Italia dovrà versare al bilancio UE oltre 126 miliardi (oltre 18 miliardi ogni anno);
va ricordato inoltre, che il salvataggio della banca tedesca NORD/LB e la vicenda Tercas confermano che, peraltro, in Europa c'è bisogno di nuove norme per regolare gli aiuti di Stato alle banche in difficoltà, chiarendo il termine di sostegno finanziario da parte pubblica, in quali casi possa essere erogato, ed eliminando ogni margine di discrezionalità da parte dell'Antitrust europeo che danneggi un istituto bancario di un Paese rispetto a quello di un altro. La Corte di giustizia europea ha inoltre censurato la Commissione europea per una decisione non fondata. L'EBA, ha sottolineato la mancanza di chiarezza nell'interpretazione che l'Antitrust UE dà delle regole in materia di aiuti di Stato nel settore bancario e nell'intervento dei fondi di garanzia a favore delle banche in difficoltà, rilevando che, in passato, interventi di questo genere sono stati fondamentali per prevenire fallimenti che avrebbero gravemente danneggiato i risparmiatori;
è quindi necessario tenere conto di questa raccomandazione nel quadro legislativo europeo che riguarda le crisi bancarie, rivedendo le norme per evitare distorsioni del mercato interno, completare l'Unione bancaria e il mercato dei capitali. Occorre una chiara distinzione tra regole su aiuti di Stato volti ad assicurare la libera concorrenza e interventi volti a garantire la stabilità finanziaria. Sono due obiettivi diversi da perseguire con strumenti normativi diversi, accanto a una riforma complessiva delle regole UE in materia di concorrenza, in ritardo rispetto alle dinamiche del mercato globale, per poter competere con giganti come Cina, Stati Uniti, Russia e India;
la crisi industriale e la recessione economica, si contrastano anche cambiando le regole europee, con norme che permettano alle imprese di poter crescere, che permettano alle banche di raccogliere risparmi ed erogare finanziamenti in un sistema armonico che abbia finalmente una Unione bancaria;
le modifiche sinora evidenziate all'accordo sull'Unione bancaria, sarebbero oltremodo penalizzanti per il sistema bancario italiano prevedendo accantonamenti delle banche per il rischio derivante dal possesso di titoli di Stato oltre il 33 per cento del capitale TIER1. Ove passasse questa nuova previsione le nostre banche sarebbero ulteriormente danneggiate in caso di riduzione della valutazione del nostro debito sovrano e ne risentirebbe, nel suo complesso, il sistema creditizio italiano;
nella riunione dell'Eurogrupo dello scorso 17 febbraio si è discusso, tra le altre cose, della riforma della cosiddetta "2pack" e, più in generale dell'intera governance economica europea, introdotta nel 2013 al fine di istituire un quadro per affrontare il caso degli Stati membri che incontrano difficoltà riguardo alla stabilità finanziaria e rafforzare il coordinamento di bilancio, tra i quali è compresa l'Italia,
impegna il Presidente del Consiglio dei ministri a porre all'attenzione del Consiglio europeo i seguenti elementi:
la necessità per l'Italia di posporre la firma al Quadro finanziario pluriennale, che per essere approvato richiede il voto unanime, oltreché alla valutazione propria del QFP, anche alla stima complessiva degli effetti sul bilancio dello Stato e sul nostro sistema economico-finanziario derivanti dall'approvazione del MES e delle modifiche che si prospettano rispetto all'Unione Bancaria - coerentemente con quanto approvato dall'Aula di Montecitorio, con risoluzione del 19 giugno 2019, la quale impegna il Governo a non procedere a formale adesione alla revisione del trattato del MES, se non all'esito della definizione e della condivisione di tutte misure interessate, favorendo il cosiddetto "package approach", secondo una logica di equilibrio complessivo;
con riferimento al Quadro finanziario pluriennale:
a non sostenere proposte di compromesso al ribasso sull'entità del bilancio complessivo del prossimo QFP 2021-2027, con particolare riferimento a quelle poste di bilancio relative a interessi e settori strategici per il nostro Paese, come la modifica del coefficiente di prosperità per le politiche di coesione e la revisione del meccanismo di convergenza esterna dei pagamenti diretti per la PAC;
a non sostenere la recente proposta di bilancio presentata dal presidente del Consiglio del consiglio europeo Charles Michel, in quanto non apporta cambiamenti significativi rispetto alla proposta finlandese di dicembre 2019; occorre scongiurare il rischio che vengano apportati tagli alla Politica agricola comune e ai fondi di coesione; occorre ripristinare i fondi per la ricerca e l'innovazione per il comparto agricolo nel Programma orizzonte Europa; occorre mantenere le risorse in favore del Fondo europeo per la difesa (11.5 miliardi di euro), garantire gli strumenti per la riconversione dell'economia reale, alla luce della proposta di un nuovo Green Deal europeo, affinché siano adeguati e non penalizzino l'Italia; occorre che il bilancio europeo sia incrementato, senza aumentare la pressione fiscale negli Stati membri ma introducendo un sistema di risorse proprie, a cominciare dalla web tax per i giganti di Internet che non pagano le tasse, non creano posti di lavoro e trasferiscono i propri profitti in USA e Cina; occorre, altresì, appoggiare la proposta di una carbon tax che protegga la nostra industria in fase di riconversione dalla concorrenza sleale da parte di Paesi extra europei che non rispettano le nostre regole ambientali;
