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Atto a cui si riferisce:
C.1/00308    premesso che:     per 156 anni, tra il 1842 e il 1997, l'isola cinese di Hong Kong è stata una colonia dell'impero britannico. Con la Dichiarazione congiunta...



Atto Camera

Mozione 1-00308presentato daCABRAS Pinotesto diMercoledì 8 gennaio 2020, seduta n. 284

   La Camera,

   premesso che:

    per 156 anni, tra il 1842 e il 1997, l'isola cinese di Hong Kong è stata una colonia dell'impero britannico. Con la Dichiarazione congiunta sino-britannica del 19 dicembre 1984 il Regno Unito e la Repubblica Popolare Cinese addivenirono a un accordo per ripristinare la sovranità cinese dal 1° luglio 1997 sull'isola di Hong Kong, nonché su Kowloon e sui Nuovi Territori (anch'essi inglobati nell'impero britannico, rispettivamente, nel 1860 e nel 1898). Secondo il suddetto trattato, la ex colonia avrebbe goduto di «un alto grado di autonomia» per un periodo transitorio di 50 anni, a decorrere dal trasferimento della sovranità, ossia fino al 2047;

    con la fine del regime coloniale britannico, Hong Kong è dunque diventata una «Regione Amministrativa Speciale», così come previsto dall'articolo 31 della Costituzione della Repubblica Popolare Cinese, con un sistema amministrativo autonomo ispirato al principio «Un Paese, due sistemi». Analogo regime di autonomia è garantito alla ex colonia portoghese di Macao, tornata sotto la sovranità cinese nel 1999;

    agli inizi del 2019, giacché la magistratura hongkonghese non poteva esercitare alcuna giurisdizione sul caso di Chen Tongjia – residente di Hong Kong accusato di aver ucciso la sua fidanzata incinta a Taiwan prima di tornare a Hong Kong – le autorità della Regione amministrativa speciale hanno avanzato una proposta intesa a regolare l'estradizione da e verso la terraferma cinese, Macao e Taiwan;

    il 31 marzo 2019 migliaia di persone scendevano in piazza per protestare contro la proposta di legge sull'estradizione. In seguito alle proteste, il 3 aprile l'Esecutivo di Hong Kong guidato da Carrie Lam introduceva alcune modifiche alla suddetta proposta normativa. A fine aprile i manifestanti raggiungevano l'edificio del Consiglio legislativo di Hong Kong per rifiutare qualunque modifica alla normativa sull'estradizione suscettibile di accrescere il ruolo della Cina nelle vicende giudiziarie della Regione amministrativa speciale;

    dieci giorni dopo Carrie Lam ribadiva la sua determinazione a fare approvare le modifiche, ma il 30 maggio la portata delle modifiche veniva ulteriormente attenuata, non convincendo tuttavia gli oppositori. Il 9 giugno le manifestazioni portarono in piazza circa mezzo milione di persone;

    nel corso dei mesi gli eventi di piazza hanno registrato sempre più frequenti episodi di violenza, determinando anche la chiusura di uffici governativi, infrastrutture aeroportuali e servizi pubblici di varia natura;

    in seguito al degenerare degli eventi, il 15 giugno l'Esecutivo di Hong Kong rinviava sine die la proposta di legge per le modifiche alla normativa sull'estradizione. Ciononostante le proteste sono continuate con un ulteriore acuirsi della violenza, tantoché il 1° luglio, 22° anniversario del ritorno di Hong Kong alla Cina, i manifestanti giungevano ad assaltare la sede del Consiglio legislativo;

    il 18 luglio il Parlamento europeo ha votato una risoluzione che invita il Governo di Hong Kong a ritirare il progetto di modifica del regime dell'estradizione e sostiene l'importanza «che l'UE continui a sollevare la questione delle violazioni dei diritti umani in Cina in occasione di ogni dialogo politico e sui diritti umani con le autorità cinesi, in linea con l'impegno dell'UE di esprimersi con una voce unica, forte e chiara nel dialogo con il Paese; rammenta altresì che, nel contesto del suo attuale processo di riforma e del suo crescente impegno globale, la Cina ha aderito al quadro internazionale sui diritti umani firmando una vasta serie di trattati internazionali in materia; invita pertanto l'UE a portare avanti il dialogo con la Cina per assicurare che onori tali impegni»;

