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Atto a cui si riferisce:
C.1/00300    premesso che:     i cambiamenti climatici, anche quale causa e moltiplicatore di altri rischi ambientali, rappresentano una sfida decisiva e ineludibile per tutti i Paesi...



Atto Camera

Mozione 1-00300presentato daLABRIOLA Vincenzatesto diLunedì 25 novembre 2019, seduta n. 265

   La Camera,

   premesso che:

    i cambiamenti climatici, anche quale causa e moltiplicatore di altri rischi ambientali, rappresentano una sfida decisiva e ineludibile per tutti i Paesi e per l'umanità;

    nel dicembre 2015, alla Conferenza sul Clima di Parigi (COP21), 195 Paesi hanno adottato un importante accordo universale e vincolante sul clima mondiale. Si tratta di un sensibile passo avanti di un percorso ancora lungo e non facile volto a contrastare il surriscaldamento globale. L'accordo ha definito un piano d'azione globale, inteso a rimettere il mondo sulla buona strada per limitare il riscaldamento globale. I Governi hanno concordato di mantenere l'aumento medio della temperatura mondiale a 1,5 gradi centigradi, e comunque ben al di sotto di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine, e di fornire ai Paesi in via di sviluppo un sostegno internazionale continuo e più consistente all'adattamento;

    sono obiettivi impegnativi che devono inevitabilmente tradursi in nuove opportunità di crescita economica e di occupazione, anche attraverso lo sviluppo di tecnologie pulite e dell'innovazione;

    nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, l'Accordo ha compreso elementi per una riduzione progressiva delle emissioni globali di gas serra e si è basato, per la prima volta, su principi comuni validi per tutti i Paesi. Uno degli obiettivi principali è stato quello di orientare i flussi finanziari privati e statali verso uno sviluppo a basse emissioni di gas serra e di migliorare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici;

    per mettere a punto quanto stabilito con l'Accordo di Parigi del 2015 (COP21) e proseguire sulle iniziative comuni volte al contrasto del riscaldamento globale, si sono svolte: la Conferenza di Marrakech nel 2016 (COP22), la Conferenza di Bonn nel 2017 (COP 23), la Conferenza sul clima di Katowice (COP24) nel dicembre 2018. Il prossimo summit globale sul clima dell'Onu si terrà a Madrid nel dicembre 2019;

    il rapido processo verso un'economia a basse emissioni di carbonio, come chiedono gli accordi di Parigi 2015, perché sia efficace, dovrebbe vedere pienamente coinvolti Usa, Cina e i maggiori Paesi in via di sviluppo e purtroppo non può essere sufficiente il ruolo dell'Europa, che peraltro si conferma essere la più virtuosa sotto questo aspetto;

    la sfida climatica da vincolo si deve trasformare in opportunità economica e si deve affrontare con più innovazione, con nuove tecnologie in grado di creare posti di lavoro;

    in quest'ottica, bisogna avere la consapevolezza che, senza modificare fortemente l'attuale sistema produttivo, non sarà possibile fermare il riscaldamento globale. E va da sé che il sistema produttivo lo si modifica solo con interventi a monte, in primo luogo con una nuova politica energetica che favorisca l'utilizzazione di tecnologie e fonti energetiche a basse emissioni di carbonio e definisca una vera e propria road map verso l'inevitabile decarbonizzazione che riguardi tutti i settori, attraverso investimenti pubblici, incentivi fiscali e semplificazione;

    l'ambiente è tema trasversale: impone soluzioni coordinate sia sul piano industriale sia per gli usi civili e richiede modelli di sviluppo nuovi, in grado di affrontare realtà profondamente diverse e armonizzarle in direzione di un comune obiettivo di crescita socio-economica;

    la trasformazione è inevitabile, chi partirà prima più sarà avvantaggiato in futuro;

    oggi ha poco senso discutere sul «se». Occorre piuttosto metter in atto le molteplici sfide che l'ambiente pone alla classe politica e alla società civile. Peraltro, ogni risposta possibile, in questa prospettiva, deve necessariamente partire, per quanto riguarda il nostro Paese, dal livello più alto dell'ordinamento: la Costituzione. È infatti il momento di adeguare la «lettera» della Carta, nella convinzione che la Costituzione sia anche, e prima di tutto, la tavola dei valori della comunità, in cui ciascuno deve riconoscersi. L'ambiente è ormai parte integrante della cultura e dell'ordinamento italiani e, dunque, non può non trovare riconoscimento formale nella Carta;

