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Atto a cui si riferisce:
C.1313 Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie


FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1313

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
GELMINI, SISTO, CALABRIA, MILANATO, RAVETTO, SANTELLI, SILLI, SORTE, TARTAGLIONE

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie

Presentata il 26 ottobre 2018

  Onorevoli Colleghi! – L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato, in occasione del summit sullo sviluppo sostenibile del 25-27 settembre 2015, l’«Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile», composta da diciassette obiettivi ambiziosi e universali per trasformare il nostro pianeta.
  La finalità di sviluppo sostenibile 11 consiste nel «Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili» ed è articolata in dieci obiettivi, che vanno dall'assicurare a tutti alloggi adeguati e l'accesso ai trasporti pubblici e ad una urbanizzazione inclusiva e sostenibile, alla tutela del patrimonio culturale e naturale, nonché alla salvaguardia delle città dai cambiamenti climatici.
  All'interno di uno spazio urbano, le periferie, che comprendono aree della città più o meno densamente popolate, rappresentano sicuramente la situazione urbanistica e sociale più complessa e talvolta di maggiore criticità.
  In Italia almeno quindici milioni di persone vivono in aree soggette a degrado situate nelle aree periferiche, ma anche centrali, delle città metropolitane, che negli ultimi quindici anni si sono profondamente degradate comportando anche un significativo peggioramento delle condizioni di vita di chi vi risiede.
  L'invecchiamento della popolazione, la sempre maggiore presenza di stranieri e la crisi demografica congiuntamente alla crisi economica iniziata nel 2007, che hanno avuto effetti negativi sul benessere delle persone e sulla finanza pubblica, sono i maggiori fattori che hanno contribuito e contribuiscono al peggioramento della qualità della vita nelle periferie.
  Con l'eccezione di Milano, le città italiane invecchiano e decrescono demograficamente. Ci sono sempre meno giovani. Con un tasso di fertilità pari a 1,37 per cento, l'Italia è uno dei Paesi in cui si nasce di meno. Nel contempo, negli ultimi venticinque anni sono arrivati in Italia circa 6.000.000 di stranieri e si stima una presenza di circa 700.000 stranieri irregolari, che sono «invisibili» per la legge italiana e quindi si trasformano in manodopera a disposizione dell'economia illegale e illecita.
  Le persone anziane si trovano a vivere in una situazione di solitudine e di povertà in zone della città dove gli edifici sono in stato di degrado, i servizi di trasporto e di assistenza sanitaria e sociale sono molto più carenti che in centro e la presenza degli stranieri rende difficile la convivenza.
  L'assenza di decoro del patrimonio pubblico e privato genera il degrado e l'illegalità.
  Le periferie sono luoghi in cui si è disinvestito in servizi e in qualità della vita.
  Nell'immaginario collettivo la periferia «tipo» è dunque caratterizzata, in modo più o meno accentuato, da fenomeni di degrado, di marginalità, di disagio sociale, di criminalità, di insicurezza e di povertà.
  Le periferie, tuttavia, sono una realtà ben più complessa e articolata, come dimostra la presenza di tante associazioni di cittadini volte a promuovere un miglioramento delle condizioni di vita in queste aree. In alcuni casi le periferie sono il risultato di una città che si espande e che ingloba comuni, frazioni di comuni o aree agricole e di verde abitate da persone nate lì o che vi si sono trasferite come scelta di vita. In altri casi le periferie sono aree residenziali prestigiose e dotate di servizi, zone ricercate da persone singole e dalle famiglie perché relativamente lontane dal caos della città, che possono contare su una serie di servizi essenziali (scuole, cinema, trasporti, supermercati e altro) e sono inserite e circondate dal verde. In altri casi ancora, le periferie sono il risultato di un processo di urbanizzazione residenziale che ha avuto inizio decenni or sono, con immobili di vaste dimensioni (ad esempio, Scampia a Napoli, Zen 1 e 2 a Palermo, Corviale a Roma, le Dighe a Genova, San Paolo a Bari) pensati come dormitori per una popolazione di fascia medio-bassa in termini economici, nonché come luoghi circoscritti ai margini della città dove far risiedere persone non completamente integrate nella società o considerate un pericolo per la tranquillità della stessa.
