Testo RISOLUZIONE IN COMMISSIONE
Atto a cui si riferisce:
C.7/00338 (7-00338) «Quartapelle Procopio, Fassino, Andrea Romano, Schirò, La Marca, Boldrini».
Atto Camera
Risoluzione in commissione 7-00338presentato daQUARTAPELLE PROCOPIO Liatesto diVenerdì 11 ottobre 2019, seduta n. 237
La III Commissione,
premesso che:
nel luglio 2014 Abu Bakr al-Baghdadi ha proclamato la nascita dello Stato Islamico e chiesto di intensificare la lotta per la costituzione di un grande califfato in Medio Oriente. Da subito i Curdi nel nord della Siria hanno contrastato le avanzate dell'Isis, fornendo un contributo determinante nella guerra che si è combattuta nel territorio siriano. Infatti, le milizie curde Ypg sono state tra i principali attori protagonisti della lotta contro lo Stato islamico. Nel settembre del 2014, gli Usa formarono una coalizione internazionale (solo con raid aerei) contro l'Isis. Le Ypg ricevevano il supporto aereo, della coalizione ed erano le uniche forze sul terreno, incaricate di conquistare le città sotto il controllo dell'Isis, diventando partner americano nella lotta contro il gruppo dello Stato Islamico per quasi quattro anni. Sono state loro a conquistare Raqqa – la capitale di Isis in Siria e a difendere la città di Kobane dall'assedio intrapreso dall'Isis nel luglio 2014 e respinto nell'aprile 2015 dopo combattimenti continui nella città e nei villaggi limitrofi;
i curdi sono un gruppo etnico che conta circa 20 milioni di persone sparse in quattro nazioni: 10 milioni in Turchia, 6 milioni in Iran, 3,5 milioni in Iraq e poco più di 2 milioni in Siria e sono prevalentemente musulmani sunniti. Il popolo curdo è forse il più grande gruppo etnico senza uno Stato. Dalla scoppio della rivolta contro il regime siriano, nel marzo 2011, il Rojava, così come i curdi siriani chiamano la zona dove abitano nel nord est della Siria, è divenuto di fatto autonomo, ed è retto da un sistema democratico parlamentare, fondato sul pluralismo politico e sul decentramento amministrativo che garantisce pari diritti alle diverse etnie presenti (curdi, arabi, assiri e turkmeni), alle minoranze religiose (cristiani, yazidi, alevi) e favorisce la partecipazione delle donne a tutti gli ambiti della vita pubblica, ponendosi come l'unica alternativa democratica in Siria tra il regime di Assad e le forze di ispirazione integralista islamica; la presenza delle forze militari degli Stati Uniti d'America ha garantito protezione ai curdi siriani;
proprio questa è l'area in cui è scattata la campagna turca volta a creare una fascia di sicurezza a ridosso del confine;
il 18 dicembre 2018 il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria. A seguito del predetto annuncio, il segretario della difesa degli Stati Uniti, Jim Mattis, – generale dei marine di grandissima esperienza, molto rispettato sia dai Repubblicani che dai Democratici – ha dato le sue dimissioni, spiegando di non essere d'accordo con le scelte del presidente Trump nella gestione delle alleanze internazionali;
il 7 ottobre 2019, il presidente Trump ha scritto su un social network: «È il momento per noi di sfilarci da ridicole guerre senza fine, molte delle quali tribali. È il momento di riportare i nostri soldati a casa. Combatteremo solo dove avremo benefici e combatteremo solo per vincere. Turchia, Europa, Siria, Iran, Iraq, Russia e i curdi dovranno risolvere la situazione e capire cosa vogliono fare con i soldati dell'Isis catturati». In un altro tweet, il presidente Usa ha aggiunto: «Gli Stati Uniti dovevano stare in Siria per 30 giorni, ma questo era anni fa. Siamo rimasti e siamo rimasti coinvolti in una profonda battaglia senza obiettivo in vista. Quando sono arrivato a Washington l'Isis dilagava nell'area. Abbiamo rapidamente sconfitto il 100 per cento del califfato dell'Isis»;
nonostante il presidente Trump sostenga che lo Stato Islamico sia stato sconfitto, la maggior parte degli analisti internazionali e degli alleati degli Stati Uniti non concorda con questa tesi;
l'avvio del ritiro americano dalle postazioni strategiche di Ras al-Ayn e Tal Abyad è stato confermato dall'Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus). Nella dichiarazione della Casa Bianca non si faceva menzione della questione curda, ma si precisava che le truppe statunitensi «non sosterranno né saranno coinvolte nell'operazione» e «non saranno più nelle immediate vicinanze», cioè nel nord della Siria;