    di tutto ciò la gran parte della comunità internazionale ne è consapevole e si sta muovendo in questa direzione. Ma se la direzione è giusta, va accelerato il passo e quindi vanno accelerate le decisioni di politica economica e industriale di contrasto al global warming;

    la Germania di Angela Merkel ha deciso di stanziare 100 miliardi di euro entro il 2030 (54 entro il 2023) per riconvertire l'economia nel segno della sostenibilità, con l'obiettivo di diminuire le emissioni di gas serra del 55 per cento entro il 2030 e diventare «neutrali» dal punto di vista climatico entro il 2050;

    il Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha fin da subito posto la centralità dell'ambiente nell'azione del suo Esecutivo, dando nuovo impulso all'impegno, avanzato dalla Commissione nel 2018, di azzerare le emissioni entro il 2050. E ha proposto di alzare l'asticella fissata per il 2030, portando il taglio dal 40 al 50 per cento rispetto ai livelli del 1990. Secondo l'Agenzia europea per l'ambiente, nel 2020 si raggiungerà una riduzione del 26 per cento;

    le nuove politiche ambientali dell'Unione europea puntano su un forte rilancio degli investimenti in energia e infrastrutture, in una fase di stagnazione economica. La transizione a un'economia a zero emissioni, secondo la Commissione europea, dovrebbe portare a un 2 per cento in più di prodotto interno lordo entro il 2050;

    nel bilancio 2014-2020, l'Unione europea ha destinato il 20 per cento della sua spesa (206 miliardi di euro) in programmi legati al climate change;

    nella proposta di budget 2021-2027, da finalizzare entro fine 2019, si sale al 25 per cento (320 miliardi di euro). Attraverso la partecipazione dei privati, von der Leyen vuole arrivare a mobilitare 1.000 miliardi di euro in investimenti «verdi». Un obiettivo è quello di sbloccare più capitali privati da destinare alle energie rinnovabili e, più in generale, alle tecnologie «pulite»;

    la Banca europea per gli investimenti, uno dei maggiori finanziatori di progetti finalizzati a sostenere obiettivi climatici e ambientali nell'Unione europea, ha fornito negli ultimi cinque anni più di 65 miliardi di euro a favore delle energie rinnovabili, dell'efficienza energetica e della distribuzione di energia;

    sempre la Banca europea per gli investimenti ha annunciato che, nel prossimo decennio, mobiliterà 1.000 miliardi di euro di investimenti sostenibili su ambiente e clima. La quota di finanziamenti dedicati agli obiettivi climatici e ambientali raggiungerà il 50 per cento delle operazioni entro il 2025, mantenendo gli impegni negli anni successivi;

    per quanto riguarda l'Italia, in controtendenza rispetto a un'economia nazionale completamente ferma da troppo tempo, il rapporto GreenItaly, presentato nell'ottobre 2019 da Unioncamere e Fondazione Symbola, dice che oltre 432 mila imprese italiane negli ultimi 5 anni hanno investito in prodotti e tecnologie green per ridurre l'impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di anidride carbonica (o prevedono di farlo entro il 2019). In Italia le persone che lavorano in questo settore sono 3,1 milioni, il 13,4 per cento degli occupati. Complessivamente il 21,5 per cento delle imprese investe su prodotti e tecnologie green. E nei prossimi 5 anni, l'economia circolare e sostenibile offrirà un'opportunità di lavoro su 5 sia nel settore privato, sia in quello pubblico;

    il potenziale di crescita e di nuove opportunità per l'economia e le imprese legate allo sviluppo dell'economia verde è enorme;

    la transizione climatica deve avvenire nei tempi decisi a livello internazionale, ma si devono tenere in considerazione anche le implicazioni che un rapido cambiamento del modello di sviluppo, come conosciuto fino ad oggi, ha inevitabilmente su una parte del mondo produttivo e dei lavoratori, maggiormente coinvolti nella «obbligata» ma necessaria riconversione;

    sotto questo aspetto, affinché la transizione sia realmente efficace, è indispensabile che gli aggiustamenti per la lotta al cambiamento climatico e la salvaguardia dell'ambiente siano anche equi e giusti;

