• C. 522 EPUB Proposta di legge presentata il 17 aprile 2018

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Atto a cui si riferisce:
C.522 [Ddl parità salariale] Disposizioni per il superamento del divario retributivo tra donne e uomini e per favorire l'accesso delle donne al lavoro
approvato con il nuovo titolo
"Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo"


FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9
                        Articolo 10
                        Articolo 11

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 522

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
CIPRINI, TRIPIEDI, SPADONI, NESCI, PALLINI, DAVIDE AIELLO, AMITRANO, COSTANZO, CUBEDDU, DE LORENZO, GIANNONE, INVIDIA, PERCONTI, SEGNERI, SIRAGUSA, TUCCI, VILLANI, VIZZINI

Disposizioni per il superamento del divario retributivo tra donne e uomini e per favorire l'accesso delle donne al lavoro

Presentata il 17 aprile 2018

  Onorevoli Colleghi! Secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) relativi al 2017, le retribuzioni medie a livello nazionale si aggirano intorno ai 30.676 euro per gli uomini contro i 27.228 euro per le donne, se si analizzano gli impieghi che richiedono la laurea, il divario retributivo cresce al 33 per cento. Secondo l'ultimo Global Gender Gap Report 2017 redatto dal World Economic Forum (WEF) che classifica i Paesi in cui il gender pay gap (ovvero la discrepanza in opportunità, status e attitudini tra i due sessi) è meno evidente e quelli in cui invece tale divario è molto più marcato, il 61,5 per cento delle donne che lavorano in Italia non sono retribuite o non sono retribuite adeguatamente, contro il 22,9 per cento degli uomini (www.repubblica.it/economia del 2 novembre 2017).
  Nella classifica globale stilata per il 2017 – che valutava diversi ambiti che vanno dall'educazione alla salute, dal lavoro all'aspettativa di vita, fino all'acquisizione di potere in campo politico – l'Italia è crollata in classifica di ben 32 posizioni, passando all'ottantaduesimo posto su 144 Paesi, dietro a Burundi, Bolivia, Mozambico, Kazakhstan, Mongolia, Uruguay, Uganda e Perù. Specificamente in tema di salario, l'Italia si colloca al centoventiseiesimo posto nel divario di genere: le donne lavorano di più, ma guadagnano di meno. Ogni giorno, una donna lavora 512 minuti contro i 453 di un suo collega, mentre la disoccupazione è più alta tra le donne (12,8 per cento contro 10,9 per cento) e sempre le donne risultano in maggioranza tra le persone senza lavoro e con poche speranze di trovarlo (40,3 per cento delle donne contro 16,2 per cento degli uomini).
  Eppure l'articolo 37 della Costituzione prevede che: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore». Il gender gap è un problema diffuso e che travalica i confini del nostro Paese: sempre secondo il WEF, a livello globale il divario di genere nel 2017 era pari al 68 per cento e si era comunque allargato. Con questi ritmi, ci vorranno cento anni per colmarlo rispetto agli ottantatré stimati nel 2016: si tratta di una stima fatta a livello globale, come media tra i sessantuno anni dell'Europa occidentale e i centosessantotto anni nel nord America.
  Si riscontrano, infatti, queste differenze in molti dei Paesi dell'Unione europea (UE), con ripercussioni pesanti sul futuro previdenziale delle lavoratrici. Le differenze di genere sono ravvisabili anche nella tipologia di lavoro, dal momento che le donne svolgono mansioni più precarie rispetto agli uomini: l'ISTAT ha rilevato una crescita del part time per le donne dal 21 per cento nel 1993 al 30 per cento dell'ultima rilevazione. Il 61 per cento delle lavoratrici ha un lavoro standard, a fronte del 69 per cento degli uomini.
  Inoltre, nel corso della carriera lavorativa le donne sono soggette a maggiori interruzioni di contribuzione. La nascita dei figli determina la sospensione o l'interruzione del lavoro per un quarto delle donne. Di queste, poi, il 60 per cento non ritorna nel mondo del lavoro prima di cinque anni.
  Le lavoratrici svolgono, inoltre, un maggiore lavoro di cura nell'ambito familiare, che determina interruzioni prolungate di carriera. Talvolta anche gli stessi meccanismi di prosecuzione volontaria della contribuzione non sono pienamente sufficienti per superare il gap dei futuri trattamenti pensionistici. È evidente, quindi, che gli interventi e le misure per arginare il gender gap in pensions devono operare innanzitutto ex ante, sulle carriere lavorative, perché i soli interventi di tipo previdenziale non possono sanare le storture e le diseguaglianze generate dal diverso reddito e dal diverso trattamento salariale tra uomini e donne.