gli Stati Uniti hanno annunciato che la Turchia prenderà in custodia i foreign fighters che hanno catturato e che sono trattenuti dalle forze curde. L'ambasciatore americano James Jeffrey, inviato del Dipartimento di Stato nella coalizione internazionale anti-Isis, e lo stesso Trump, hanno affermato che ci sono circa 2.500 foreign fighters prigionieri, che gli Usa vorrebbero consegnare a Paesi europei, in particolare Francia e Germania. Anche il presidente turco Erdogan ha detto che la Turchia sta lavorando a una soluzione per estradare «nei Paesi d'origine» i miliziani dell'Isis attualmente detenuti nelle carceri del nord-est della Siria, non appena avrà preso il controllo dell'area dai curdi;
dopo le dichiarazioni di Trump, il presidente della Turchia Erdogan ha annunciato l'avvio delle operazioni militari delle truppe turche e dei ribelli siriani alleati nel Nord della Siria. «Le Forze Armate turche, insieme all'Esercito nazionale siriano, hanno appena lanciato “un'operazione” contro il Pkk, le Ypg e i terroristi di Daesh (Isis) nel nord della Siria»;
la Turchia sostiene che l'operazione ha come obiettivo la «sicurezza dei confini» e il «ritorno dei profughi». Essa vorrebbe creare una sorta di «cuscinetto» per evitare di trovarsi le Ypg al di là del confine. Un «cuscinetto» profondo oltre 30 chilometri, al cui interno costruire 140 villaggi in cui ricollocare almeno due milioni di rifugiati siriani che attualmente vivono in Turchia;
la Turchia, considera le Unità di protezione del popolo (Ypg) il braccio siriano del partito dei lavoratori curdi Pkk e quindi un'organizzazione terroristica;
una ripresa delle ostilità nell'area metterebbe a dura prova le forze curde, che potrebbero trovarsi costrette, in assenza di mezzi adeguati, a lasciare il controllo delle prigioni, nelle quali sono detenuti centinaia di islamisti radicalizzati provenienti da vari Paesi europei e che, pertanto, potrebbero tornare in Europa, creando ulteriori elementi di allarme terroristico nel nostro continente;
la decisione di Trump di ritirare le truppe ha creato sconcerto anche nella stessa amministrazione statunitense. Il senatore Lindsay Graham, presidente della commissione giustizia del Senato, ha chiesto esplicitamente al presidente americano di tornare indietro sulla sua decisione definendola un «disastro annunciato», e un nutrito schieramento bi-partisan si sta componendo al Congresso, contro tale decisione. Difatti, anche all'interno dello stesso partito repubblicano oltre 20 parlamentari hanno sostenuto la proposta della deputata Liz Cheney, di presentare nei prossimi giorni una legge per imporre sanzioni alla Turchia per punirla riguardo l'offensiva alle milizie curde;
il presidente Usa ha reagito con una proposta di mediazione. «Abbiamo tre scelte davanti – ha spiegato –. Inviare migliaia di soldati e vincere militarmente, colpire la Turchia molto duramente a livello finanziario e con sanzioni, oppure mediare fra curdi e Turchia. Io spero che si arriverà alla terza soluzione»;
l'Unione europea ha ricordato che «ogni soluzione a questo conflitto non può essere militare bensì deve passare attraverso una transizione politica, in conformità alla risoluzione Onu ed il comunicato di Ginevra nel 2014», ed ha esortato i Garanti di Astana a cessare le ostilità;
il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha affermato che la Turchia ha «assunto un'iniziativa unilaterale sulla quale non posso che esprimere preoccupazione. La preoccupazione è che siano assunte iniziative che possano portare a un'ulteriore destabilizzazione della Regione, iniziative che possano finire per portare ulteriori sofferenze alla comunità locale»;
il presidente Trump si è limitato a commentare l'attacco turco come «una cattiva idea»;
il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, ha affermato che «Ogni operazione militare deve rispettare pienamente la Carta delle Nazioni Unite e le leggi umanitarie internazionali. I civili e le infrastrutture civili devono essere protette»;
nella prima riunione del Consiglio di sicurezza Onu sulla questione, il consiglio non è riuscito a trovare un'intesa per una dichiarazione comune sull'offensiva della Turchia in Siria. Da una parte sei Paesi europei – Germania, Belgio, Francia, Polonia, Gran Bretagna ed Estonia – che hanno proposto appunto una dichiarazione congiunta in cui chiedere l'immediata cessazione delle attività militari di Ankara, avviate unilateralmente. Dall'altra, la Russia e gli Stati Uniti, che hanno mostrato dissenso alla posizione europea;