a contrastare la convergenza esterna dei pagamenti diretti nella PAC, posto che andrebbe a discapito del settore agricolo italiano in modo che vengano eliminate le penalizzazioni contenute nell'ipotesi di budget iniziale e tenga conto della peculiarità delle produzioni agricole dell'intera penisola e la peculiarità del pescato dei nostri mari;
a migliorare le dotazioni complessive spettanti all'Italia in base alla politica di coesione, anche in considerazione del marcato impoverimento delle regioni del Sud d'Italia nel corso degli ultimi anni;
a contrastare il mantenimento delle correzioni al bilancio (cosiddetto rebates), previste per Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Austria e Svezia e che non trova più, nel 2020, alcuna ragione sostanziale;
a sostenere la ricapitalizzazione da 100 miliardi di euro della Banca europea per gli investimenti, di cui 10 miliardi di capitale versato, al fine di sostenere gli investimenti nella lotta ai cambiamenti climatici, purché prevedano la riconversione di centrali elettriche a carbone e la riconversione degli impianti per la produzione dell'acciaio, e alla digitalizzazione dell'economia;
l'avvio di una trattativa nelle sedi competenti per addivenire ad una più idonea ripartizione dei fondi e dei capitoli di bilancio dell'Unione europea da destinare alle opere infrastrutturali, in relazione alla necessità espressa dalla Commissione europea che "il bilancio sia sufficientemente flessibile in modo da poter essere efficacemente impiegato in situazioni di emergenza";
la necessità di prevedere che una quota del QFP, adeguata al fenomeno in misura prospettica e al carico pregresso, sia indirizzata alla gestione dei flussi migratori e al contrasto dei trafficanti di uomini anche attraverso la creazione nel continente africano di "centri regionali di sbarco" per i migranti soccorsi nel Mediterraneo;
l'armonizzazione delle normative interne degli Stati membri ed un ulteriore sviluppo delle politiche sociali;
la costituzione di un apposito capitolo di spesa che possa essere utilizzato in situazioni "emergenziali" ma anche per politiche di prevenzione dovute al manifestarsi di epidemie (ad esempio Sars, Coronavirus eccetera);
la necessità di maggiore trasparenza, in particolare nel settore del finanziamento alle ONG, per consentirne un vero controllo democratico;
la necessità di modificare le politiche stringenti e spesso illogiche da un punto di vista contabile del Patto di stabilità, per trasformarlo in un autentico Patto per la crescita, ridisegnando l'articolato sistema italiano di spesa fiscale:
1. sostituendo il parametro del rapporto debito pubblico-PIL, ora riferito al solo bilancio pubblico, con quello di debito aggregato (Stato, imprese, banche e famiglie), in rapporto al prodotto interno lordo;
2. escludendo dal calcolo del debito la parte relativa all'indebitamento netto utilizzato sinora dall'Italia per la stabilizzazione del proprio sistema bancario, posto che gli altri Paesi europei hanno affrontato la crisi delle proprie banche ricorrendo agli aiuti europei;
3. per quanto riguarda il rapporto deficit-PIL, escludendo dai limiti di spesa in rapporto al PIL la parte di spesa pubblica dedicata agli investimenti e la spesa in ricerca e innovazione, inclusa quella derivante da agevolazioni pubbliche che hanno generato investimenti nel settore privato;
inserire la riscrittura del Meccanismo europeo di stabilità nel complesso di riforme della governance economica dell'Unione, che vada da quella del Patto di stabilità e crescita, alla revisione del semestre europeo, al ruolo dei nuovi fondi di investimento e di stabilizzazione, alla modifica del "two-pack" e "six-pack", fino ad una armonizzazione delle differenti normative in materia di economia finanziaria e bancaria;
adottare una posizione unitaria al fine di prevedere, all'interno della riforma del MES, un quadro di indicatori economici e finanziari che comprendano anche il debito aggregato, cioè quello privato, oltre a quello pubblico, e l'evoluzione, oltre che la consistenza, delle sofferenze bancarie;
rivedere il procedimento del voto a maggioranza, posto che le decisioni del Meccanismo avvengono a maggioranza e non all'unanimità; introdurre il controllo democratico del Parlamento europeo e una maggiore trasparenza sulle decisioni; trasformare, in buona sostanza, il MES in un fondo monetario europeo, da integrare nei trattati e nelle istituzioni UE.
(6-00096)
Bernini, Malan, Galliani, Gallone, Giammanco, Lonardo, Mallegni, Mangialavori, Moles, Rizzotti, Ronzulli, Pichetto Fratin, Vitali, Aimi, Alderisi, Barachini, Barboni, Battistoni, Berardi, Berutti, Biasotti, Binetti, Caliendo, Caligiuri, Cangini, Carbone, Causin, Cesaro, Craxi, Dal Mas, Damiani, De Poli, De Siano, Fantetti, Fazzone, Ferro, Floris, Gasparri, Ghedini, Giro, Masini, Alfredo Messina, Minuto, Modena, Pagano, Papatheu, Paroli, Perosino, Quagliariello, Romani, Rossi, Saccone, Schifani, Sciascia, Serafini, Siclari, Stabile, Testor, Tiraboschi, Toffanin.