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Atto a cui si riferisce:
S.1/00178 premesso che: la crisi siriana è iniziata nel marzo del 2011, all'interno del contesto delle cosiddette "primavere arabe", una serie di proteste ed agitazioni occorse a cavallo tra il...



Atto Senato

Mozione 1-00178 presentata da EMMA BONINO
mercoledì 16 ottobre 2019, seduta n.156

BONINO, ALFIERI, FEDELI, RAMPI, D'ALFONSO, FERRAZZI, D'ARIENZO, BITI, ZANDA, MESSINA Assuntela, PITTELLA - Il Senato,

premesso che:

la crisi siriana è iniziata nel marzo del 2011, all'interno del contesto delle cosiddette "primavere arabe", una serie di proteste ed agitazioni occorse a cavallo tra il 2010 e il 2011 in molti Stati del Vicino oriente e del Nord Africa. A partire dal 2012 la crisi siriana è degenerata in vero e proprio conflitto armato tra l'esercito regolare siriano e una varietà di sigle, autonome o etero-dirette da Paesi terzi della regione. Sin da subito, sono risultate coinvolte migliaia di combattenti stranieri (foreign fighter) provenienti da decine di altri Paesi;

tale componente di foreign fighter è riconducibile a istanze del cosiddetto jihadismo islamista, dal cui ambiente sono emerse una varietà di raggruppamenti che hanno contribuito in maniera significativa alla nascita del sedicente "Stato Islamico" (Da'ish o Daesh, o ISIS), sorto al confine tra Siria ed Iraq e proclamato nel luglio 2014 da Abu Bakr al-Baghdadi;

nella variegata cornice delle forze che hanno combattuto contro Daesh il contributo delle formazioni politico-militari di estrazione curda è stato decisivo, dapprima per contenere l'espansione di Daesh e poi per sconfiggerlo nel quadrante ad esse delegato dalla coalizione internazionale anti-Daesh e dagli Stati Uniti. Nello specifico, il contributo delle componenti curde è stato determinante nell'azione sul campo a difesa di Kobane e nella riconquista di Raqqa, divenuta la capitale siriana di Daesh. Tali obiettivi sono stati conseguiti dopo strenui combattimenti nelle città e nei villaggi e con enorme sacrificio in termini di vite umane e di sofferenze e violenze subite dalla popolazione civile curdo-siriana;

il confronto con gli islamisti di Daesh ha acquisito profondo valore simbolico anche alla luce del particolare modello di governo locale di ispirazione democratica, partecipativa e pluralista instaurato nell'area. Particolare rilievo hanno avuto le donne curde impegnate nelle formazioni armate del Kurdistan siriano, offrendo al mondo un esempio di straordinario coraggio e valore nella difesa del proprio popolo, del territorio e della propria dignità;

il 7 ottobre 2109 il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha inaspettatamente annunciato l'immediato ritiro delle truppe statunitensi dal nord-est della Siria, dando il via libera all'offensiva turca, motivata da Ankara con la necessità di instaurare una fascia di sicurezza in territorio siriano, a ridosso del confine tra Siria e Turchia, in cui reinsediare circa due milioni di profughi siriani, con pesanti ripercussioni sugli equilibri etnici nella regione del Rojava;

le modalità del ritiro statunitense, improvviso e non concordato con i principali attori internazionali, hanno esposto l'intera area del nord-est siriano a pericolosi scenari di instabilità, tra cui la rivivificazione dello Stato islamico, sconfitto, ma tuttora in attività, nonché all'apparente sottovalutazione degli interessi di tutti gli attori internazionali che hanno una forte proiezione nella regione. Un'ulteriore preoccupazione investe il piano della sicurezza nei Paesi confinanti e in Europa, a causa dell'incertezza nella gestione di migliaia di prigionieri appartenenti a Daesh e dei loro familiari (di cui svariate migliaia provengono dall'Europa) detenuti anche nelle carceri curde, con evidenti e inimmaginabili ripercussioni sul piano della sicurezza collettiva;

la decisione di Trump è stata fortemente contestata negli Stati Uniti, tanto nel campo democratico, quanto in quello repubblicano, al punto da indurre il Presidente statunitense ad attenuare la linea sul piano del ritiro militare e a proporsi come mediatore tra curdi e Turchia;

il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è purtroppo ancora riuscito a produrre una dichiarazione comune sull'offensiva della Turchia in Siria, a causa del dissenso da parte di Russia e Stati Uniti;

l'Unione europea ha dal canto suo richiamato la Turchia alle sue responsabilità come Paese membro della coalizione internazionale anti-Daesh, chiedendo il rispetto della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU 2254 e del comunicato di Ginevra del 2012, negoziato dalla Siria nel processo di Ginevra a guida ONU;

quanto alla NATO, l'Italia, con Germania, Spagna, Olanda e Stati Uniti, partecipa alla missione "Active Fence", istituita su richiesta della Turchia di incrementare il dispositivo di difesa area integrato per difendere la popolazione dalla minaccia di eventuali lanci di missili dalla Siria;

la Turchia ricopre un ruolo cruciale in ambito NATO, un'alleanza militare difensiva il cui statuto tuttavia prevede, all'articolo 1, l'impegno delle Parti alla composizione pacifica di qualsiasi controversia internazionale, in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all'uso della forza assolutamente incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite;