inoltre, nell'ambito Nato, la Turchia ospita annualmente sulla base di Konya, in Anatolia, le esercitazioni più sofisticate sull'impiego delle forze aeree e sulle più aggiornate tecniche di sfruttamento dei sistemi d'arma, esercitazioni di alto livello e sofisticazione cui altre aeronautiche progredite, tra cui la nostra, partecipano con regolarità;
l'Italia partecipa alla missione Nato Operazione «Active Fence», nata, dopo il peggioramento delle condizioni di sicurezza dell'area a ridosso del confine turco con la Siria, da una richiesta della Turchia di incrementare il dispositivo di difesa area integrato per difendere la popolazione dalla minaccia di eventuali lanci di missili dalla Siria. Sino dal 2013 5 Paesi dell'Alleanza hanno contribuito all'operazione schierando le loro batterie missilistiche: Germania, Italia, Spagna, Olanda e Stati Uniti d'America. Attualmente sono presenti una batteria Patriot spagnola e una batteria ASTER SAMP/T italiana;
il segretario generale dell'alleanza atlantica, Jens Stoltenberg ha dichiarato: «Spero che l'azione della Turchia sia proporzionata e misurata per non indebolire la lotta comune all'Isis. La Turchia – aggiunge Stoltenberg – ha chiaramente delle preoccupazioni per la propria sicurezza, ha subito degli attacchi terroristici e ospita milioni di rifugiati siriani»;
tale posizione appare debole e troppo cauta di fronte al comportamento di un Paese membro che sta agendo anche contrariamente ai principi fondanti dell'Alleanza;
l'Unione europea ha siglato nel 2016 un accordo con la Turchia per la gestione dei migranti. Parrebbe che il presidente Erdogan attenda il finanziamento di una terza rata della cosiddetta «Facility/FRIT», lo strumento un funzionamento europeo istituito con la dichiarazione del 18 marzo 2016 tra l'Unione europea e la Turchia per fermare i flussi migratori dai Balcani. Le prime due trance sono già state erogate. La prima tranche dei finanziamenti europei per Ankara, tre miliardi di euro, valida per il periodo 2016-2018, è stata completamente impegnata entro dicembre 2018. Il Consiglio europeo del giugno 2018 ha fornito il via libera al finanziamento della seconda rata della «Facility/FRIT», per due terzi (2 miliardi di euro) attraverso il bilancio dell'Unione europea e un terzo (1 miliardo) attraverso contributi degli Stati membri;
nel prossimo Consiglio europeo, previsto per il 17-18 ottobre 2019, si affronterà la questione turca e il Segretario di Stato francese agli affari europei, Amelie de Montchalin ha dichiarato che sarà sul tavolo anche la possibilità di sanzioni europee contro la Turchia;
in Turchia continuano ad essere ospitati circa 3,6 milioni di rifugiati siriani, sugli oltre 4 milioni di rifugiati totali, e la Turchia non sta esitando a trattarli come merce di ricatto per l'Unione europea,
impegna il Governo:
a manifestare la protesta del Governo italiano direttamente alle autorità turche sull'offensiva anti-curda nel nord della Siria decisa dal presidente Erdogan ed esprimere la propria contrarietà alla minaccia turca di inviare in Europa 3,6 milioni di profughi siriani;
a condannare fermamente in sede Onu, di Unione europea e Nato l'azione militare della Turchia e collaborare attivamente in seno a tali organismi per ottenere l'immediato cessate il fuoco ed evitare un nuovo massacro della popolazione curda e il rischio di compromettere la lotta al terrorismo;
a chiedere la convocazione immediata del Consiglio Nato e valutare, con gli alleati, di sospendere immediatamente, prima della scadenza naturale prevista a novembre, la partecipazione italiana alla missione «Active Fence»;
a sostenere in sede europea la possibilità di prevedere sanzioni contro la Turchia per l'attacco contro il popolo curdo;
a valutare la possibilità di assumere iniziative per riaccogliere in patria i prigionieri di Daesh di nazionalità italiana;
a promuovere, in tutte le sedi opportune, la necessità di riprendere per la Siria nuovi colloqui di pace e dare finalmente forma alla Commissione che dovrà redigere la futura Costituzione del Paese, assicurandosi che sia garantita la rappresentanza del popolo curdo in tutti i processi.
(7-00338) «Quartapelle Procopio, Fassino, Andrea Romano, Schirò, La Marca, Boldrini».