• C. 1420 EPUB Proposta di legge presentata il 6 dicembre 2018

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Atto a cui si riferisce:
C.1420 Istituzione di una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza


FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1420

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
SCALFAROTTO, ANNIBALI, NOJA, LIBRANDI, MOR, OCCHIONERO, PEZZOPANE, SCHIRÒ, VERINI, MARCO DI MAIO, GRIBAUDO, FRAGOMELI, RIZZO NERVO, BURATTI, UNGARO, CAMPANA, DI GIORGI, DE LUCA, SERRACCHIANI, DEL BARBA, ROSATO, BOLDRINI, PICCOLI NARDELLI, MORETTO, GARIGLIO, POLLASTRINI, GIORGIS, FIANO, ENRICO BORGHI, ROTTA, MARATTIN, ORFINI, PINI, ASCANI, CECCANTI, CENNI, TOPO, PAITA, MIGLIORE, MADIA, MINNITI, ANDREA ROMANO, FREGOLENT, EMANUELA ROSSINI, SIANI, MURA, BERLINGHIERI, NARDI, MANCINI, BONOMO, PIZZETTI, GAVINO MANCA, PRESTIPINO, FERRI, ANZALDI, MICELI, PAGANI

Istituzione di una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza

Presentata il 6 dicembre 2018

  Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge riprende, nelle identiche forme, il disegno di legge atto Senato n. 362, presentato al Senato il 14 maggio 2018 dalla senatrice Liliana Segre, al fine di fornirle il nostro totale appoggio e dare ulteriore forza alla sua iniziativa legislativa nell'altro ramo del Parlamento.
  Negli ultimi anni stiamo assistendo a una crescente spirale dei fenomeni di odio, intolleranza, razzismo, antisemitismo e neofascismo che pervadono la scena pubblica accompagnandosi sia con atti e manifestazioni di esplicito odio e persecuzione contro singoli e intere comunità sia con una capillare diffusione attraverso vari mezzi di comunicazione e in particolare sul web. Parole, atti, gesti e comportamenti offensivi e di disprezzo di persone o di gruppi assumono la forma di un incitamento all'odio, in particolare verso le minoranze; essi, anche se non sempre sono perseguibili sul piano penale, comunque costituiscono un pericolo per la democrazia e la convivenza civile. Si pensi solo alla diffusione tra i giovani di certi linguaggi e comportamenti riassumibili nel fenomeno del cyberbullismo, ma anche ad altre forme violente di isolamento e di emarginazione di bambini o ragazzi da parte di coetanei. Il fenomeno è purtroppo in crescita in tutte le società più avanzate. La comunità internazionale da anni sta cercando delle strategie di contenimento e di contrasto. La norma fondamentale che vieta ogni forma di odio deve essere considerato il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966 e reso esecutivo nel nostro Paese dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881, che all'articolo 20 prevede che siano espressamente vietati da un'apposita legge qualsiasi forma di propaganda a favore della guerra e ogni appello all'odio nazionale, razziale o religioso che possa costituire una forma di incitamento alla discriminazione o alla violenza. In sintesi, l'insieme di quei fenomeni che oggi sono meglio noti come hate speech. Lo stesso Patto prevede le relative misure e sanzioni penali. Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà d'espressione, Frank La Rue, ha precisato che ci sono differenze tra espressioni che costituiscono un'offesa secondo il diritto internazionale e che andrebbero perseguite penalmente, espressioni dannose, offensive o sgradite che tuttavia gli Stati non sono tenuti a proibire penalmente ma che possono giustificare una sanzione civile, e, invece, espressioni che non danno luogo a sanzioni penali o civili, ma che comunque causano preoccupazione in merito alla tolleranza e al rispetto altrui. Anche il Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione della discriminazione razziale (CERD), seppur non ricorrendo esplicitamente all'uso dell'espressione hate speech, ne ha comunque identificato le varie manifestazioni: si tratta di discorsi orali o scritti, veicolati nei mass media o su internet, attraverso simboli o immagini. Resta vero che una precisa definizione di hate speech è resa difficile dal fatto che la Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1966 (resa esecutiva in Italia dalla legge 13 ottobre 1975, n. 654) ha stabilito vari standard di protezione, definendo la discriminazione come qualsiasi distinzione basata sull'etnia, sul colore o sulla nazionalità che abbia lo scopo o l'effetto di annullare o indebolire il godimento di qualsiasi diritto umano o libertà fondamentale. È stabilito, altresì, che gli Stati considereranno reato punibile per legge le seguenti attività: ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull'odio razziale, ogni incitamento alla discriminazione razziale, nonché ogni atto di violenza o incitamento a tali atti, rivolti contro qualsiasi gruppo di individui di diverso colore o origine etnica; dovrà inoltre essere punita ogni assistenza ad attività razziste, compreso il loro finanziamento. L'espressione hate speech, nonostante non sia indicata nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), è stata usata dalla Corte per la prima volta l'8 luglio 1999. La Corte ha però evitato una definizione precisa del fenomeno (nel timore che ciò limitasse il proprio futuro raggio d'azione), ricorrendo di volta in volta a un approccio mirato, che tenesse conto delle varie circostanze del caso concreto: l'intento dello speaker, l'intensità e la severità dell'espressione, il fatto che essa fosse diretta o indiretta, esplicita o velata, singola o ripetuta. Un approccio articolato di estrema importanza e utilità nella ricerca di più adeguate e incisive politiche di risposta e di contrasto del problema. La CEDU differenzia i discorsi di odio per categorie (razziali, sessuali, religiosi, etnici o politici). Gli hate speech, stando alla definizione del dizionario «Oxford», consistono in un intenso ed estremo sentimento di avversione, rifiuto, ripugnanza, livore, astio e malanimo verso qualcuno. Diversamente dall’hate speech, i crimini di odio (hate crimes) costituiscono un'offesa penale diretta intenzionalmente contro una vittima predeterminata e pertanto possono rendersi necessarie restrizioni di carattere repressivo. Come rilevato, gli hate speech sono difficili da definire e suscettibili di applicazioni arbitrarie: i codici penali di molti Stati membri dell'Unione europea, infatti, per riferirsi all'incitamento alla violenza o all'odio utilizzano varie terminologie e di conseguenza vari criteri di applicazione. Gli aspetti più divergenti fra le varie legislazioni dipendono per lo più dai seguenti fattori: il peso attribuito all'intento, alla motivazione, allo strumento di comunicazione prescelto, al contesto e alle conseguenze prevedibili in date circostanze.
  Il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa definisce gli hate speech come le forme di espressioni che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l'odio razziale, la xenofobia, l'antisemitismo o più in generale l'intolleranza, ma anche i nazionalismi e gli etnocentrismi, gli abusi e le molestie, gli epiteti, i pregiudizi, gli stereotipi e le ingiurie che stigmatizzano e insultano. Al riguardo è intervenuta anche l'Unione europea con l'adozione della decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2008, che, nella lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia, ricorre al diritto penale. Secondo questa decisione gli Stati membri devono garantire che siano punibili i discorsi di incitamento all'odio, intenzionali e diretti contro un gruppo di persone o un membro di essi, in riferimento alla razza, al colore, alla religione o all'etnia. Deve risultare altresì punibile l'istigazione pubblica alla violenza o all'odio, quale che sia la forma di diffusione: scritti, immagini o altro materiale. Lo stesso dicasi per l'apologia o la negazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e di quelli di guerra e, infine, quanto ai comportamenti atti a turbare l'ordine pubblico o minacciosi, offensivi e ingiuriosi. La stessa Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea (OSCE) si è impegnata, con la decisione n. 9/2009 «Combating Hate Crimes», a riconoscere e sanzionare i crimini dell'odio in quanto tali, cioè basati su motivi razzisti o xenofobi. Anche in Italia, ovviamente, esiste un'ampia produzione normativa in materia e importanti iniziative legislative sono state proposte la scorsa legislatura e annunciate di recente. Basti ricordare la citata legge n. 654 del 1975, di recepimento della Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, e il decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, cosiddetto «decreto Mancino», che reprime l'incitamento alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Nel corso della XVII legislatura è stata approvata invece la legge 16 giugno 2016, n. 115, che recepisce la già ricordata decisione quadro europea 2008/913 GAI e attribuisce rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah, ma in genere di tutti gli atti di genocidio e di crimini di guerra e contro l'umanità. La conclusione della legislatura ha invece impedito l'approvazione