  Le periferie sono, però, anche i luoghi dove, per lo spazio disponibile e per la prossimità a grandi reti stradali, per scelta, si localizzano numerose attività produttive, anche di grandi dimensioni, non solamente italiane, nonché centri commerciali, logistici, industriali e di ricerca e innovazione quali, ad esempio, le sedi decentrate di università, alla ricerca di grandi spazi dove sia possibile costruire ex novo e non adattare gli interni di immobili esistenti situati nelle zone centrali della città.
  Inoltre, da alcuni anni, nelle aree periferiche si registra sempre più la presenza di altre tipologie di residenti, spesso del ceto medio, che si trasferiscono a causa del costo della vita, unito a basi stipendiali sostanzialmente rimaste immutate e a un mercato del lavoro mutevole e non stabile, nonché all'alto costo per l'acquisto di un'abitazione in un'area centrale o semicentrale della città.
  Per tutte queste ragioni le periferie non possono essere descritte unicamente come luoghi di stazionamento dell'immigrazione irregolare, di campi di rom e di persone senza fissa dimora che si dedicano alla criminalità predatoria, quali furti in abitazione, furti di autoveicoli e su veicoli in sosta, scippi e borseggi. Le periferie non possono neanche essere descritte solo come luoghi di occupazione abusiva di immobili, pubblici e privati, da parte prevalentemente di stranieri e dove sono presenti baracche abusive occupate da soggetti di etnia varia che senza alcuna igiene accumulano e vivono tra i rifiuti; una situazione che comunque esiste ed è riscontrabile in molte città, sulla quale i sindaci intervengono (non sempre) con ordinanze di sgombero ai fini della messa in sicurezza dell'area e della sua riqualificazione.
  La riqualificazione di queste aree appare dunque essenziale per migliorare la qualità di vita dei residenti offrendo loro servizi, un efficace controllo da parte delle Forze dell'ordine, scuole, aree verdi e palazzi condominiali che non rappresentino, nella loro forma e ampiezza, il segnale più evidente che si è in un'area di minor benessere sociale e di maggior emarginazione.
  Infatti, l'insediamento periferico non adeguatamente presidiato con servizi pubblici funzionali o istituzionali determina una flessione negativa per quanto concerne la sicurezza, l'ordine pubblico e l'integrazione della popolazione non italiana. Tutto ciò facilita l'inserimento e il consolidarsi di pericolose situazioni di illegalità, quali l'insediamento di gruppi criminali (vendita di stupefacenti e ricettazione) e la presenza di forme di abusivismo (occupazione di immobili e realizzazione di edifici abusivi, circostanze che possono determinare situazioni ingestibili).
  In tutte le grandi città italiane le scelte architettoniche di pianificazione delle periferie compiute tra gli anni ’70 e ’80 per affrontare l'emergenza abitativa, invece di risolvere i problemi li hanno aggravati. Così, in questi luoghi si sono venute concentrando fragilità economiche e sociali e oggi sono ambiti che si caratterizzano per la presenza di clandestini e per la diffusione di occupazioni abusive e di economia illecita.
  La gran parte del milione circa di alloggi popolari oggi esistenti in Italia, spesso gestiti male da enti «carrozzoni», si trova proprio in queste aree periferiche e questa situazione è ulteriormente aggravata dalle occupazioni abusive di immobili pubblici e privati e di «case popolari», che è un fenomeno diffuso da nord a sud con percentuali di occupazioni che, specialmente nel centro e nel sud Italia, toccano punte quasi del 100 per cento, come a Palermo.
