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Atto a cui si riferisce:
C.4/00476 (4-00476)



Atto Camera

Risposta scritta pubblicata Giovedì 1 agosto 2019
nell'allegato B della seduta n. 220
4-00476
presentata da
FERRO Wanda

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Le problematiche connesse all'aumento di alcune specie faunistiche che arrecano danni, in particolare alle produzioni agricole, in ambiti protetti così come nei territori liberi alla caccia, sono ben note al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che da diversi anni intraprende, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo di concerto con le regioni e con il supporto tecnico di ISPRA, azioni normative e di indirizzo per rendere più efficace la gestione del cinghiale su tutto il territorio nazionale.
  Il cinghiale rappresenta il principale fattore di conflitto tra specie animali e attività dell'uomo in molti contesti nazionali. La rilevanza della tematica è anche legata all'incremento numerico dei cinghiali, passati da 300-500.000 capi nel 2000, a oltre 600.000 nel 2005, fino a superare i 900.000 nel 2010 e, verosimilmente, attestatisi oltre il milione di capi negli ultimi anni. Il prelievo venatorio è cresciuto contestualmente da 93.000 capi nel 2000, a 115.000 nel 2005, a oltre 153.000 nel 2010 (fonte: banca dati ungulati ISPRA). In alcuni contesti del paese la situazione è diventata particolarmente grave, tale da richiedere interventi urgenti per mitigare in modo efficace gli impatti causati dal cinghiale.
  Gli strumenti previsti dalla normativa e attuabili sono diversi e riguardano:

   l'esercizio dell'attività venatoria, ai sensi degli articoli 13 e 18 (modificato, per ciò che concerne gli ungulati, dall'art. 11-quaterdecies, comma 5, della legge n. 248 del 2005) della legge 11 febbraio 1992, n. 157, che individuano, rispettivamente, i mezzi per l'esercizio dell'attività venatoria e le specie cacciabili e i periodi di esercizio di tale attività;

   il controllo numerico, ai sensi dell'articolo 19, commi 2 e 3, della sopra richiamata Legge.

  Se correttamente applicati, seguendo la normativa nazionale e le rispettive normative regionali di recepimento, questi strumenti consentono di contemperare i generali obiettivi di tutela delle specie selvatiche con l'attivazione di efficaci misure di mitigazione degli impatti e di limitazione della specie sul territorio ove ritenuto opportuno.
  Infatti, oltre alla disciplina dei prelievi venatori, il sopra richiamato articolo 19 della legge n. 157 del 1992 prevede la possibilità per le regioni di provvedere al controllo delle specie di fauna selvatica, anche nelle zone vietate alla caccia, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche. Lo stesso articolo, al comma 2, impone alle amministrazioni competenti di esercitare selettivamente tale controllo, di norma, mediante l'utilizzo di metodi ecologici su specifico parere tecnico dell'ISPRA. Qualora l'ISPRA verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento, condotti con qualsiasi mezzo, purché lo stesso risulti selettivo (cioè tale da intervenire unicamente su individui appartenenti alla specie bersaglio, limitando o evitando gli effetti negativi sulle altre componenti delle comunità biotiche).
  Per quel che attiene il controllo numerico di fauna selvatica nelle aree protette, la legge n. 394 del 1991 al comma 4, dell'articolo 11, prevede che il regolamento del parco stabilisce altresì le eventuali deroghe ai divieti di cui al comma 3, prevedendo eventuali prelievi faunistici ed eventuali abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall'ente parco. Prelievi e abbattimenti dovranno avvenire per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell'ente parco ed essere attuati dal personale dell'ente o da persone all'uopo espressamente autorizzate dal parco stesso. Il Ministero sta indirizzando i parchi nazionali alla prevenzione attraverso la cattura come strumento prioritario di contenimento del fenomeno in questione, sentiti gli indirizzi tecnici di ISPRA.
  La legge n. 221 del 2015 ha, infine, introdotto il divieto di immissione di cinghiali in natura, di foraggiamento artificiale per contrastare l'ulteriore proliferazione di questi animali e disincentivare fenomeni di bracconaggio, nonché il divieto di allevamento in alcuni ambiti contigui a quelli protetti, con un regime sanzionatorio di natura penale per i trasgressori.
  A quanto fin qui esposto si aggiungono diverse linee guida promosse dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il supporto tecnico di ISPRA, fra cui «Linee guida per la gestione del cinghiale nelle aree protette seconda edizione».
  Quanto sopra nella consapevolezza che la gestione del cinghiale non rappresenta un fatto emergenziale ma una realtà da gestire in forma continuativa. Si tratta, infatti, di gestire in forma sostenibile la presenza di una specie diffusa naturalmente sul territorio, che per la grande capacità di incremento annuo deve necessariamente essere soggetta a gestione costante.
  Occorre, inoltre, ricordare che il mutato regime europeo sugli aiuti di stato ha vietato di indennizzare i danni da cinghiale al di fuori delle aree protette. Questa diversa situazione rende necessaria una più efficace prevenzione dei danni provocati dai cinghiali, sia attraverso l'abbassamento della densità di cinghiali, sia con opportuni strumenti di prevenzione, finanziabili anche attraverso i PSR.
  Con specifico riferimento al prelievo di cinghiali attuato nella regione Calabria, sulla base degli elementi acquisiti, pare emergere un limitato uso degli strumenti disponibili da parte dell'Amministrazione regionale. In particolare, risulta una situazione in cui l'attività venatoria si svolge quasi esclusivamente attraverso la caccia collettiva, attuabile ai sensi della normativa vigente per tre mesi l'anno. La caccia di selezione, che può essere realizzata anche per periodi temporali estesi, poiché rappresenta una tecnica a basso impatto ambientale, risulta viceversa attivata in Calabria solo dal 2017.
  Il Ministero, infine, ha attivato nei mesi scorsi, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e con ISPRA, un tavolo tecnico dove si sta affrontando il tema dei danni causati dalla fauna selvatica, in particolare degli ungulati, al fine di armonizzare e proporre misure di mitigazione del fenomeno, sperimentando nuove proposte di gestione tecnico-scientifiche, tenendo conto dell'equilibrio della biodiversità e di strumenti di prevenzione aggiornati.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.