    se la transizione ecologica significa nuove opportunità per ampi settori produttivi, essa porta con sé anche svantaggi per quei settori produttivi e quei lavoratori che hanno meno alternative e quindi maggiori difficoltà ad adeguarsi al cambio di paradigma, in quanto operano in settori dove è più difficile riconvertirsi se non a costi assai elevati. È questo un aspetto assai importante, ma a volte sottovalutato;

    la sostenibilità ambientale è ormai un'esigenza ineludibile che impone una nuova visione di sviluppo, ma la sostenibilità ambientale deve essere perseguita parallelamente con la sostenibilità economica;

    il nuovo paradigma deve essere perseguito tenendo in considerazione che per molte imprese adattarsi al nuovo corso green richiede tempo, tante risorse e fatica imprenditoriale e che può mettere in difficoltà la stessa tenuta occupazionale, e di questo non si può non tenerne conto;

    un settore decisivo per il controllo del global warming è certamente quello dell'economia circolare e dello sviluppo delle filiere del recupero, attraverso l'uso di materiali e beni riciclati;

    i mutamenti climatici sono infatti collegati anche all'utilizzo di materie prime. Il 62 per cento delle emissioni di gas a effetto serra avviene durante il processo di estrazione e lavorazione delle materie prime. Ogni anno l'economia mondiale consuma quasi 93 miliardi di tonnellate di materie prime, ma solamente il 9 per cento di queste vengono riutilizzate;

    favorire il trattamento dei rifiuti ai fini del loro recupero e riutilizzo nel sistema produttivo non solo fa bene all'ambiente, ma permette a moltissime aziende della filiera che investono nel nostro Paese di essere competitive anche rispetto alla concorrenza estera;

    come ha recentemente ricordato il presidente di Assolombarda all'assemblea generale dell'associazione, «il problema numero uno nell'ambito non energetico è chiudere integralmente il ciclo del trattamento dei rifiuti, industriali e urbani. Rifiuti che continuiamo a esportare nel mondo pagando miliardi, quando non sono poi gestiti dalle ecomafie»;

    gran parte del nostro Paese fatica enormemente a gestire efficacemente la gestione dei rifiuti, con la conseguenza di convivere con una grave e perdurante emergenza. Uno dei problemi principali, se non il principale, è infatti l'estrema carenza degli impianti necessari per trattare in sicurezza i rifiuti e chiudere integralmente il ciclo del loro trattamento. Si tratta di impianti indispensabili per poter rispettare gli obiettivi europei di riciclo. Senza questi impianti i costi crescono, le aziende dell'ambiente si fermano e si impedisce di fatto anche lo sviluppo dell'economia circolare. Laddove esiste un ciclo integrato dei rifiuti grazie ad un parco impiantistico sviluppato, viene ridotto significativamente l'utilizzo della discarica;

    una cattiva gestione del ciclo dei rifiuti si ripercuote inevitabilmente su un'altra emergenza collegata: ossia la presenza ingente di rifiuti plastici nell'ambiente e in particolare in quello marino, dove ha ormai assunto le dimensioni di una sfida complessa e globale. Su 150 tartarughe morte spiaggiate, i ricercatori dicono che i tre quarti hanno plastica nel corpo. Recentemente è stato reso pubblico il rapporto Ispra, che ricorda come complessivamente ogni anno circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare, di cui il 7 per cento nel Mediterraneo;

    nonostante i buoni proclami di questo come degli ultimi passati Governi, il nostro Paese risulta essere ancora carente sul fronte delle misure per la lotta allo smog;

    i preoccupanti recenti dati pubblicati dall'Agenzia europea per l'ambiente (Aea), nel rapporto annuale sulla qualità dell'aria, indicano l'Italia come primo Paese dell'Unione europea per morti premature da biossido di azoto e nel gruppo di quelli che sforano sistematicamente i limiti di legge per i principali inquinanti atmosferici. Come riportato nei report dell'Agenzia europea per l'ambiente, nel nostro Paese le morti premature attribuibili all'inquinamento atmosferico sono oltre 60 mila l'anno, senza contare i costi collegati alla salute derivanti dall'inquinamento. I troppi superamenti dei limiti previsti di biossido di azoto riguardano molte delle città italiane;

    il fatto è che, al di là dell'impegno dei singoli sindaci e amministratori locali, il Governo centrale deve dare il suo contributo anche in termini di risorse finanziarie;