  Le occupazioni abusive nelle grandi città sono in mano a gruppi e a organizzazioni criminali di italiani e di stranieri. Sono un'ingiustizia nei confronti di chi ha effettivamente bisogno. Si tratta di un vero e proprio «commercio» della casa popolare, con gravissimo pregiudizio per le fasce più deboli e anziane della popolazione.
  Le occupazioni abusive, e la loro accettazione e tolleranza da parte di una certa cultura di sinistra, rappresentano il fallimento delle politiche per la casa, che non riescono a intervenire sul crescente fabbisogno abitativo di edilizia residenziale pubblica, che aumenta per effetto dell'impoverimento delle famiglie italiane.
  In queste aree, inoltre, la crisi dell'economia legale dei negozi di vicinato, in cui si esercitavano il commercio, l'artigianato e la socialità tradizionale, ha lasciato spazio a fenomeni economici segnati dall'illegalità, quali spaccio, prostituzione, commercio abusivo, laboratori clandestini, gioco d'azzardo e phone center.
  A tutto ciò va aggiunto che in queste aree periferiche è spesso rilevabile anche un forte degrado ambientale, con discariche a cielo aperto, roghi di materiali e smaltimento illegale di rifiuti. Attività, queste ultime, che spesso si svolgono in prossimità dei campi di rom – alcune decine in ogni città – diffusi soprattutto a Roma, Milano, Napoli e Torino. Alcuni sono regolari e altri irregolari. Gli insediamenti di rom a ridosso di zone periferiche già segnate da forti criticità generano un clima sociale esplosivo. Da alcuni anni l'attività principale che si svolge nei campi è il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, che avviene attraverso «roghi» tossici che creano un gravissimo pregiudizio alla salute della popolazione residente nelle aree limitrofe.
  Rimane drammatico, ed è un ostacolo all'integrazione, il fenomeno della dispersione scolastica, che riguarda circa l'80 per cento dei bambini in obbligo scolastico che vivono nei campi di rom.
  Le politiche nazionali per la sicurezza e l'integrazione tendono a coinvolgere le istituzioni locali offrendo il massimo della collaborazione, anche attraverso la realizzazione di «patti per la sicurezza urbana», e in particolare realizzando il programma «periferie sicure».
  Le politiche europee mirano alla «rigenerazione urbana, ovvero l'insieme di programmi complessi che privilegiano l'intervento in comprensori già costruiti al fine di rendere vivibile e sostenibile lo spazio urbano, di soddisfare la domanda abitativa e di servizi, di accrescere l'occupazione e migliorare la struttura produttiva metropolitana, di rassicurare la maggior parte della popolazione che risiede proprio nelle aree periferiche». Ciò anche perché lo sviluppo economico e sociale di una nazione è legato alla crescita di grandi aree metropolitane, che ormai nel mondo sono il luogo dove si produce la maggior parte del prodotto interno lordo.
  La Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato della sicurezza e del degrado delle città italiane e delle loro periferie, istituita con deliberazione della Camera dei deputati del 27 luglio 2016, ha compiuto un primo passo verso «un integrale ripensamento delle politiche urbane, che sono oggi in gran parte connesse con la rigenerazione delle aree periferiche» e ha rilevato la necessità di «coordinare le varie responsabilità istituzionali per ripensare ai programmi di intervento, anche sulla base di quanto finora realizzato, a partire dai primi programmi Urban e Urbact, poi dai Contratti di quartiere, dal Piano Città del 2012, dal Piano Nazionale per la Riqualificazione e Rigenerazione delle Aree Urbane, e dal Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia».
  Per tale Commissione parlamentare, l'Istituto nazionale di statistica aveva elaborato quattro indici georeferenziati che davano conto della popolazione insediata nelle zone dove si registravano i più elevati valori di disagio.
  Dal complesso dei dati elaborati emerge che il 33,8 per cento dei residenti nei capoluoghi metropolitani vive in quartieri dove c'è una significativa presenza di famiglie con potenziale alto disagio economico. L'incidenza di tali famiglie è variabile fra l'1 e il 3 per cento nel nord, fino al 4 e al 14 per cento nel Mezzogiorno, con punte massime a Napoli, Palermo e Catania.