  Significativo è anche il problema della sottorappresentanza delle donne nel mondo del lavoro, che continua ad avere dimensioni significative in Europa e anche in Italia: secondo i dati dell'Eurostat (anno 2016) in Italia il tasso di occupazione tra gli uomini era pari al 71,7 per cento, mentre per le donne era pari al 51,6 per cento. Il divario di genere nei livelli di occupazione risultava più marcato per i genitori e per chi ha altre responsabilità di assistenza: nel 2015 il tasso di occupazione delle donne con un figlio di età inferiore a 6 anni era inferiore al tasso di occupazione delle donne senza figli piccoli di circa il 9 per cento in media e in alcuni Paesi europei la differenza superava il 30 per cento.
  Anche per quanto riguarda il ricorso al congedo parentale si riscontra, in generale, che gli uomini vi ricorrono in misura ridotta rispetto alle donne, probabilmente per la forte riduzione di stipendio che comporta.
  Dai dati della Commissione europea emerge che vi sono Paesi (come la Francia e la Finlandia) dove il tasso di occupazione femminile risulta piuttosto elevato pur in assenza di un ricorso frequente al congedo parentale da parte degli uomini; al contrario, in altri Paesi (ad esempio, Romania e Belgio), il tasso di occupazione femminile è più basso di quello medio dell'UE, anche se la percentuale degli uomini che fruiscono del congedo parentale è elevata. In altre parole, non sembra potersi dedurre una correlazione diretta e costante tra il ricorso al congedo parentale da parte degli uomini e l'incremento dell'occupazione femminile.
  Da un'indagine dell'Ispettorato nazionale del lavoro è emerso invece che, senza asili nido, alle madri lavoratrici conviene restare a casa. L'indagine ha attribuito il 78 per cento delle richieste di dimissioni, registrate nell'arco del 2016 da donne con figli, al mancato accoglimento all'asilo nido, che è una tra le motivazioni che più spiegano l'alto tasso di abbandono del lavoro da parte della popolazione femminile. Questo accade perché i posti negli asili nido pubblici sono limitati e, se entrambi i partner lavorano, sale la fascia di reddito e si è tagliati fuori dagli asili nido pubblici. Quelli privati sono costosi e, con le basse retribuzioni attuali, alle donne conviene rimanere a casa piuttosto che andare a lavorare.
  L'ostacolo della partecipazione alla pari delle donne nel mondo del lavoro è riconducibile, quindi, anche all'assenza di una rete adeguata di servizi sul territorio per l'infanzia e per l'assistenza agli anziani.
  Troppo spesso il welfare pubblico delega alla famiglia la responsabilità dell'assistenza che grava sul bilancio familiare. I dati forniti dalla Commissione europea, nell'ambito della documentazione a corredo della direttiva sulla conciliazione tra vita e lavoro, certificano che la maggiore concentrazione negli impieghi a tempo parziale e le interruzioni di carriera dovute a responsabilità di assistenza rendono molte donne economicamente più dipendenti dai propri partner o dallo Stato e contribuiscono notevolmente al divario retributivo di genere (ovvero la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne, in media il 16 per cento nell'UE) e al divario pensionistico di genere (in media il 40 per cento nell'UE). Ciò si traduce in un maggiore rischio di povertà e di esclusione sociale per le donne. Eppure la mancata o non piena partecipazione delle donne nel mondo del lavoro si configura come un danno per la società intera, non solo per le donne.
  Dalla ricerca previsionale «Lavoro 2025 – il futuro dell'occupazione (e della disoccupazione)», condotta dal sociologo del lavoro Domenico De Masi (Marsilio editore, 2017), è emerso che quello della donna sarà un ruolo chiave in un mondo del lavoro che cambia, sempre più legato a un'economia dei beni relazionali e ai lavori creativi. Le donne potranno apportare il loro valore aggiunto se riusciranno a valorizzare le proprie differenze, le proprie caratteristiche fondamentali, come la determinazione nel perseguire il bene comune, la motivazione a cambiare le cose, l'attitudine ai valori sociali e un atteggiamento più prudente rispetto ai rischi. Tutte qualità, come emerso dagli studi di economia comportamentale (disciplina che è valsa il Premio Nobel al suo fondatore Richard Thaler), in grado di equilibrare e di calmierare i difetti del neoliberismo imperante (caratterizzato da disuguaglianze marcate e da una competizione aggressiva).