definitiva della cosiddetta «legge Fiano», che colpisce con strumenti aggiornati ogni forma di apologia del fascismo. Sempre nella XVII legislatura la Camera dei deputati ha istituito, il 10 maggio 2016, la Commissione sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio, intitolata alla parlamentare del Regno Unito Jo Cox, uccisa nel 2016 per motivi di odio e intolleranza. Con l'istituzione della Commissione, composta da parlamentari e no, si è inteso corrispondere all'invito del Consiglio d'Europa a una sempre maggiore sensibilizzazione dei Parlamenti nazionali in fatto di conoscenza e di contrasto di tutte le forme di intolleranza e di razzismo. Ciò premesso, è un fatto che non esiste ancora una definizione normativa di hate speech; tuttavia in base alla raccomandazione n. (97) 20 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 30 ottobre 1997, il termine copre tutte le forme di incitamento o giustificazione dell'odio razziale, xenofobia, antisemitismo, antislamismo, antigitanismo, discriminazione verso minoranze e immigrati sorrette da etnocentrismo o nazionalismo aggressivo. Per meglio definire il fenomeno si ricorre alle categorie dell'incitamento, dell'istigazione o dell'apologia. Il termine incitamento può comprendere vari tipi di condotte: quelle dirette a commettere atti di violenza, ma anche l'elogio di atti del passato come la Shoah; ma incitamento è anche sostenere azioni come l'espulsione di un determinato gruppo di persone dal Paese o la distribuzione di materiale offensivo contro determinati gruppi. Chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità e sull'odio razziale e chi incita a commettere atti di discriminazione o di violenza è incriminato a titolo di pericolo presunto quando il pregiudizio razziale, etnico, nazionale o religioso si trasforma da pensiero intimo del singolo a pensiero da diffondere in qualunque modo, con «argomenti» quali la superiorità della propria razza, etnia, nazione o gruppo, ma anche compiendo o incitando a compiere atti di discriminazione. Nel 2014 è stata lanciata la campagna nazionale «No hate speech», con la messa in onda, anche sulle reti della RAI – Radiotelevisione italiana Spa, di spot televisivi e radiofonici inseriti all'interno dell'omonimo progetto internazionale, promosso dal Consiglio d'Europa come forma di tutela dei diritti umani di fronte a fenomeni di odio e di intolleranza espressi attraverso il web, in preoccupante crescita: soltanto in Italia, circa il 41 per cento dei casi di discriminazione segnalati nel 2012 sono stati ricondotti al web. Un gruppo di editori e di riviste italiani ha promosso, nel 2014, la campagna «Le parole uccidono» per indicare il pericolo del linguaggio violento e offensivo. Inoltre, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, è stato istituito un tavolo a cui partecipano le istituzioni che hanno la possibilità, in base alle loro competenze, di sensibilizzare i giovani a contrastare l'odio diffuso on line.
  Il Consiglio d'Europa ha istituito la No Hate Parliamentary Alliance con lo scopo di prevenire e contrastare l'incitamento all'odio. Di questa rete fanno parte parlamentari di tutti i Paesi che intendono impegnarsi a livello nazionale e internazionale contro l'odio in tutte le sue forme e in particolare contro l’hate speech. Con la presente iniziativa legislativa si intende accogliere l'invito del Consiglio d'Europa a istituire in tutti i Paesi una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza per individuare le migliori soluzioni e azioni per contrastarli.
  La presente proposta di legge è composta da tre articoli. L'articolo 1 istituisce la Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza, definisce il numero di commissari e le modalità di nomina. L'articolo 2 specifica i compiti della Commissione, sia di controllo, che di reperimento e sistemazione della legislazione interna e internazionale sulle materie d'interesse; regola altresì l'attività di raccolta di dati e informazioni sulle stesse materie, anche attraverso pubblicazioni periodiche; viene inoltre regolata l'attività di collaborazione con analoghe istituzioni internazionali. L'articolo 3 riguarda l'organizzazione interna della Commissione, le modalità di votazione, la pubblicità delle sedute, la disponibilità di personale amministrativo eccetera. Lo stesso articolo pone le spese per il finanziamento della Commissione a carico in pari misura dei bilanci interni delle due Camere.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione e composizione)

