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Atto a cui si riferisce:
C.1161 Modifica all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, in materia di armonizzazione del trattamento economico del personale di magistratura nei casi di congedo straordinario e di aspettativa per malattia


FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1161

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato FERRI

Modifica all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, in materia di armonizzazione del trattamento economico del personale di magistratura nei casi di congedo straordinario e di aspettativa per malattia

Presentata il 13 settembre 2018

  Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge intende porre rimedio alla disparità di trattamento esistente tra i magistrati della Repubblica e le altre categorie del pubblico impiego in caso di congedo straordinario o di malattia.
  La Costituzione tutela la salute sia come diritto fondamentale della persona (articolo 32), sia stabilendo il diritto a mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di inabilità al lavoro e mancanza dei mezzi necessari per vivere (articolo 38).
  L'articolo 3 della legge n. 27 del 1981 («Provvidenze per il personale di magistratura») ha istituito a favore dei magistrati ordinari, «in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività», un'indennità non pensionabile da corrispondersi in rate mensili, «con esclusione dei periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di assenza obbligatoria o facoltativa prevista negli articoli 4 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa» (testo originario).
  Salvo qualche limitato intervento successivo l'impianto normativo è rimasto quello originario e, dopo oltre trentasette anni, persistono anacronismi non più tollerabili.
  L'assenza per malattia del magistrato configura – a legislazione vigente – un'ipotesi di congedo straordinario o di aspettativa (si vedano gli articoli 37, 66 e 68 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957), tanto che la cosiddetta «indennità giudiziaria» non è in tali casi computata nel trattamento economico, sulla base di una ritenuta correlazione tra la corresponsione dell'indennità e il concreto esercizio delle funzioni.
  Lo studio dei lavori parlamentari dell'epoca porta invece a comprendere che l'introduzione dell'indennità aveva lo scopo di incrementare lo stipendio dei magistrati in quanto ritenuto inadeguato rispetto al trattamento riservato ad altri pubblici dipendenti. Il pericolo del terrorismo metteva a dura prova le istituzioni e tuttavia l'indennità non era considerata una remunerazione per i rischi connessi alla funzione svolta (si confronti il resoconto stenografico dei lavori che riportava: «Non si concretizza certamente l'abominevole disegno, temuto o peggio denunciato da alcuni con pessimo gusto e deprecabile atteggiamento, di barattare il sangue dei giudici assassinati dai terroristi con una manciata di soldi»).
  Vi era stata la presa d'atto che i carichi di lavoro erano tanto ingenti da imporre di dedicarsi ad essi anche nelle ore serali e spesso nei giorni festivi (si confrontino le dichiarazioni del senatore Filetti nel corso della discussione del 29 gennaio 1981 sull'approvazione del disegno di legge atto Senato n. 1261 dell'VIII legislatura). Si trattava dunque di «un recupero, almeno parziale, del perduto potere d'acquisto delle retribuzioni dei magistrati(...) alle prese con incombenze a dir poco sempre meno gratificanti e sempre più stressanti» (così si esprimeva l'allora Ministro di grazia e giustizia onorevole Sarti).
  La giurisprudenza amministrativa, fin dall'inizio, attribuì all'indennità una natura retributiva, sganciandola dagli oneri inerenti allo svolgimento della funzione, e sulla base di questo principio l'indennità è stata estesa anche alle altre magistrature. In particolare, con la legge 6 agosto 1984, n. 425, tale indennità è stata attribuita, con decorrenza dal 1° gennaio 1983, ai magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, dei tribunali amministrativi regionali e della giustizia militare, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato. Successivamente, la legge 22 giugno 1988, n. 221, ha esteso la suddetta indennità, a decorrere dal 1° gennaio 1988, al personale dirigente (e qualifiche equiparate) delle cancellerie e segreterie giudiziarie.
  La Corte costituzionale, nel rigettare la questione di legittimità dell'articolo 3 della legge n. 27 del 1981, non ha proposto, invero, l'argomento secondo cui la corresponsione dell'indennità sarebbe certamente collegata all'effettivo esercizio delle funzioni, laddove, per altro verso, è palese la contraddizione del testo normativo che, contemporaneamente, da un lato esclude la pensionabilità dell'indennità in esame e dall'altro la sottopone a un adeguamento periodico contestuale a quello dello stipendio.
  Appare quindi del tutto ragionevole riconoscere che l'indennità giudiziaria, istituita in via precaria e pertanto con l'intento dichiarato di predisporre in seguito una disciplina organica («Fino all'approvazione di una nuova disciplina(...)», così recita l’incipit dell'articolo 3), si è stratificata – nei decenni a seguire – come un elemento costitutivo della retribuzione del magistrato.
  L'indennità in questione è infatti identica per tutti, a prescindere dalle concrete funzioni svolte, e incide in modo assolutamente non trascurabile sul risultato mensile finale.
  È poi accaduto che in occasione della legge finanziaria del 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311) il Ministro per le pari opportunità (onorevole Prestigiacomo) ha chiesto di inserire un emendamento con il quale – finalmente – si riconosceva l'indennità alle madri magistrato in astensione obbligatoria. Nella relazione della legge finanziaria si indica espressamente, nel commento all'articolo 1, che la disposizione di cui al comma 325 «è intesa a riconoscere la speciale indennità prevista per il personale in magistratura dall'articolo 3 legge n. 27 del 1981 anche durante il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, e ciò per eliminare una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla generalità delle lavoratrici madri delle pubbliche amministrazioni con riferimento al trattamento accessorio fisso e continuativo».