  Ma se la crisi non verrà risolta, l'impoverimento di molte famiglie, unito alla scarsità dei servizi di cura, porterà un numero crescente di donne di classe medio-bassa a tornare casalinghe.
  L’empowerment delle donne in un mondo del lavoro che cambia è stato anche il tema della sessantunesima sessione della Commissione sulla condizione delle donne nel mondo (CSW61), tenutasi all'ONU, New York, nel marzo 2017. Negli accordi conclusivi si è ribadita anche l'importanza di combattere la discriminazione delle donne nell'accesso e nella partecipazione al mercato del lavoro, attraverso l'eliminazione della segregazione occupazionale, l'affermazione di una «uguale paga per un uguale lavoro» e di «un lavoro di pari valore» (equal pay for equal work, work of equal value), nonché attraverso la conciliazione tra vita e lavoro.
  La presente proposta di legge si muove secondo due direttrici: la prima prevede una serie di misure per contrastare ex ante e a monte il gap retributivo di genere, attraverso misure premiali per le aziende che rimuovono le discriminazioni; la seconda prevede una serie di misure per favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per realizzare pienamente la conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro. Proprio i dati dell'Eurostat hanno evidenziato che una delle cause principali delle basse percentuali del tasso di occupazione femminile è rappresentata dall'inadeguatezza di politiche family friendly di conciliazione tra attività professionale e vita familiare. Basti pensare che, secondo quanto segnala il WEF, se si raggiungesse la piena parità di genere il prodotto interno lordo del mondo aumenterebbe di 5.300 miliardi di dollari. Come è stato evidenziato da alcuni esperti, la parità di genere non è unicamente un diritto umano fondamentale, ma è anche lo strumento di un'economia prospera e moderna, che punta a una crescita a beneficio della società nel suo complesso.
  Passando al contenuto specifico della presente proposta di legge, questa intende intervenire colmando anche alcune lacune dell'attuale normativa in tema di contrasto del gap retributivo di genere (attualmente, infatti, l'adozione delle cosiddette azioni positive costituisce una facoltà per i datori di lavoro a cui, quindi, non corrisponde alcun diritto della lavoratrice all'attivazione di programmi che rendano effettive le pari opportunità), potenziando l'occupazione femminile e i meccanismi di sviluppo della carriera delle donne lavoratrici e favorendo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle donne lavoratrici più impegnate anche nella cura della famiglia e dei familiari.
  L'articolo 1 comprende tra le discriminazioni indirette anche gli atti di natura organizzativa e oraria che, modificando l'organizzazione delle condizioni e il tempo del lavoro, mettono la lavoratrice in una posizione di svantaggio o ne limitano lo sviluppo di carriera rispetto alla generalità degli altri lavoratori, in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare (si pensi, ad esempio, a quanto accade in alcune aziende nelle quali le riunioni sono fissate in orari del pomeriggio «difficili» da conciliare con la vita familiare della lavoratrice).
  L'articolo 2 è finalizzato a rendere concreta la portata del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo n. 198 del 2006: si introducono misure specifiche per prevenire e contrastare la disparità basata sul sesso ma anche per incentivare buone pratiche che la evitino. Le imprese e le amministrazioni pubbliche, con cadenza annuale e su richiesta, svolgono un programma di audit interno (come prevede anche la legislazione spagnola e austriaca) e comunicano ai propri lavoratori, alle rappresentanze sindacali e agli organismi di parità previsti dal codice una serie di informazioni e di dati in forma chiara e trasparente sulla composizione e sulla struttura dei redditi, sulle mansioni, sui meccanismi e sulle modalità di erogazione dei bonus, dei trattamenti accessori e di altre erogazioni previste a favore dei dipendenti, nonché le differenze tra i salari di partenza degli uomini e delle donne.
  Il lavoratore o il sindacato che rilevino l'esistenza di scostamenti tra le medie salariali di gruppi di lavoratori di sesso differente e con medesima mansione o con lavoro al quale è attribuito un valore uguale lo comunicano agli organismi di parità previsti dal codice, affinché verifichino gli scostamenti e affinché l'azienda provveda a rimuovere la discriminazione segnalata.
