• C. 526 EPUB Proposta di legge presentata il 17 aprile 2018

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Atto a cui si riferisce:
C.526 Modifica all'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e altre disposizioni in materia di disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali


FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 526

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
DAVIDE CRIPPA, DE TOMA, RACHELE SILVESTRI, VALLASCAS

Modifica all'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e altre disposizioni in materia di disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali

Presentata il 17 aprile 2018

  Onorevoli Colleghi! — Le norme di liberalizzazione degli orari e delle aperture degli esercizi commerciali introdotte dapprima dall'ultimo Governo Berlusconi, in via sperimentale, con la manovra correttiva dell'agosto 2011 e successivamente confermate, in via definitiva, dal Governo Monti nell'ambito della «manovra Salva Italia» varata con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, si sono rivelate fallimentari. Tali norme infatti sono state introdotte all'interno di un quadro anticrisi ma, dopo anni dalla loro entrata in vigore, possiamo senza dubbio affermare che non abbiano avuto gli effetti sperati, per il semplice fatto che, soprattutto in un periodo di recessione in cui la disponibilità economica delle famiglie e dei consumatori si riduce, come hanno ben potuto verificare gli stessi esercenti, non basta allungare gli orari dei negozi per aumentare il fatturato.
  L'aspetto problematico della questione, a cui questa proposta di legge intende porre riparo, non è tanto l'inefficacia delle misure sotto l'aspetto del sostegno all'economia, quanto purtroppo il danno che si è creato sotto il profilo della conflittualità nella ripartizione della competenza sulla materia tra lo Stato e le regioni, con la presentazione di numerosi ricorsi finiti davanti alla Corte costituzionale, nonché sotto il profilo della tutela dei diritti dei lavoratori e, non da ultimo, sotto il profilo di un vero danno economico nei confronti dei piccoli commercianti, che hanno subìto sulla loro pelle gli effetti della disapplicazione dell'articolo 41 della Costituzione, il quale ha inteso moderare il principio di libera iniziativa economica con un dettato magistrale: «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
  La liberalizzazione prevista dal «decreto Monti», dunque, esce fuori dal dettato costituzionale nella misura in cui, non operando alcuna distinzione tra piccoli e grandi esercenti, li pone in condizione di concorrenza diretta e spietata, senza mediazione alcuna. La conseguenza di questa deregulation è infatti che gli operatori della grande distribuzione competono tra loro incidendo sulla tutela dei lavoratori e costringendo il personale a turni massacranti e senza scelta, anche nei giorni festivi, persi in quello che non si può fare altro che definire come ricatto occupazionale. Si vuole far presente come venga riconosciuto, secondo la sentenza n. 16592 del 2015 della sezione lavoro della Corte suprema di cassazione, «al lavoratore il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione» delle festività.
  Dal canto loro, i piccoli esercenti invece, che non possono contare su una risorsa di personale altrettanto consistente, soccombono alla concorrenza. Ma il principio della libera concorrenza non può soverchiare una serie di altri diritti e princìpi costituzionali, tra cui quello delle pari opportunità. Il risultato di questa concorrenza da far-west è la chiusura dei piccoli esercizi, con una desertificazione dei centri storici e dei quartieri più periferici che è sotto gli occhi di tutti. Secondo i dati della Confcommercio, tra il 2008 e il 2017, solo nel settore della distribuzione commerciale, sono spariti quasi 59.000 negozi, con un vistoso crollo delle aperture di nuove attività.
  Ormai da diversi anni si sono susseguite critiche al citato decreto-legge n. 201 del 2011 e alla conseguente liberalizzazione delle aperture domenicali da parte di associazioni di categoria e comitati locali; anche la Confesercenti ha confermato la propria contrarietà al provvedimento, soprattutto con riferimento alle aperture domenicali e nei giorni festivi. Tale posizione è stata più volte ribadita dall'associazione e nel 2013 rafforzata dalla campagna «Libera la Domenica», sostenuta anche da comitati popolari come «Domenica No Grazie».
  La presente proposta di legge si propone dunque di ricondurre la competenza legislativa e la potestà regolamentare nel settore del commercio alle regioni e agli enti locali, ai quali spetta il compito di una pianificazione della turnazione delle festività lavorative che non ricada pesantemente sui diritti dei lavoratori e che tuteli contemporaneamente i diritti dei consumatori.
  L'ambito di applicazione delle disposizioni proposte è determinato con riferimento a tutti gli esercizi commerciali, comprese le forme speciali di vendita al dettaglio e legate all’e-commerce di cui all'articolo 4, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114. Si intende, quindi, che nei giorni festivi il consumatore potrà continuare a collegarsi ai siti di e-commerce, scegliere e completare l'ordine di un prodotto, ma dovrà essere chiaro che l'attività commerciale in questione, se si svolge in Italia, non sarà esercitata in alcune delle sue fasi. Sono invece escluse le attività di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 114 del 1998, e le attività di somministrazione di alimenti e bevande.
  Si provvede conseguentemente all'abolizione delle liberalizzazioni introdotte dal Governo Monti, ripristinando la situazione precedente, con un ritorno alla liberalizzazione completa per i soli esercizi ricadenti nei comuni a carattere turistico.
  Al fine di contemperare l'interesse dei consumatori e la tutela dei diritti dei lavoratori del commercio, in tutte le altre zone invece saranno le regioni, di comune accordo con gli enti locali e sentito il parere dei comitati locali e delle organizzazioni di categoria, dei lavoratori e dei consumatori, a definire un piano delle aperture domenicali e festive che, ai sensi dei commi 3 e 5 dell'articolo 1, preveda, in ogni comune, un 25 per cento degli esercizi aperti per settore merceologico, nonché un numero massimo di dodici festività lavorative annue per singolo esercizio commerciale su un modello che è già stato sperimentato con successo a Modena.
  È stabilito inoltre un congruo termine affinché le regioni possano avviare le concertazioni tra le parti interessate alla redazione e all'entrata a regime del piano delle aperture festive (comma 6).
  L'articolo 2 prevede, infine, un osservatorio che monitori gli effetti della nuova legge.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Disciplina dell'apertura festiva
degli esercizi commerciali).