  Con la legge n. 311 del 2004 è stata dunque riconosciuta la corresponsione dell'indennità giudiziaria alle donne magistrato in astensione obbligatoria per maternità. Adesso è giunto il momento, non più rinviabile, di compiere il successivo passo di armonizzazione attraverso il riconoscimento dell'indennità giudiziaria anche durante i periodi di malattia, rientrando nella discrezionalità del legislatore stabilire la concreta misura del trattamento spettante per ognuna delle ipotesi giustificate di assenza dal lavoro.
  Allo stato risulta discriminatorio attribuire l'indennità giudiziaria in caso di interdizione per un ritenuto pregiudizio alla salute del magistrato in gravidanza e non pagarla, invece, nel caso di una grave malattia.
  Anche nel caso di gravidanza a rischio l'indennità giudiziaria viene regolarmente percepita (articoli 16 e 17 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001), mentre ciò non accade nel caso in cui l'assenza sia dovuta a patologie gravi come, ad esempio, quelle oncologiche, non sussistendo neppure alcuna graduazione in base all'invasività del male sofferto.
  L'attuale assetto normativo deve essere pertanto modificato poiché esso è estremamente penalizzante laddove determina un'assai rilevante decurtazione economica come conseguenza di un evento sicuramente non imputabile al magistrato e che reca pregiudizio a un bene costituzionalmente tutelato come la salute.
  L'articolo 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 («Assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, limita inoltre ai soli primi dieci giorni di assenza la decurtazione della retribuzione per le indennità «accessorie». Si tratta di una norma valida per tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni che non viene applicata ai magistrati.
  Il CCNL del comparto Ministeri prevede, poi, che per le malattie superiori a quindici giorni lavorativi al dipendente compete anche il trattamento economico accessorio e in particolare l'indennità di amministrazione (nella quale è stata compresa l'indennità giudiziaria).
  Ne deriva una grave disparità di trattamento tra i magistrati e il personale appartenente ai ruoli delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie, i quali conservano l'emolumento qualora la malattia si protragga per un periodo superiore a quindici giorni lavorativi.
  È evidente che se la decurtazione del trattamento per i soli primi dieci o quindici giorni di malattia può risultare inidonea a determinare una perdita della retribuzione tale da pregiudicarne la sufficienza ai fini delle esigenze di vita, non altrettanto può dirsi nel caso in cui la trattenuta sia permanente e per di più in una percentuale niente affatto esigua.
  Quella dei magistrati è una categoria che per sua natura non può essere sottoposta a contrattazione collettiva. È quindi unicamente al legislatore e alla politica che compete prevedere non già un beneficio ma un atto di giustizia e di civiltà giuridica, riparametrando il sistema normativo delle tutele con una disciplina generale e senza discriminazioni di ruoli.
  Il personale di magistratura è una categoria che subisce, nel caso di malattie, anche gravi e prolungate, significative e ingiustificate riduzioni del trattamento economico consistenti nella mancata corresponsione dell'indennità giudiziaria.
  Ovviare a una tale sperequazione sarebbe la prova tangibile che ciò che è stato omesso in questi lunghi decenni non può più essere ascrivibile, nemmeno in minima parte, alla storia dei tormentati rapporti tra politica e magistratura.
  Per i periodi di malattia l'indennità deve essere quindi concessa con la sola esclusione nei primi dieci giorni di assenza, in cui opererà inderogabilmente anche per i magistrati la decurtazione prevista dal citato articolo 71 del decreto-legge n. 112 del 2008.
  Per quanto concerne la durata massima dell'assenza per infermità, trovano attuazione le disposizioni del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, la cui applicabilità discende dalla norma di rinvio prevista dall'articolo 276 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto n. 12 del 1941.
  Anche dal punto di vista dell'impegno finanziario occorre sgombrare il campo da un possibile errore di valutazione (contenuto nell'articolo 2 del disegno di legge n. 2881, presentato al Senato della Repubblica nella scorsa legislatura, primo firmatario il senatore Falanga, poi ritirato).
  La presente proposta di legge non comporta alcuna necessità di reperire fondi di copertura. Le somme occorrenti, infatti, sono già esistenti nei capitoli di bilancio di relativa competenza. Il numero dei magistrati nel nostro ordinamento è fissato per legge e pertanto il trattamento retributivo già fa parte della previsione di spesa di ogni Ministero.
  Nella situazione attuale la malattia del magistrato si traduce non certo in un aggravio di spesa quanto, paradossalmente, in un risparmio legato a circostanze del tutto imprevedibili: infatti la parte datoriale non interrompe mai con immediatezza la corresponsione dell'indennità, a conferma del fatto che le somme sono già stanziate e disponibili, salvo poi procedere in un secondo momento al conguaglio attraverso l'istituto dell'addebito a rimborso.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

  1. Al primo comma dell'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, le parole: «con esclusione dei periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa,» sono sostituite dalle seguenti: «con esclusione dei periodi di aspettativa o di congedo straordinario per causa diversa da infermità o dalla fruizione di permessi ai sensi dell'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché dei periodi».