  Le imprese sono chiamate ad attuare un piano di azioni, condiviso dai lavoratori e dalle organizzazioni sindacali, che ne valutano i contenuti, volto a colmare il divario retributivo e le disparità di trattamento e finalizzato in particolare a: a) prevenire qualsiasi forma di discriminazione nell'accesso al lavoro, nella promozione e formazione professionali e nelle condizioni di lavoro; b) garantire il diritto delle lavoratrici a una parità di retribuzione in caso di uguali mansioni e il superamento delle differenze basate sul sesso rimuovendo le disparità di trattamento; c) superare condizioni di organizzazione e distribuzione del lavoro di fatto pregiudizievoli per l'avanzamento professionale e di carriera delle donne; d) promuovere una migliore articolazione tra attività lavorativa e tempi di vita; e) sviluppare misure per il reinserimento della donna lavoratrice dopo la maternità.
  A seguito della verifica dell'attuazione del piano di azioni, alle imprese virtuose è riconosciuta una detrazione d'imposta per le spese documentate sostenute per l'acquisto sia di beni materiali strumentali nuovi, sia di dispositivi informatici, per l'erogazione di servizi a favore dei dipendenti e delle loro famiglie, e per ogni altro prodotto o dotazione, in conformità al decreto legislativo n. 81 del 2008, che permetta condizioni di organizzazione e distribuzione del lavoro finalizzate a conciliare le esigenze di vita e di lavoro, anche mediante un'articolazione flessibile dei tempi e nei luoghi di lavoro. Le detrazioni sono riconosciute anche per servizi erogati dal datore di lavoro a favore dei lavoratori e delle loro famiglie (welfare aziendale).
  L'articolo 3 introduce, in via sperimentale, il curriculum anonimo, secondo le esperienze già intraprese in Europa da Spagna, Regno Unito, Francia, Germania, Olanda e Svezia, per combattere le discriminazioni contro donne, soggetti over 50 e altri soggetti svantaggiati. La finalità è quella di garantire un'effettiva parità nei processi di selezione e di assunzione omettendo ogni riferimento personale, come nome, sesso, data di nascita, situazione familiare e fotografie, e solo con informazioni sulla formazione, esperienze lavorative, competenze, conoscenze, capacità e attitudini professionali del candidato.
  L'articolo 4 prevede tra l'altro l'innalzamento dell'indennità del congedo parentale dal 30 per cento all'80 per cento della retribuzione.
  L'articolo 5 introduce le ferie solidali, finalizzate a migliorare la gestione dell'orario di lavoro e la compatibilità tra gli impegni di lavoro e le esigenze di cura di familiari con patologie gravi.
  L'articolo 6 riduce al 4 per cento l'IVA per l'acquisto di prodotti neonatali e per l'infanzia nonché per l'acquisto di prodotti, dispositivi e protesi per il miglioramento delle condizioni di vita e per il benessere della terza età. È innalzato l'importo detraibile per l'assunzione di collaboratrici domestiche e di badanti. Infine, si prevede l'innalzamento delle indennità di maternità dall'80 per cento al 100 per cento.
  L'articolo 7 introduce agevolazioni per la creazione di asili nido aziendali, prevedendo una detrazione del 36 per cento per le opere e i progetti messi in atto da aziende con almeno 15 dipendenti; un premio per la madre lavoratrice alle dipendenze di un datore di lavoro privato che, dopo la nascita del figlio, torna al lavoro, per un importo pari a 150 euro al mese per tre anni dalla fine della maternità; agevolazioni per l'impresa che mantiene alle proprie dipendenze le lavoratrici madri dopo la nascita del figlio, consistenti in sgravi contributivi per tre anni.
  L'articolo 8 prevede che i contributi figurativi relativi ai periodi di maternità e di assistenza o cura di familiari siano considerati doppi ai fini pensionistici: un mese di congedo è pari a due mesi di contribuzione figurativa e a due mesi anagrafici utili per il pensionamento. L'intervento è volto a ridurre il periodo di lavoro effettivo (per anzianità e per contributi) che grava sulle donne.
  L'articolo 9 prevede la proroga del regime «opzione donna» al 2020.
  L'articolo 10 prevede il rifinanziamento del piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per realizzare asili nido pubblici o altre forme di asili nido organizzati in forma singola o associata dalle famiglie.
  L'articolo 11 introduce l'esenzione dal pagamento del contributo unificato nei processi promossi da chi intende agire per discriminazioni poste in essere in violazione delle disposizioni del codice o per qualunque discriminazione basata sul sesso. L'esenzione è estesa anche ai processi promossi dai consiglieri e dalle consigliere di parità territoriali.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità e definizioni).