    devono essere messe in campo ben altre cifre per favorire e investire sulla mobilità pubblica nelle aree urbane, con particolare riguardo a quella elettrica e su rotaia e sul trasporto pubblico regionale, fino ad arrivare alla necessaria riqualificazione degli edifici pubblici per quanto riguarda l'efficientamento energetico;

    il nostro Paese continua a non avere un efficace programma di contrasto all'inquinamento atmosferico e un'integrata strategia antismog;

    a ciò si aggiunga che il 10 per cento dei cittadini è a rischio sanitario, perché vive in aree contaminate che avrebbero urgente bisogno di bonifiche ambientali;

    a fronte di tante criticità, il nostro Paese, per ora, propone timide iniziative e scarsissime risorse dedicate. Il Governo si presenta con misure e interventi assolutamente non all'altezza della situazione: nel disegno di legge di bilancio per il 2020, così come nel «decreto clima», entrambi all'esame del Parlamento, ci sono alcune misure, ma del tutto insufficienti e inadeguate, così come si vede poco in termini di risorse finanziarie stanziate. E la stessa sottovalutazione delle forti criticità ambientali è riscontrabile nelle misure del Governo previste nel disegno di legge «Salvamare», volte a contrastare la presenza di rifiuti nelle acque marine e interne,

impegna il Governo:

1) ad accelerare l'attuazione delle misure di contrasto ai cambiamenti climatici e a implementare tutte le iniziative necessarie a consentire il raggiungimento, nei tempi previsti, degli ambiziosi obiettivi ambientali e di sostenibilità previsti dagli accordi internazionali e firmati dal nostro Paese;

2) a mettere in atto tutte quelle iniziative volte a sostenere, nel rapido processo di adattamento produttivo legato alla transizione ecologica in atto, quella parte importante delle attività produttive, del mondo industriale e dei lavoratori maggiormente coinvolti e che hanno maggiori difficoltà ad adeguarsi al cambio di paradigma, in quanto operanti in settori dove è più difficile riconvertirsi se non a costi molto elevati e con conseguenze negative anche per la tenuta occupazionale;

3) ad avviare un tavolo permanente di confronto con i suddetti soggetti coinvolti, al fine di individuare le iniziative e gli strumenti più adeguati a sostenerli per adattarsi al meglio alle nuove sfide;

4) a favorire maggiormente le startup e le aziende che innovano sui prodotti esistenti e sulla loro modalità di produzione e a incrementare iniziative e risorse a favore dell'efficienza energetica dell'edilizia, dell'industria e dei trasporti e dello sviluppo di tecnologie elettro-efficienti in ambito residenziale;

5) ad adottare iniziative per prevedere, d'intesa con regioni ed enti locali, le necessarie risorse volte a finanziare credibili ed efficaci misure di contrasto all'inquinamento atmosferico, che, secondo i report dell'Agenzia ambientale europea (Eea), provoca nel nostro Paese 60 mila morti premature l'anno e vede l'Italia come primo Paese dell'Unione europea per morti premature da biossido di azoto;

6) ad adottare iniziative per varare un reale ed efficace piano per la mobilità urbana ecosostenibile, attraverso l'introduzione di incentivi fiscali per cittadini e imprese, misure di semplificazione, nonché una capillare diffusione delle infrastrutture necessarie per la mobilità elettrica;

7) a implementare tutte le iniziative volte a incentivare l'economia circolare e a favorire lo sviluppo delle filiere legate al recupero e all'uso dei materiali e dei beni riciclati;

8) ad adottare le necessarie iniziative improcrastinabili, volte a favorire la chiusura integrale del ciclo del trattamento dei rifiuti, anche attraverso la realizzazione degli impianti indispensabili per rispettare gli obiettivi europei di riciclo e necessari per recuperare e trattare in sicurezza i rifiuti e chiudere il ciclo del loro trattamento;

9) ad adottare le iniziative di competenza per garantire un'autonomia finanziaria degli enti locali che impegnano le risorse derivanti dalla tassazione alle imprese in investimenti nel settore energetico-ambientale per la riduzione delle emissioni di gas serra e per il miglioramento della gestione del ciclo dei rifiuti.
(1-00300) «Labriola, Prestigiacomo, Gelmini, Cortelazzo, Casino, Giacometto, Mazzetti, Ruffino».