• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
C.6/00083    discussa la relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) all'assemblea sulla Deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione...



Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00083presentato daPALAZZOTTO Erasmotesto diMartedì 25 giugno 2019, seduta n. 196

   La Camera,
   discussa la relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) all'assemblea sulla Deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni internazionali per l'anno 2019, adottata il 23 aprile 2019 (Doc. XXV, n. 2), e la Relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita al periodo 1o ottobre-31 dicembre 2018, anche al fine della relativa proroga per il periodo 1o gennaio-31 dicembre 2019, deliberata il 23 aprile 2019 (Doc. XXVI, n. 2), adottate ai sensi, rispettivamente, degli articoli 2 e 3 della legge 21 luglio 2016, n. 145;
   richiamati gli approfondimenti istruttori svolti e le comunicazioni del Governo sull'andamento delle missioni internazionali autorizzate per il 2018 e sulla loro proroga per l'anno in corso, nonché sulle missioni da avviare nel 2019, svolte il 31 maggio 2019 nell'ambito dell'esame dei sopra citati provvedimenti davanti alle Commissioni riunite Affari esteri e Difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica,
   premesso che:
    in Libia dal 2011 si protrae una condizione di instabilità generata dal conflitto contro Gheddafi e dalla incapacità della comunità internazionale ed in particolare dei Paesi europei di gestire una transizione del paese verso una condizione di pace e stabilità;
    in questi anni la Libia è stata un «non Stato» caratterizzato da una forte conflittualità tra le diverse milizie che continuano ad avere ancora oggi un ruolo determinante nel contesto generale;
    attualmente la situazione è definitivamente degenerata in un vero e proprio conflitto tra diverse fazioni che rende la Libia a tutti gli effetti un Paese in guerra civile;
    le milizie rispondono più che ad un governo o ad un altro a dinamiche tribali e di gestione di potere legati al controllo di porzioni di territorio e di infrastrutture strategiche;
    i recenti scontri tra l'esercito del Presidente Fayez al-Serraj e le milizie del maresciallo Khalifa Haftar hanno peggiorato la situazione di insicurezza del Paese, politicamente frammentato e dilaniato da anni di conflitto civile azzerando ogni possibilità di considerare Libia uno Stato unitario a prescindere dal governo che la comunità internazionale decide di riconoscere;
    le milizie che si stanno affrontando, non riescono a imporsi le une sulle altre ed i combattimenti a Tripoli hanno già provocato centinaia di morti e migliaia di sfollati, tanto che analisti ed esperti parlano apertamente di «nuova guerra civile» e non sembra prospettarsi all'orizzonte una soluzione a breve termine che possa far cessare le violenze;
    secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nei primi mesi della battaglia per il controllo di Tripoli sono state uccise più di 500 persone e 75 mila sono state costrette a lasciare le proprie case. I feriti sono circa 2.500;
    negli ultimi giorni in Libia sono stati bombardati un ospedale e un aeroporto;
    oggi, in Libia, gli sfollati interni che non possono tornare alle proprie case sono circa 193.600, circa 57.600 sono i rifugiati e richiedenti asilo attualmente registrati presso l'Unhcr in Libia;
    a Tripoli sono quasi 94.000 gli sfollati a causa del conflitto in corso dallo scorso 4 aprile mentre l'Organizzazione mondiale della Sanità ha precisato che i combattimenti hanno causato finora 653 morti, tra cui 41 civili e 3.547 feriti, tra cui 126 civili. L'Unhcr stima che oltre il 48 per cento degli sfollati sia composto da bambini con meno di 18 anni;
    l'attuale condizione libica ha contribuito ad aggravare la situazione migratoria in particolare per quanto riguarda le condizioni di permanenza dei migranti e dei rifugiati nei centri di detenzione sommando alla ferocia del trattamento dei migranti ampiamente documentata i rischi oggettivi di uno stato di guerra;
    il 5 giugno 2019 Sam Turner, capo missione di MSF in Libia ha dichiarato: «A differenza della popolazione libica, che può lasciare le case circondate dai combattimenti e trasferirsi nei rifugi collettivi, i migranti rinchiusi nei centri di detenzione non hanno vie di fuga, e nel frattempo le condizioni già precarie in cui vivono peggiorano a causa del conflitto»;
    a questa situazione va ad aggiungersi un peggioramento delle condizioni di sicurezza nel Mediterraneo;