  1. Le disposizioni della presente legge sono finalizzate a superare il divario retributivo tra donne e uomini attraverso il potenziamento degli strumenti di tutela delle donne e di promozione della parità di trattamento, nonché a favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
  2. Ai fini della presente legge per lavoratori si intende l'insieme delle risorse umane impiegate da datori di lavoro, senza alcuna distinzione in termini di appartenenza di sesso e di rapporto di lavoro.
  3. All'articolo 25 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) al comma 2, dopo le parole: «o un comportamento» sono inserite le seguenti: «, compresi quelli di natura organizzativa e oraria,»;

   b) il comma 2-bis è sostituito dal seguente:

   «2-bis. Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento o modifica dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti, mette o può mettere il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:

   a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;

   b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;

   c) limitazione dell'accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera».

Art. 2.
(Misure premiali per il superamento del divario retributivo tra donne e uomini).

  1. Al fine di dare concreta attuazione alle disposizioni del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, a decorrere dal 1° gennaio 2019 le imprese private con più di quindici lavoratori nonché le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di seguito denominate «amministrazioni pubbliche», sono tenute, con cadenza annuale e su richiesta in qualsiasi momento, a comunicare in forma chiara e trasparente ai propri lavoratori, alle rappresentanze sindacali e agli organismi di parità previsti dal citato codice di cui al decreto legislativo n. 198 del 2006, le informazioni concernenti:

   a) la composizione e la struttura di tutte le componenti della remunerazione individuale di ciascun lavoratore, senza indicazione di alcun dato anagrafico e di riconoscimento a esclusione del sesso, in relazione al livello e al tipo di lavoro, al fine di consentire la valutazione delle differenze tra le retribuzioni medie di base e del totale dei salari di uomini e di donne suddiviso per mansione e tipo di lavoro;

   b) le differenze tra i salari di partenza di uomini e di donne in materia, con riferimento all'ingresso al lavoro, alle promozioni e alla retribuzione correlata alle indennità;

   c) su richiesta dei singoli lavoratori, i criteri e le procedure adottati per la determinazione di ogni elemento della retribuzione che contribuisce al reddito complessivo, delle componenti accessorie del salario, delle indennità anche collegate alla performance, dei pagamenti discrezionali, dei bonus e di ogni altro beneficio in natura ovvero di qualsiasi altra erogazione a favore del lavoratore che ha effettuato la richiesta.

  2. I lavoratori e le rappresentanze sindacali che rilevino l'esistenza di scostamenti tra le medie salariali di gruppi di lavoratori di sesso differente che svolgono la medesima mansione, o comunque un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, lo comunicano agli organismi di parità previsti dal codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, affinché provvedano a verificare gli scostamenti e ad accertare la sussistenza di discriminazioni in violazione delle disposizioni degli articoli 25 e seguenti del citato codice di cui al decreto legislativo n. 198 del 2006 e, in particolare, di quanto disposto all'articolo 28.
  3. Ferme restando le sanzioni e le tutele giudiziarie previste dalle disposizioni vigenti, le imprese private e le amministrazioni pubbliche che ricevono una comunicazione dai soggetti indicati nel comma 1 della sussistenza di una qualsiasi forma di discriminazione basata sul sesso, diretta o indiretta, attuano procedure per rimuovere la disparità di trattamento.
  4. A decorrere dal 1° gennaio 2019 le imprese private con più di quindici lavoratori e le amministrazioni pubbliche attuano un piano di azioni volto a colmare il divario retributivo tra donne e uomini e a eliminare le disparità di trattamento, finalizzato in particolare a:

   a) prevenire qualsiasi forma di discriminazione nell'accesso al lavoro, alle promozioni e alla formazione professionale e nelle condizioni di lavoro;

   b) garantire il diritto delle donne a una parità di retribuzione in caso di svolgimento di uguali mansioni e il superamento delle differenze basate sul sesso, rimuovendo le disparità di trattamento;

   c) superare le forme di organizzazione e distribuzione del lavoro di fatto pregiudizievoli per l'avanzamento professionale, di carriera ed economico delle donne;

   d) promuovere una migliore articolazione tra attività lavorativa e tempi di vita;

   e) sviluppare misure per il reinserimento nel lavoro della donna dopo la maternità.

