• Testo ODG - ORDINE DEL GIORNO IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
C.9/02305/204    premesso che:     nei casi in cui l'amministrazione finanziaria emette un atto amministrativo illegittimo o infondato – prima di esperire la tutela giurisdizionale innanzi...



Atto Camera

Ordine del Giorno 9/02305/204presentato daMARTINCIGLIO Vitatesto diLunedì 23 dicembre 2019, seduta n. 282

   La Camera,
   premesso che:
    nei casi in cui l'amministrazione finanziaria emette un atto amministrativo illegittimo o infondato – prima di esperire la tutela giurisdizionale innanzi al giudice – è possibile ricorrere all'autotutela tributaria definita come il potere dell'Amministrazione finanziaria di procedere d'ufficio o su istanza del contribuente, all'annullamento o revoca degli atti illegittimi (inficiati da errori di diritto) o infondati (inficiati da errori di fatto), così come disciplinato dall'articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564 e dal Regolamento recante norme relative all'esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria, di cui al decreto ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37;
    la fattispecie dell'autotutela tributaria appare alquanto peculiare, in quanto presenta delle criticità e delle lacune che rivelano i limiti dell'attuale disciplina che la regolamenta;
    innanzitutto, l'articolo 2 del regolamento citato individua, in maniera non esaustiva, le ipotesi di annullamento d'ufficio o di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento. L'elenco contenuto nella norma, considerato non tassativo, tipicizza una serie di vizi riconducibile, nella sostanza, alla mancanza del presupposto di imposta (infondatezza della pretesa tributaria, in tutto o in parte; non dovutezza, in tutto o in parte, del tributo). Quanto all'ambito di concreta rilevanza delle patologie dell'atto impositivo che possono condurre all'annullamento d'ufficio, se l'infondatezza si riferisce alla mancanza del presupposto dell'imposta (errore di fatto), l'illegittimità è potenzialmente idonea a ricomprendere tutte le difformità dell'atto impositivo rispetto al modello legale, e quindi anche i vizi di mera forma dell'atto o vizi del procedimento, ivi compresi quelli della notificazione del provvedimento. Tuttavia, si tende ad escludere dal novero dei vizi rilevanti, ai fini dell'annullamento d'ufficio, i vizi di legittimità che si esauriscono in vizi meramente formali e che non incidono sull’an e sul quantum del carico tributario. Sono quindi solo le patologie sostanziali dell'atto impositivo a legittimare l'annullamento d'ufficio, e non il generico ripristino della legalità violata. La mera violazione di regole formali o procedimentali non consentirebbe all'ufficio di rinunziare ad un gettito fondato, ancorché attuato con modalità illegittime;
    a ciò bisogna aggiungere che la presentazione di un'istanza in autotutela da parte del contribuente, a fronte di un atto palesemente illegittimo o infondato, non sospende i termini processuali, ai fini della presentazione del ricorso innanzi al giudice, come affermato dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 13367 del 17 maggio 2019. Per i giudici di legittimità, la norma di legge «nel disciplinare il procedimento di autoannullamento dell'atto e in particolare i rapporti con il ricorso giurisdizionale, non contempla alcuna ipotesi di interruzione e/o sospensione del termine processuale per impugnare l'atto previsto...». Si aggiunge che: «Quando si è voluto regolamentare un differimento del termine processuale di impugnativa di un atto impositivo la norma lo ha espressamente disposto». Quest'ultima considerazione, a riprova della sussistenza di un vuoto normativo in tal senso, fa sì che il contribuente lasci decorrere il termine perentorio previsto, ai fini dell'impugnazione dell'atto impositivo, senza proporre ricorso giurisdizionale confidando, in buona fede, nel positivo esito del procedimento di autotutela. Ma nel caso l'esito-sia sfavorevole, il contribuente si troverà costretto a sopportarne le conseguenze negative (anche di carattere economico), tra le quali quella della declaratoria giudiziale di inammissibilità, qualora il ricorso venga proposto oltre il termine di decadenza;
    tale situazione ostacola, di fatto, l'esercizio della tutela giurisdizionale dei diritti innanzi all'autorità giudiziaria, come previsto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione;
    non si può consentire, peraltro, che l'interesse alla giusta contribuzione si estingua (o almeno divenga marginale) una volta scaduto il termine per l'impugnazione giurisdizionale. Una simile conclusione non trova alcun fondamento normativo, né, tantomeno, costituzionale, in quanto l'articolo 53 della Costituzione ancora l'imposizione tributaria ai principi di legalità e di capacità contributiva senza prevedere alcun limite temporale;
    a ciò si deve aggiungere l'ulteriore limite normativo per cui l'amministrazione finanziaria non ha alcun obbligo di adottare un provvedimento amministrativo espresso sull'istanza di autotutela proposta dal contribuente, né l'impugnabilità – da parte di questi – del silenzio tacito su tale istanza. L'esercizio del potere di autotutela configurerebbe in tal modo una semplice facoltà discrezionale, il cui mancato esercizio non può essere in alcun modo contestato;