    i dati dell'UNHCR infatti mostrano una situazione attuale non molto diversa rispetto agli anni scorsi, soprattutto rispetto al 2015. Nel solo mese di ottobre di quell'anno sbarcarono sulle coste europee del Mediterraneo più di 220 mila migranti, una cifra di fatto pari agli sbarchi annuali del 2014 e superiore al dato su dodici mesi sia del 2017 sia del 2018. Ma è bene ricordare che quei 220 mila arrivarono praticamente tutti in Grecia, che contò 211 mila sbarchi, mentre in Italia ne arrivarono meno di 9 mila;
    la maggioranza dei migranti si sposta via mare, ma non mancano le persone che superano i confini dell'Europa mediterranea via terra. Anzi, negli ultimi mesi sono aumentati i passaggi dei confini terrestri di Spagna e Grecia;
    Italia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro sono i Paesi europei del Mediterraneo primariamente interessati dagli sbarchi e, nel caso di Grecia e Spagna, dai passaggi dei confini terrestri. I dati aggiornati al 29 maggio 2019 parlano di 26.537 migranti totali transitati via mare (20 mila) e via terra (6.500) nel bacino del Mediterraneo dal 1o gennaio 2019. La Grecia è il paese nel quale ne sono arrivati di più (13 mila, di cui 9.200 via mare), seguita dalla Spagna (10 mila, 8.200 via mare) e dall'Italia (1.500 circa);
    il portavoce dell'Unhcr per l'Africa e il Mediterraneo Charlie Yaxley ha però denunciato nei giorni scorsi che nel 2019, una persona ogni tre ha perso la vita nel tentativo di arrivare in Europa lungo la rotta della Libia;
    l'ultimo rapporto dell'Unhcr mostra che, mentre il numero di persone che arrivano in Europa dal Mediterraneo è diminuito, il tasso di mortalità è aumentato bruscamente, in particolare per coloro che tentano la traversata dalla Libia;
    dalle testimonianze raccolte dalle persone che sono transitate attraverso la Libia emerge un quadro drammatico delle condizioni di vita in quel Paese per i migranti e i rifugiati. In particolare destano preoccupazione le condizioni di vita nei centri di detenzione governativi e non, in cui i migranti vengono sottoposti a violenze, torture ed abusi inenarrabili. L'UNHCR ha riferito che in alcune strutture i detenuti hanno un accesso limitato al cibo, ed è stata denunciata anche un'epidemia di tubercolosi. Nel corso dell'anno si sono inoltre registrati diversi decessi nei centri di detenzione ufficiali;
    inoltre, i rifugiati e i migranti intervistati da UNHCR hanno riferito di abusi subiti dai trafficanti durante il passaggio dalla Libia, passaggio che spesso si è tramutato in detenzione a scopo di estorsione attraverso violenze, sfruttamento, torture e lavori forzati, durati anche diversi mesi. Eritrea, Sudan e Nigeria sono i paesi di provenienza più frequenti per chi passa attraverso la Libia per approdare sulle coste europee;
    nei primi mesi del 2018, le autorità libiche hanno intercettato più di 13.600 persone in mare. Anche a causa dell'aumento dell'attività della guardia costiera i centri di detenzione sono sempre più sovraffollati, con un peggioramento diretto nelle condizioni dei rifugiati e dei migranti;
    dall'inizio del 2019, secondo i dati dell'agenzia Onu per i rifugiati sarebbero 2.887 i migranti intercettati in mare e riportati in Libia mentre 2.144 sarebbero le persone arrivate in Italia da inizio anno secondo i dati del Viminale;
    secondo i dati dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati i migranti in detenzione in Libia sarebbero ben 5.500, di cui oltre 3.860 in centri situati nei pressi del conflitto in corso a Tripoli da inizio aprile;
    chi riesce a fuggire non ha altra alternativa che tentare la fuga attraverso il mare verso le coste europee affidandosi alle stesse reti di trafficanti che spesso gestiscono i centri e che li liberano in cambio del pagamento di ingenti somme di denaro;
    secondo l'ultimo rapporto «Viaggi Disperati», pubblicato oggi dall'UNHCR, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in media sei persone hanno perso la vita nel Mediterraneo ogni giorno;
    si stima che 2.275 persone sarebbero morte o disperse durante la traversata del Mediterraneo nel 2018, nonostante un calo considerevole del numero di quanti hanno raggiunto le coste europee. In totale, sono arrivati 139.300 rifugiati e migranti in Europa, il numero più basso degli ultimi cinque anni;
    in particolare lungo la rotta dalla Libia all'Europa, la più pericolosa al mondo, una persona ogni 14 arrivate in Europa ha perso la vita in mare, un'impennata vertiginosa rispetto ai livelli del 2017. Secondo l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ciò è dovuto alla «significativa riduzione della complessiva capacità di ricerca e soccorso». Altre migliaia di persone sono state ricondotte in Libia, dove hanno dovuto affrontare condizioni terribili nei centri di detenzione;