  5. Il piano di azioni di cui al comma 4 è trasmesso dall'impresa ai lavoratori, alle rappresentanze sindacali e agli organismi di parità previsti dal codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198. Le rappresentanze sindacali, previa consultazione dei lavoratori, valutano i contenuti del piano e, se lo condividono, lo approvano.
  6. Con cadenza annuale i soggetti di cui al comma 5 verificano l'attuazione del piano di azioni di cui al comma 4 e, se rilevano l'esistenza di disparità retributive ovvero di forme di organizzazione e distribuzione del lavoro di fatto pregiudizievoli per l'avanzamento professionale, di carriera ed economico delle donne, o comunque violazioni delle disposizioni antidiscriminatorie previste dal codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, le segnalano all'impresa, che provvede a modificare i contenuti del piano e a rimuovere le discriminazioni.
  7. A decorrere dal 1° gennaio 2019, a seguito della verifica, con esito positivo, dell'attuazione del piano di azioni di cui al comma 5, alle imprese private che hanno realizzato il piano di azioni con le modalità e rimosso le eventuali discriminazioni, è riconosciuta una detrazione dall'imposta lorda, fino a concorrenza del suo ammontare, per le spese documentate sostenute per l'acquisto di beni materiali strumentali nuovi, nonché di dispositivi informatici, per l'erogazione di servizi a favore dei dipendenti e delle loro famiglie, nonché per l'acquisto di ogni altro prodotto o dotazione, conforme alle previsioni del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, che permetta condizioni di organizzazione e distribuzione del lavoro finalizzate a conciliare le esigenze di vita e di lavoro anche mediante un'articolazione flessibile dei tempi e nei luoghi di lavoro. La detrazione di cui al presente comma è riconosciuta anche alle imprese che occupano fino a quindici dipendenti e che volontariamente realizzano il piano di azioni di cui al comma 4. La detrazione di cui al presente comma spetta nella misura del 50 per cento delle spese sostenute ed è calcolata su un ammontare complessivo non superiore a 10.000 euro annui. Qualora a seguito di due verifiche annuali successive a quella che ha permesso di accedere al beneficio di cui al presente comma si rilevino violazioni del piano di azioni, all'impresa si applica la sanzione prevista dall'articolo 41, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198. Alla copertura degli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni del presente comma, valutati in 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020, si provvede a valere sulle risorse del fondo per il finanziamento di esigenze indifferibili, di cui all'articolo 1, comma 199, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
  8. A decorrere dal 1° gennaio 2019, le imprese private con più di quindici lavoratori e le amministrazioni pubbliche avviano programmi di controllo interno al fine di rilevare l'esistenza di eventuali condizioni di discriminazione vietate dal codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e inviano agli organismi di parità e alle rappresentanze sindacali una relazione annuale contenente le informazioni di cui al comma 1 del presente articolo e l'indicazione delle misure adottate per tutelare e promuovere la parità salariale tra donne e uomini.
  9. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentito il Garante per la protezione dei dati personali e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, adotta le misure per l'istituzione di una piattaforma digitale e per la predisposizione dei moduli attraverso cui le imprese private trasmettono i dati e le informazioni necessari per le verifiche di cui al presente articolo. Con il medesimo decreto sono definite le modalità di attuazione delle disposizioni dei commi da 4 a 7.
  10. Le imprese che hanno attuato il piano di azioni di cui al comma 4 possono ottenere la certificazione di «Impresa per le pari opportunità nel lavoro». La certificazione è rilasciata dal Comitato nazionale per l'attuazione dei princìpi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, di cui all'articolo 8 del codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, secondo modalità definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 3.
(Sperimentazione del curriculum anonimo).

  1. Al fine di garantire un'effettiva parità nei processi di selezione e assunzione del personale e di combattere le discriminazioni nei confronti dei soggetti più svantaggiati, è istituito, in via sperimentale, il curriculum anonimo. Le informazioni contenute nel curriculum anonimo indicate dal candidato ovvero richieste dall'azienda sono comunicate senza riferimenti personali quali nome, sesso, data di nascita, situazione familiare e fotografie e riguardano solo la formazione, le esperienze lavorative, le competenze, le conoscenze, le capacità e le attitudini professionali del candidato.
  2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali, con decreto da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce le linee guida per la definizione del modello di base del curriculum anonimo e per la sperimentazione dello stesso.

Art. 4.
(Congedo parentale).