  1. È istituita una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche quali l'etnia, la religione, la provenienza, l'orientamento sessuale, l'identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche, di seguito denominata «Commissione».
  2. La Commissione è composta da dieci senatori e da dieci deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, garantendo comunque l'equilibrata rappresentanza dei sessi e assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.
  3. La Commissione elegge al suo interno l'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vice presidenti e da due segretari.
  4. Nella composizione delle delegazioni della Commissione, ogni gruppo parlamentare assicura che nessuno dei due sessi sia rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale dei componenti delle delegazioni medesime.
  5. In caso di dimissioni, i membri della Commissione sono sostituiti da altri membri nominati con le modalità di cui al comma 2.

Art. 2.
(Compiti)

  1. La Commissione controlla e indirizza la concreta attuazione delle convenzioni e degli accordi sovranazionali e internazionali e della legislazione nazionale relativi ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e di istigazione all'odio e alla violenza, nelle loro diverse manifestazioni di tipo razziale, etnico, nazionale, religioso, politico e sessuale. La Commissione svolge anche una funzione propositiva, di stimolo e di impulso, nell'elaborazione e nell'attuazione delle proposte legislative, promuovendo anche ogni altra iniziativa utile a livello nazionale, sovranazionale e internazionale. A tale fine la Commissione:

   a) raccoglie, ordina e rende pubblici, con cadenza annuale:

    1) normative statali, sovranazionali e internazionali;

    2) ricerche e pubblicazioni scientifiche, anche periodiche;

    3) dati statistici, nonché informazioni, dati e documenti sui risultati delle attività svolte da istituzioni, organismi o associazioni che si occupano di questioni attinenti ai fenomeni di intolleranza, razzismo e antisemitismo, nella forma sia dei crimini d'odio, sia dei fenomeni di cosiddetto hate speech;

   b) effettua, anche in collegamento con analoghe iniziative in ambito sovranazionale e internazionale, ricerche, studi e osservazioni concernenti tutte le manifestazioni di odio nei confronti di singoli o comunità. A tale fine la Commissione può prendere contatto con istituzioni di altri Paesi nonché con organismi sovranazionali e internazionali ed effettuare missioni in Italia o all'estero, in particolare presso Parlamenti di Stati esteri, anche, ove necessario, allo scopo di stabilire intese per il contrasto dell'intolleranza, del razzismo e dell'antisemitismo, nella forma sia dei crimini d'odio sia dei fenomeni di hate speech;

   c) formula osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull'eventuale necessità di adeguamento della legislazione vigente al fine di assicurarne la rispondenza alla normativa dell'Unione europea e ai diritti previsti dalle convenzioni internazionali in materia di prevenzione e di lotta contro ogni forma di odio, intolleranza, razzismo e antisemitismo.

  2. Entro il 30 giugno di ogni anno, la Commissione trasmette al Governo e alle Camere una relazione sull'attività svolta, recante in allegato i risultati delle indagini svolte, le conclusioni raggiunte e le proposte formulate.
  3. La Commissione può avvalersi della collaborazione di esperti e può affidare l'effettuazione di studi e di ricerche a istituzioni pubbliche o private, a gruppi o a singoli ricercatori mediante convenzioni.

Art. 3.
(Organizzazione)

  1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa a maggioranza assoluta dei propri membri. Ciascun membro può proporre la modifica delle disposizioni regolamentari.
  2. Le sedute e tutti gli atti della Commissione sono pubblici, salva diversa deliberazione della Commissione stessa da assumere a maggioranza assoluta dei suoi membri.
  3. Per lo svolgimento delle sue funzioni la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro.
  4. Le spese per il funzionamento della Commissione sono stabilite nella misura di 100.000 euro annui e sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.