    la Libia ha dichiarato una propria zona di competenza SAR senza che sussistano i requisiti fondamentali previsti dalle convenzioni internazionali a partire dall'esistenza di un POS dove sbarcare le persone soccorse in mare;
    in seguito a questi avvenimenti i Governi europei e in particolare quello italiano hanno di fatto ritirato tutti gli assetti governativi di salvataggio in mare rifiutandosi in più occasioni di intervenire in casi di distress in contrasto con le convenzioni internazionali SOLAS e SAR;
    contestualmente è iniziata da parte dei governi europei e in particolare da parte di quello italiano una politica di cosiddetta «chiusura dei porti» volta ad impedire alle navi delle ONG, che avevano fin qui operato sotto il coordinamento e in supporto agli addetti governativi, di operare nel Mediterraneo Centrale, contribuendo in questo modo a svuotare di assetti navali un tratto di mare dove ogni anno muoiono migliaia di persone per assenza di soccorsi;
    l'Onu, la Commissione Europea, il consiglio d'Europa hanno più volte dichiarato che la Libia non può in nessun caso essere considerato un porto sicuro;
    in una delle 35 raccomandazioni che il commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Dunja Mijatovic ha fatto agli Stati membri dell'organizzazione e in particolare a quelli che sono anche membri della Unione europea affinché rispettino il giusto equilibrio tra il diritto di controllare i confini e il dovere di proteggere le vite e i diritti delle persone soccorse nel Mediterraneo, è stata quella di chiedere agli Stati membri dell'Unione europea di sospendere ogni collaborazione con la Libia finché non sarà provato che non siano violati i diritti umani delle persone sbarcate sulle sue coste;
    il 5 aprile 2019 il direttore generale dello OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), Antonio Vitorino ha dichiarato: «I migranti, compresi uomini, donne e bambini che sono detenuti in condizioni spesso subumane in un rapido deterioramento della situazione di sicurezza sono particolarmente vulnerabili», ha continuato, osservando che «la Libia non è un posto sicuro per rimpatriare i migranti che hanno tentato e fallito per raggiungere l'Europa»;
    la portavoce della Commissione Europea per la migrazione Natasha Bertaud, il 17 luglio 2018 ha affermato: «Nessuna operazione europea e nessuna nave europea effettua sbarchi in Libia, perché non lo consideriamo un Paese sicuro»;
    lo stesso Ministro degli esteri Moavero ha pubblicamente dichiarato che in senso stretto e giuridico la Libia non può essere considerata porto sicuro poiché tale nozione è legata a convenzioni internazionali, che attualmente non sono state tutte sottoscritte dalla Libia;
    pertanto qualsiasi azione volta a riportare le persone salvate in mare in Libia si configura come respingimento verso un luogo non sicuro in violazione delle convenzioni e del diritto internazionale. Va ricordato infatti che l'articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione), prevede che «Le espulsioni collettive sono vietate» e «Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti»;
    lo stesso principio di non respingimento è sancito dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, integrato dall'articolo 3 della Convenzione ONU contro la tortura, quindi richiamato dai Regolamenti europei n. 656/2014 e 1624/2016, che impedisce di respingere una persona verso uno Stato dove la sua vita sarebbe in pericolo o dove essa rischi di essere sottoposta a tortura o altro trattamento inumano o degradante. Questo divieto è stato interpretato dalla Corte europea dei diritti umani come applicabile anche ai casi di respingimento in alto mare. È quindi evidente come respingere una nave con persone soccorse verso un territorio dove queste persone potrebbero subire una violazione di diritti fondamentali costituisce un atto illecito;
    il Regolamento di Frontex n. 656/2014 definisce il place of safety come il «... luogo in cui si ritiene che le operazioni di soccorso debbano concludersi e in cui la sicurezza per la vita dei sopravvissuti non è minacciata, dove possono essere soddisfatte le necessità umane di base e possono essere definite le modalità di trasporto dei sopravvissuti verso la destinazione successiva o finale tenendo conto della protezione dei loro diritti fondamentali nel rispetto del principio di non respingimento...»;