  1. All'articolo 32 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

   «4-ter. Il genitore che fruisce del congedo parentale ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, senza ricevere alcun tipo di penalizzazione, beneficiando di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro cui abbia avuto diritto durante la sua assenza».

  2. Al comma 1 dell'articolo 34 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, le parole: «un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione» sono sostituite dalle seguenti: «un'indennità pari all'80 per cento della retribuzione».
  3. Alla copertura degli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui al comma 2, valutati in 50 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018, si provvede a valere sulle risorse del fondo per il finanziamento di esigenze indifferibili, di cui all'articolo 1, comma 199, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

Art. 5.
(Ferie solidali).

  1. Dopo l'articolo 20 della legge 22 maggio 2017, n. 81, è inserito il seguente:

   «Art. 20-bis. – (Ferie solidali) – 1. Allo scopo di favorire il ricorso a forme di flessibilità dell'orario, funzionali alle esigenze di cura personale o familiare dei lavoratori, i lavoratori dipendenti possono cedere, in tutto o in parte, le ferie e i riposi compensativi previsti dalla disciplina della banca delle ore del contratto collettivo di lavoro ad altri lavoratori in presenza di patologie gravi proprie, dei figli, del coniuge, del convivente di fatto o della persona legata da un'unione civile ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, qualora tali lavoratori si siano avvalsi di tutti i permessi loro spettanti ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
   2. Lo svolgimento della prestazione lavorativa nei casi di cui al comma 1 è disciplinato da accordi decentrati di secondo livello, nei quali sono definite le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e dell'organizzazione dei tempi della medesima.
   3. Gli accordi di cui al comma 2 possono essere applicati nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato».

Art. 6.
(Agevolazioni per l'acquisto di prodotti di prima necessità per l'infanzia e per la terza età).

  1. Alla tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono aggiunti, in fine, i seguenti numeri:

    «41-quinquies) pannolini, latte in polvere e liquido, latte speciale o vegetale per soggetti allergici o intolleranti, omogeneizzati e prodotti alimentari, strumenti per l'allattamento, prodotti per l'igiene, carrozzine, passeggini, culle, lettini, seggioloni, seggiolini per autoveicoli e girelli destinati all'infanzia;

    41-sexies) protesi e ausili per menomazioni di tipo funzionale non permanenti, pannoloni per soggetti incontinenti, cateteri, apparecchi di ortopedia, oggetti e apparecchi per fratture, apparecchi di protesi dentaria, oculistica, uditiva e motoria, poltrone e veicoli con motore o altro meccanismo di propulsione, compresi i servoscala e mezzi simili, finalizzati a facilitare la capacità motoria, destinati alla terza età».

  2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, sono disposte variazioni delle aliquote di imposta e riduzioni della misura delle agevolazioni e delle detrazioni vigenti tali da assicurare la copertura degli oneri delle disposizioni di cui al comma 1, valutati in 60 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019, ferma restando la necessaria tutela, costituzionalmente garantita, dei contribuenti più deboli, della famiglia e della salute, prevedendo un limite di reddito sopra il quale non si applica la riduzione delle spese fiscali.
  3. Al comma 2 dell'articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di oneri deducibili, le parole: «fino all'importo di lire 3.000.000» sono sostituite dalle seguenti: «fino all'importo di euro 3.100». La deduzione di cui al presente comma spetta al familiare di cui all'articolo 433 del codice civile che si prende cura del familiare assistito. Sono altresì deducibili, fino al suddetto importo, i medesimi oneri versati dalle persone fisiche che fanno ricorso alle prestazioni occasionali ai sensi dell'articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, per l'assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità nonché il contributo di cui all'articolo 4, comma 24, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92, per l'acquisto di servizi di baby-sitting, ovvero per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati.
  4. Al comma 1 dell'articolo 22 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, le parole: «pari all'80 per cento della retribuzione» sono sostituite dalle seguenti: «pari al 100 per cento della retribuzione».
  5. Alla copertura degli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4, valutati rispettivamente in 5 milioni di euro annui e in 20 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per i medesimi anni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2018-2020, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2018, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 7.
(Agevolazioni per le lavoratrici madri e per le imprese).

  1. All'articolo 16-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di detrazione delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

   «2-bis. La detrazione di cui al comma 1 spetta anche alle imprese con più di quindici lavoratori, per la realizzazione di opere finalizzate all'erogazione del servizio socio-assistenziale per la prima infanzia, di tipo diurno, da svolgere al proprio interno a beneficio degli stessi lavoratori»;

   b) alla rubrica, dopo le parole: «del patrimonio edilizio» sono inserite le seguenti: «, nonché per la realizzazione di asili nido aziendali».

