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Atto a cui si riferisce:
C.1345 Modifica all'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale
approvato con il nuovo titolo
"Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo"


FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1345

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
BENEDETTI, CAIATA, SOVERINI, VITIELLO

Modifica all'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale

Presentata il 6 novembre 2018

  Onorevoli Colleghi! – Secondo il «Rapporto 2017 sull'uguaglianza tra uomini e donne nell'Unione europea», pubblicato nel 2017 dalla Commissione europea, il numero delle donne all'interno del mondo del lavoro sta aumentando e sono garantite una migliore istruzione e formazione. Parallelamente a questi dati, emerge però un paradosso: il sesso femminile è sempre più presente nei settori a basso reddito e ha sempre più difficoltà a ottenere posizioni di responsabilità e manageriali: in media le donne guadagnano oltre il 16 per cento in meno rispetto agli uomini.
  Per queste ragioni, la Commissione europea ha adottato un Piano d'azione per il triennio 2017-2019 per affrontare il problema del divario retributivo di genere, di cui alla comunicazione COM(2017) 678 final, del 20 novembre 2017.
  La linea che si sta seguendo, nella maggior parte dei casi, è quella della trasparenza retributiva come veicolo di cambiamento, nella convinzione che rendere noto il divario sia di per sé un incentivo a sanarlo.
  Una legislazione che garantisca l'uguaglianza salariale esiste già in diversi Paesi:

   in Islanda le aziende e gli uffici pubblici con più di 25 dipendenti devono dimostrare che le donne ricevono lo stesso compenso dei loro colleghi uomini;

   in Francia la legge prevede un software-spia da inserire nei sistemi informatici delle aziende con più di 50 dipendenti per scoprire le discriminazioni di genere, imponendo multe a quelle che non rispettano la parità salariale;

   in Germania una legge obbliga le aziende con più di 200 dipendenti (in Germania sono 18.000) a rendere pubblico quanto viene retribuito un dipendente a parità di mansioni;

   nel Regno Unito le società con oltre 250 dipendenti (34 per cento della forza lavoro inglese) devono pubblicare annualmente i dati sugli stipendi e sui bonus di uomini e donne;

   in Belgio nel 2012 è stata approvata una legge che obbliga le imprese con più di 50 dipendenti a redigere ogni due anni un rapporto e, se vi sono disparità, a definire un piano d'azione che risolva il problema.

  In Italia, l'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, prevede per le aziende pubbliche e private con oltre 100 dipendenti l'obbligo di redigere un rapporto, almeno ogni due anni, sulla situazione del personale maschile e femminile; questo rapporto viene poi trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionali responsabili in tema di parità.
  Secondo l'Eurostat nel 2016 il divario retributivo di genere in Italia, se si confronta la retribuzione lorda oraria media, è stato del 5,5 per cento (quello dell'Unione europea del 16,3 per cento); l'Italia, quindi, sarebbe fra i Paesi in cui si registrano le minori differenze di reddito tra le donne e gli uomini.
  In realtà l'indicatore del gender pay gap adottato a livello europeo si basa sulla differenza del salario orario medio di uomini e donne, senza tenere conto di tutte le differenze che caratterizzano il lavoro dei due sessi. Il pay gap è calcolato senza tenere conto dell'insieme dei fattori che lo influenzano, come il grado di istruzione, le ore lavorate, il tipo di attività svolta, i bonus, i benefit, i premi di produzione percepiti.
  Il Global Gender Gap Report 2017, redatto dal World Economic Forum, analizza il progresso verso la parità dei sessi in 144 Paesi, prendendo in considerazione quattro tematiche (partecipazione alla vita economica e opportunità lavorative; conseguimento dell'istruzione; salute e sopravvivenza; responsabilizzazione politica).
  Nella classifica del Global Gender gap Report 2017 la Francia è risultata undicesima, la Germania dodicesima, il Regno Unito quindicesimo e il Canada sedicesimo. L'Italia è scesa all'ottantaduesimo posto, dietro alla Grecia. Nel 2015 era al quarantunesimo posto e nel 2016 al cinquantesimo.
  Oggi l'Italia è tra i Paesi con la maggiore differenza salariale di genere, un aspetto cruciale delle disuguaglianze per le donne nel mercato del lavoro: manca, quindi, una parità effettiva, a partire dal lavoro.
  Oltre a un indubbio problema di quantità dell'occupazione femminile, c'è anche un problema di qualità dell'occupazione. Nel 2016, l'80 per cento dei dipendenti uomini è stato assunto a tempo pieno e indeterminato. Per le donne la percentuale è stata pari al 57 per cento, quindi inferiore di oltre venti punti percentuali.
  Sui posti di lavoro l'azione per la riduzione del gender pay gap va fatta agendo su tutti i fattori che lo alimentano: segregazione occupazionale, sottoinquadramento delle donne rispetto alle loro qualifiche, tetti di «cristallo» alle loro carriere.
  Sul piano reale le donne scontano il lavoro di cura familiare, non accedendo a straordinari e carriera e usufruendo in maggior misura di part time e di congedi di maternità, nonché svolgendo lavori atipici.
  Nelle aziende dove si applica il contratto nazionale non c'è una differenza salariale, ma non in tutte le aziende viene applicato e le differenze si creano in tanti modi, a partire dall'imposizione del part time, che supera ormai il 60 per cento, dalla difficoltà di carriera e dagli avanzamenti professionali osteggiati, soprattutto per il timore della maternità, che viene ancora oggi considerata un ostacolo anziché un valore sociale.
  L'Italia è all'avanguardia dal punto legislativo (la «legge Anselmi» sul divieto di discriminazione nel lavoro risale al 1977) e i rapporti aziendali sulla situazione occupazionale di genere costituiscono un importante strumento conoscitivo, fornendo dati sulla condizione del personale maschile e femminile in ciascuna professione e in relazione all'assunzione, alla formazione, alla promozione professionale, ai livelli, ai passaggi di categoria o di qualifica, ad altri fenomeni di mobilità, all'intervento della cassa integrazione guadagni, ai licenziamenti, ai prepensionamenti e pensionamenti, nonché alla retribuzione effettivamente corrisposta.
  A partire dal maggio 2018 il citato rapporto aziendale non dovrà più essere inviato in modalità cartacea, ma sarà pubblicato nel sito internet istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, rendendo più snello ed efficace un meccanismo che risultava farraginoso, ma l'applicazione della legge Anselmi solo alle aziende con oltre 100 dipendenti rende di nicchia la legge, dal momento che aziende di queste dimensioni sono meno del 5 per cento dell'intero sistema industriale.
  È necessario, dunque, estendere l'applicazione della legge Anselmi alle aziende con oltre 25 dipendenti, in modo da consentire un effettivo controllo e il monitoraggio delle situazioni aziendali ai fini della corretta applicazione del principio antidiscriminatorio e di promozione di azioni positive e di pari opportunità nei contesti lavorativi.
  Questo è il senso della presente proposta di legge, che modifica il comma 1 dell'articolo 46 del codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di riduzione del gender pay gap.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

  1. Al comma 1 dell'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, le parole: «che occupano oltre cento dipendenti» sono sostituite dalle seguenti: «che occupano oltre venticinque dipendenti».