le dichiarazioni del segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, richiederebbero un chiarimento quanto al rispetto da parte della Turchia dei principi fondanti dell'alleanza, alla luce delle notizie su bombardamenti di centri abitati, di autoambulanze della Mezza Luna Rossa e delle numerose vittime civili già registrate, oltre alle decine di migliaia di persone già in fuga dalle città e dai villaggi;

la dinamica ondivaga delle diplomazie occidentali, nel corso degli eventi bellici occorsi in Siria a partire dal 2011, ha indotto alla fine i curdi siriani a riconsiderare a loro volta l'asse delle proprie alleanze interne ed esterne al Paese, ricercando e trovando proprio presso Damasco protezione e salvezza dalla furia delle incursioni turche, da ultimo con l'accordo sottoscritto con il Governo nella base aeronautica russa in Siria di Hmeimim in data 13 ottobre 2019, con il quale le Forze democratiche siriane (FDS) e l'Unità di protezione popolare (YPG), assi portanti dell'autonomia curda in Siria, convengono sullo spiegamento delle forze armate siriane lungo l'intero confine con la Turchia, a partire dalle roccaforti curde di Kobane e Manbij;

nel nostro ordinamento l'articolo 1 della legge 9 luglio 1990, n. 185, impone che la conformità di ogni esportazione, importazione e transito di materiale di armamento alla politica estera e di difesa dell'Italia, ai principi della Costituzione repubblicana, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e li vieta espressamente quando siano in contrasto, tra l'altro, con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato e della lotta contro il terrorismo o quando riguardino Paesi, in stato di conflitto armato e verso i Paesi i cui governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo;

importanti Paesi europei, Germania, Francia ma anche Olanda, Norvegia e Finlandia, hanno già disposto la sospensione della forniture di armamenti ad Ankara e lo stesso presidente Conte, che ha fin da subito manifestato profonda preoccupazione per l'iniziativa unilaterale della Turchia, con una nota ha preannunciato che il Governo italiano è impegnato nell'Ue per arrivare a "una moratoria nella vendita di armi alla Turchia" e "si adopererà per contrastare l'azione militare turca nel Nord-Est della Siria con ogni strumento consentito dal diritto internazionale";

il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, già in conclusione del Consiglio affari esteri, tenutosi a Lussemburgo il 14 ottobre 2019, ha preannunciato il successivo decreto ministeriale con cui bloccare l'export di armamenti verso la Turchia;

giungono attendibili segnalazioni sul rapido incremento del numero degli sfollati, tra cui migliaia di civili fuggiti dal campo profughi di Ayn Issa, a nord di Raqqa, ormai privo di vigilanza. Tra le 10.000 persone in fuga, sarebbero oltre 800 familiari di membri dell'ISIS, per lo più donne e bambini;

Recep Tayyip Erdoðan, capo di Stato di un Paese formalmente candidato all'ingresso nell'Unione europea e firmatario nel 2016 di un accordo con Bruxelles per la gestione dei migranti siriani, a fronte di un contributo di 3 miliardi di euro in parte già versati, non ha esitato a ricattare l'Europa, minacciando di innescare un flusso assai rilevante di profughi, se le cancellerie europee non dovessero riconoscere la legittimità della sua iniziativa militare contro la Siria e i curdi del Rojava;

il Consiglio europeo del 17-18 ottobre 2019, chiamato ad affrontare la crisi con la Turchia, non potrà fare a meno di valutare misure da adottare nei confronti di Ankara sul piano militare, ma anche economico, con inevitabili ripercussioni sull'andamento negoziato di adesione, già gravemente compromesso dai recenti accadimenti,

impegna il Governo:

1) a chiedere con forza alle Autorità turche un'immediata cessazione delle ostilità nel nord della Siria, unitamente al monito affinché non siano perpetrati crimini di pulizia etnica, né siano realizzate deportazioni di massa o commesse violazioni dei diritti umani e affinché sia preservata l'incolumità della popolazione civile dell'area e, in particolare, la sicurezza delle strutture sanitarie preposte al soccorso e cura dei feriti, nonché quella degli operatori umanitari, dei giornalisti e degli operatori dell'informazione presenti sul campo;

2) a condannare fermamente in sede internazionale l'azione militare della Turchia, collaborando attivamente in seno a tali organizzazioni internazionali per ottenere l'immediato cessate il fuoco e il ripristino di condizioni di sicurezza anche nell'interesse del contrasto a Daesh;

3) a chiedere in sede ONU e continuare a chiedere in sede UE l'obiettivo di un embargo sulla fornitura di armamenti ad Ankara, procedendo contestualmente, sulla base delle disposizioni della legge n. 185 del 1990, alla sospensione delle esportazioni dall'Italia verso la Turchia;

4) a proporre in sede ONU e UE l'istituzione di un gruppo di contatto per arrivare a un cessate il fuoco immediato;

5) a promuovere in sede NATO l'immediato avvio di una riflessione complessiva su una sospensione dell'operazione "Active Fence", valutando la possibilità di anticipare le procedure di dismissione operativa della batteria italiana, già previsto per dicembre;

6) a promuovere una sospensione dei negoziati sul rinnovo della Facility/FRIT e una urgente riflessione a livello europeo sull'insieme dei trasferimenti alla Turchia e a prevedere, in base all'evolversi delle risposte degli interlocutori, l'attivazione di procedure in ambito euro-unitario che includa la possibilità di attivare meccanismi sanzionatori

7) a prevedere l'immediata messa in campo di strumenti di aiuto umanitario e di supporto alla popolazione civile, in sinergia con le Nazioni Unite e gli operatori umanitari presenti sul terreno.

(1-00178)