  1. La lettera d-bis) del comma 1 dell'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, è sostituita dalla seguente:

   «d-bis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio, che svolge un'attività commerciale come individuata dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte».

  2. L'articolo 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, è abrogato.
  3. Fermo restando quanto previsto dal comma 4 del presente articolo, per gli esercizi che svolgono attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, ubicati fuori dei comuni di cui alla lettera d-bis) del comma 1 dell'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come da ultimo sostituita dal comma 1 del presente articolo, le regioni, d'intesa con gli enti locali e sentito il parere dei comitati locali e delle organizzazioni di categoria, dei lavoratori e dei consumatori, adottano un piano per la regolazione dei giorni di apertura, il quale deve prevedere turni a rotazione per l'apertura degli esercizi medesimi nelle domeniche e negli altri giorni festivi.
  4. Le attività di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e le attività di somministrazione di alimenti e bevande non sono soggette ad alcun obbligo di chiusura domenicale o festiva.
  5. Il piano per la regolazione dei giorni di apertura di cui al comma 3 prevede per ogni comune l'apertura del 25 per cento degli esercizi commerciali per ciascun settore merceologico in ciascuna domenica o giorno festivo, comunque non oltre il massimo annuo di dodici giorni di apertura festiva per ciascun esercizio commerciale.
  6. Le regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni di cui al presente articolo entro il 31 dicembre 2018.

Art. 2.
(Osservatorio sulle aperture
domenicali e festive).

  1. Dal 1° gennaio 2019 è istituito, presso il Ministero dello sviluppo economico, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un osservatorio con il compito di verificare gli effetti della regolazione delle aperture domenicali e festive prevista dalle disposizioni di cui alla presente legge.
  2. L'osservatorio è composto da dieci membri, di cui quattro funzionari del Ministero dello sviluppo economico, due rappresentanti delle organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, due rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative e due rappresentanti delle organizzazioni dei consumatori maggiormente rappresentative.
  3. Ai componenti dell'osservatorio non è corrisposto alcun emolumento, compenso o rimborso di spese.