  2. A decorrere dal 1° gennaio 2019, al fine di sostenere la maternità della donna lavoratrice nei primi anni di vita del figlio nato o adottato, alle donne lavoratrici con contratto di lavoro subordinato alle dipendenze di un datore di lavoro privato, con esclusione dei contratti di lavoro domestico e di quelli relativi agli operai del settore agricolo, che rientrano al lavoro dopo il periodo di astensione per maternità è riconosciuto un premio dell'importo di 150 euro mensili. Il premio, che non concorre alla determinazione del reddito complessivo prevista dall'articolo 8 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è corrisposto dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) in dodici rate mensili per la durata complessiva di trentasei mesi continuativi lavorativi svolti dalla lavoratrice a decorrere dalla conclusione del periodo di astensione dal lavoro per maternità previsto dalla normativa vigente. Il premio è riconosciuto su richiesta della lavoratrice, da effettuare entro tre mesi dalla nascita o dall'adozione del figlio. Il premio non è cumulabile con la detrazione prevista dall'articolo 1, comma 335, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e dall'articolo 2, comma 6, della legge 22 dicembre 2008, n. 203.
  3. Ai datori di lavoro privati che hanno alle proprie dipendenze lavoratrici madri che beneficiano del premio di cui al comma 2, è riconosciuto per un periodo massimo di trentasei mesi, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, l'esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nel limite massimo di un importo pari a 3.250 euro su base annua. L'esonero di cui al presente comma spetta a domanda, nel limite massimo di spesa di 5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2019. Qualora dal monitoraggio delle domande presentate e accolte emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, del numero di domande rispetto alle risorse finanziarie determinate ai sensi del primo periodo del presente comma, l'INPS non prende in esame ulteriori domande per l'accesso al beneficio. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono disciplinate le modalità per l'attuazione del presente comma.
  4. Alla copertura degli oneri derivanti dall'attuazione del comma 2, valutati in 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019, e del comma 3, pari a 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.

Art. 8.
(Agevolazioni per il raggiungimento dei requisiti pensionistici).

  1. All'articolo 25 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

   «3-bis. Ai fini del raggiungimento del requisito pensionistico, i contributi figurativi riconosciuti alla lavoratrice per i periodi di tutela della maternità e per quelli di assistenza e cura del coniuge o del parente di primo grado sono moltiplicati per due. Ai fini del raggiungimento del requisito anagrafico i suddetti periodi sono moltiplicati per due».

  2. Alla copertura degli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, valutati in 20 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2018-2020, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2018, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 9.
(Proroga del regime «opzione donna»).

  1. Al primo periodo del comma 281 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, le parole da: «, adeguati agli incrementi della speranza di vita» fino a: «e successive modificazioni, entro il 31 dicembre 2015» sono sostituite dalle seguenti: «entro il 31 dicembre 2020».
  2. Ai fini della compensazione degli effetti finanziari derivanti dalla disposizione di cui al comma 1 del presente articolo, il Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, è ridotto di 140 milioni di euro nell'anno 2019 e di 160 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020.

Art. 10.
(Rifinanziamento del piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi).

  1. Il piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi di cui all'articolo 1, comma 1259, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è rifinanziato per 100 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018.
  2. Agli oneri derivanti dall'attuazione del comma 1, pari a 100 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018, si provvede mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle maggiori entrate provenienti dall'attuazione della disposizione di cui al comma 3.
  3. Alla lettera b) del comma 5 dell'articolo 39-octies del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, le parole: «euro 30» sono sostituite dalle seguenti: «euro 50».

Art. 11.
(Esenzione dal contributo unificato, dalle imposte e dalle tasse per le controversie in materia di discriminazione basata sul sesso o promosse dalle consigliere o dai consiglieri di parità).

  1. Dopo il comma 3 dell'articolo 10 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono inseriti i seguenti:

   «3-bis. Non sono soggetti al contributo unificato i processi per le controversie promosse da chi intende agire in giudizio nei casi previsti dall'articolo 36 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198.
   3-ter. Non sono soggetti al contributo unificato i processi per le controversie previste dagli articoli 36 e 37 del codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, promosse dalle consigliere o dai consiglieri di parità regionali, della città metropolitana e dell'ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, nonché dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parità».