    a differenza di quanto previsto dagli articoli 21-quinquies e 21-novies della legge 7 agosto 1990, n. 241, l'annullamento d'ufficio in materia tributaria non è subordinato alla valutazione dell'interesse pubblico attuale e concreto, né è soggetto a limiti temporali. Da qui ne consegue che il cittadino-contribuente, non potendo contare sulla certezza della risposta dell'Amministrazione, si vedrà costretto a sostenere gli ulteriori effetti negativi di una mancata risposta o di una risposta negativa e, addirittura, in alcuni casi, una risposta successiva ai termini che gli precluderebbe di esperire il ricorso giurisdizionale. Tutto ciò si verifica prescindendo dal fatto che quello dell'amministrazione finanziaria è un munus, ovvero un potere esercitato come funzione dell'ufficio stesso, attraverso il cui esercizio vengono tutelati degli interessi collettivi. Tale munus va collegato ai doveri di collaborazione e buona fede sanciti dall'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, e dal punto di vista del contribuente, il silenzio dell'amministrazione verrebbe ad equivalere ad un inadempimento del patto tacito di collaborazione, alla base dei rapporti tra contribuente e fisco. Non si è tenuto conto del fatto che la doverosità procedimentale – a confutazione della natura discrezionale del potere di autotutela tributaria – emergerebbe, almeno a livello sintomatico, dalla stessa disciplina dell'autotutela tributaria, ove il citato decreto ministeriale del 1997 prevede poteri sostitutivi in caso di inerzia procedimentale e l'articolo 13, comma 6, dello Statuto del contribuente assegna al Garante del contribuente il potere di attivare le procedure di autotutela nei confronti degli atti di accertamento e di riscossione notificati al contribuente;
    a sostegno di tutto ciò si aggiunge la decisione giurisprudenziale (v. Cass. 2575/1990) per cui – in uno Stato moderno l'interesse del Fisco non è quello di costringere il contribuente a soddisfare pretese ingiuste profittando di situazioni favorevoli sui piano amministrativo o processuale, ma quello di curare che il prelievo fiscale sia in armonia con l'effettiva capacità contributiva del soggetto passivo dell'imposta. Le regole di imparzialità buona fede e correttezza costituiscono il limite esterno al potere della P.A. Tali regole impongono che la P.A., una volta informata dell'errore, compia le necessarie verifiche e poi, accertato l'errore, annulli il provvedimento riconosciuto illegittimo o comunque errato. Non v’è, quindi, alcuno spazio per la mera discrezionalità anche quando il contribuente abbia per incuria fatto scadere il termine di impugnazione dell'atto impositivo (così anche Cass. n. 6283/2012). Sarebbe pertanto contrario ai principi di giustizia sostanziale e di coerenza interna dell'ordinamento che l'Amministrazione debba agire in modo vincolato nella fase dell'imposizione ed in modo del tutto discrezionale di fronte ad una pretesa palesemente ingiusta; le criticità e lacune normative illustrate legittimerebbero, in tal modo, un comportamento dell'amministrazione finanziaria in contrasto con i principi fondanti dell'autotutela tributaria rinvenibile negli articoli 3, 23, 24, 53, 97 e 113 della Costituzione, primi fra tutti quelli di legalità, della giusta tassazione e di buona amministrazione, in virtù dei quali il contribuente, che non può essere soggetto a un'ingiusta tassazione, deve poter esercitare, pienamente, il proprio diritto a contestare una richiesta impositiva illegittima – senza dover temere la scure della scadenza dei termini processuali per proporre impugnazione e confidando, entro tempi certi, sulla risposta positiva o negativa dell'Amministrazione – con conseguente ritiro, in autotutela, del provvedimento viziato da parte dell'Amministrazione;
    da qui, la necessità di colmare le lacune normative esposte attraverso una riforma della vigente disciplina in tema di autotutela tributaria maggiormente conforme ai principi costituzionali in materia tributaria, come quello della legalità e della giustizia fiscale;
    una simile riforma, contempererebbe l'interesse della pubblica amministrazione ad evitare una causa che la vedrebbe sicuramente soccombente e quello del cittadino ad evitare un contenzioso lungo e costoso, con evidenti ricadute positive in termini di risparmio pubblico. L'eventuale condanna della P.A. per il danno conseguente al mancato esercizio dell'autotutela sollecitata dal contribuente o dall'esercizio illegittimo (diniego) costituirebbe danno erariale,

impegna il Governo

a valutare, attraverso gli uffici tecnici del Ministero dell'economia e delle finanze e con idonee iniziative legislative, l'opportunità di intervenire in materia di autotutela tributaria al fine di ampliare le ipotesi di annullamento, di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37, prevedere l'interruzione e/o la sospensione del termine processuale per impugnare l'atto impositivo al momento della presentazione della richiesta in autotutela, nonché valorizzare l'istituto dell'annullamento d'ufficio, quale strumento di deflazione del contenzioso, in tal modo svolgendo, in maniera efficace, il ruolo di mezzo di risoluzione delle controversie diverso da quello giurisdizionale.
9/2305/204. Martinciglio, D'Orso.