    quando le autorità italiane sollecitano la responsabilità SAR «libica», con riferimento alle persone che, trovandosi a bordo di gommoni in acque internazionali, sono state segnalate per prima alle autorità italiane, e dunque ricadono già sotto la giurisdizione italiana, indipendentemente dallo stato di bandiera dei mezzi civili o militari che vengono soccorsi nel soccorso, realizzano tutti gli estremi di una consegna (rendition) di quelle stesse persone alle autorità di un Paese che non garantisce un luogo di sbarco sicuro, che non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, nel quale sono note le collusioni tra autorità statali e trafficanti, e che, non da ultimo si trova in una fase di conflitto armato e di gravi violazione dei diritti umani anche ai danni della popolazione libica;
    la collaborazione con il centro di coordinamento libico (JRCC) contraddice quindi le norme internazionali in materia di diritti umani e diritto dei rifugiati, innanzitutto perché i migranti corrono il pericolo di essere sottoposti a tortura e trattamenti inumani e degradanti in Libia e in secondo luogo, perché le stesse autorità libiche potrebbero respingere i migranti stessi verso i loro Stati di origine, dove potrebbero nuovamente essere sottoposti a tortura, trattamenti inumani e degradanti e persecuzioni, in violazione alle norme sulla tutela dei diritti umani e dei diritti dei rifugiati;
    ricordiamo come nel caso «Hirsi Jamaa» la Corte di Strasburgo abbia affermato che «l'Italia non può liberarsi della sua responsabilità invocando gli obblighi derivanti dagli accordi bilaterali con la Libia. Infatti, anche ammesso che tali accordi prevedessero espressamente il respingimento in Libia dei migranti intercettati in alto mare, gli Stati membri rimangono responsabili anche quando, successivamente all'entrata in vigore della Convenzione e dei suoi Protocolli nei loro confronti, essi abbiano assunto impegni derivanti da Trattati»;
    il nostro Governo, supportando e finanziando il sistema d'intercettazione e di controllo della Guardia Costiera Libica si renderebbe pertanto corresponsabile delle violenze, delle torture e delle sistematiche violazioni dei diritti che i migranti subiscono durante la loro permanenza nei centri di detenzione, in cui vengono rimandati una volta intercettati e ricondotti in Libia;
    come emerso nel rapporto del Consiglio di Sicurezza dell'ONU vi è inoltre un alto rischio di infiltrazione e di legami tra il personale della Guardia Costiera Libica e le milizie che spesso gestiscono anche il traffico di esseri umani;
    l'Italia non può quindi contribuire a contrastare la cosiddetta immigrazione illegale di migranti in transito contribuendo a respingerli verso Paesi in stato di guerra come la Libia, che non ha mai neanche ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati;
    oltre al citato rapporto delle Nazioni Unite, diversi report di organizzazioni non governative e molte inchieste giornalistiche dimostrano come siano spesso le stesse milizie ed in particolare quelle delle città costiere a gestire sia i traffici di esseri umani che le attività della Guardia Costiera;
    in una recente inchiesta giornalistica il giornale Avvenire da ultimo racconta del ruolo di Abdurahman al-Milad, detto al-Bija capo delle milizie di Zawya e allo stesso tempo della guardia Costiera della stessa città che è uno dei principali punti di partenza per le coste europee;
    in uno stralcio di uno dei documenti a disposizione della Procura presso la corte penale internazionale in Olanda riportato da Avvenire.it si legge che: «Le sue forze erano state destinatarie di una delle navi che l'Italia ha fornito alla Lybian Coast Guard», alcuni uomini della sua milizia «avrebbero beneficiato del Programma UE di addestramento»;
    pertanto la cooperazione italiana con il governo libico e in particolare attraverso la Missione di supporto alla Guardia Costiera libica per quanto riguarda l'addestramento e il coordinamento delle operazioni di salvataggio da parte di quella autorità rappresenterebbe una partecipazione diretta dell'Italia ad azioni di respingimento in violazione di tutte le convezioni internazionali a tutela dei diritti umani;
    alla luce di quanto fin qui esposto appare evidente l'urgenza di sospendere tutti gli accordi con la Libia in materia di controllo dei flussi migratori;
    il Governo ha invece nella recente deliberazione del Consiglio dei ministri deciso non solo di mantenere il proprio sostegno, ma di prorogare la Missione di supporto alla Guardia Costiera Libica incrementando il finanziamento da 1.605.544 euro a 6.923.570 euro;
    alla luce delle considerazioni che precedono, non autorizza la seguente missione:
     Missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera libica (scheda n. 23/2019).
(6-00083) «Palazzotto, Boldrini, Orfini, Magi, Benedetti, Bruno Bossio, Fratoianni, Migliore, Muroni, Pastorino, Pini, Raciti, Rizzo Nervo, Speranza».