    il 4 settembre, dopo cinque mesi di proteste, Carrie Lam ha annunciato il ritiro, in via definitiva, delle proposte di modifica alla normativa di Hong Kong in materia di estradizione. Il Capo dell'Esecutivo accompagnava l'annuncio con ulteriori tre punti, a suo dire utili a un dialogo con il movimento di contestazione, ovvero: 1) il pieno sostegno all’Independent Police Complaints Council (Ipcc), l'organismo che ha il compito di fare luce sui reclami contro l'operato della polizia dell'ex colonia; 2) la disponibilità sua e del suo gabinetto ad avviare incontri con le comunità locali; 3) la stesura di un rapporto indipendente sulle cause delle principali questioni sociali che affliggono la città;

    l'attivista Joshua Wong era atteso in Italia a fine novembre per un incontro pubblico presso la Fondazione Feltrinelli e per incontrare parlamentari di vari partiti, cosa che ha già fatto in Germania – incontrando privatamente il Ministro degli esteri con alcuni politici – e negli Stati Uniti – incontrando membri del Congresso –, e un tribunale ha respinto l'8 novembre 2019 la richiesta del signor Wong di lasciare Hong Kong per l'Europa. Il 19 novembre la decisione è stata confermata dalla Corte suprema;

    per quanto il controverso provvedimento in materia di estradizione sia stato revocato, le manifestazioni proseguono e, ad oggi, non è possibile circoscriverne il novero di ulteriori obiettivi futuri. In questo contesto, l'8 settembre alcuni dimostranti hanno iniziato a sfilare indossando bandiere degli Stati Uniti, invocandone altresì un intervento diretto nella crisi. Il 15 settembre un sit-in di manifestanti davanti al consolato britannico, nel criticare il principio «Un Paese, due sistemi», invocava un'iniziativa del Regno Unito volta a riconoscere la cittadinanza britannica ai residenti di Hong Kong;

    nelle elezioni dei distretti tenute il 23 novembre, il fronte di opposizione democratica ha conquistato 278 seggi contro i 42 dei filo-cinesi e una ventina per gli indipendenti, sostanzialmente ribaltando il risultato del 2015, nel quale l’establishment governativo era arrivato a 298 seggi e l'opposizione a 126,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative necessarie per conformarsi alla risoluzione del Parlamento europeo del 18 luglio 2019;

2) sulla scorta di quanto richiamato dall'allora Alto Rappresentante Mogherini il 18 novembre 2019, a continuare a sostenere l'iniziativa dell'Unione europea per l'avvio, da parte delle autorità di Hong Kong, di un'indagine conoscitiva sulle ragioni alla base delle proteste e di un'inchiesta sulle violenze e sulle violazioni del diritto nell'impiego dell'uso della forza;

3) a sostenere una iniziativa dell'Unione europea per un celere e imparziale esame, da parte delle competenti autorità di Hong Kong e sulla base della legislazione locale vigente, delle richieste di rilascio dei manifestanti arrestati durante le proteste, nonché per verificare le ragioni del diniego all'espatrio di Joshua Wong, chiedendo parimenti spiegazioni all'ambasciata cinese;

4) a ribadire alle autorità cinesi che la tutela delle libertà di espressione e i diritti personali, nel pieno rispetto delle autonomie dei singoli Paesi, sono un principio essenziale per la conduzione della politica estera italiana.
(1-00308) «Cabras, Quartapelle Procopio, Migliore, Palazzotto, Suriano, Sabrina De Carlo, Del Grosso, Perconti, Di Stasio, Emiliozzi».