  Altrettanto rilevante è la quota di residenti metropolitani, pari al 37,5 per cento in quartieri dove si manifesta una significativa presenza di famiglie a elevata vulnerabilità sociale e materiale, quale sintesi di sette diversi indicatori. I valori massimi si registrano a Messina, dove il 51,6 per cento della popolazione vive a stretto contatto con famiglie in condizioni di forte deprivazione sociale.
  La disoccupazione e l'assenza di un'economia di crescita, soprattutto al sud nei quartieri delle periferie artificiali realizzati negli anni ’60 e ’70 (ad esempio, Scampia, Zen, San Paolo), sono il terreno di coltura della criminalità. Ciò anche in conseguenza della scelta compiuta dalle istituzioni di concentrare le persone in zone dove non c'erano attività economiche di produzione e di commercio e dove l'offerta di servizi di trasporto, scolastici, culturali, sanitari e assistenziali era di bassa qualità.
  La conseguenza è che in queste aree la disoccupazione giovanile supera il 50 per cento ed è il terreno ideale per reclutare la manovalanza da parte della piccola e della grande criminalità organizzata.
  Il complesso di questi dati rafforza l'opportunità di individuare con chiarezza le aree critiche su cui si è inteso e si intende operare e con quali modalità e risorse finanziarie, per superare le scarse condizioni di sicurezza e lo stato di degrado delle città e delle loro periferie.
  Sarebbe, inoltre, necessario avere una visione completa della situazione esistente al fine di adottare un programma tipo, riproducibile e adattabile, che possa, da un lato, integrare le politiche urbane e di rinnovo edilizio con l'intervento sociale e per la sicurezza dei cittadini e, dall'altro, evitare errori passati, nonché la sovrapposizione o l'approvazione di interventi con scarse o limitate ricadute in termini sociali, che poco o nulla giovano alle periferie.
  Per tutte le situazioni e i motivi esposti, si ritiene che per incidere efficacemente sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie sia necessario proseguire nel lavoro avviato nella scorsa legislatura, istituendo una Commissione parlamentare di inchiesta.
  Giova ricordare che, come ben si espresse la Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato della sicurezza e del degrado delle città italiane e delle loro periferie nella sua relazione conclusiva, approvata nella seduta del 14 dicembre 2017 (Doc. XXII-bis n. 19, XVII legislatura), è «indispensabile rafforzare gli strumenti parlamentari e governativi per promuovere e gestire le politiche urbane». A tale riguardo, suggerì al Parlamento di «rendere permanente l'esperienza utilmente sperimentata (...) istituendo nella XVIII legislatura una Commissione bicamerale per le città e le periferie».
  Per rafforzare le finalità di tale proposta, con il presente progetto di legge si istituisce una Commissione parlamentare di inchiesta finalizzata ad affrontare i problemi relativi alle condizioni di sicurezza e allo stato di degrado delle città e delle loro periferie, con l'auspicio che tale iniziativa, alla luce del lavoro svolto in precedenza, possa incontrare l'unanime consenso di tutte le forze politiche.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione, durata e funzioni)

  1. È istituita, per la durata della XVIII legislatura, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie, di seguito denominata «Commissione».
  2. La Commissione ha il compito di:

   a) individuare le aree critiche su cui s'intende operare per accertare lo stato di degrado delle città e delle loro periferie, a partire dalle aree metropolitane, con particolare attenzione alle implicazioni sociali e della sicurezza legate anche a una maggiore presenza di stranieri residenti;

   b) rilevare e classificare l'eventuale stato di degrado e disagio sociale delle periferie delle città, attraverso l'ausilio delle istituzioni, degli enti locali e degli istituti pubblici e privati che si occupano di immigrazione e di povertà;

   c) effettuare un monitoraggio del rischio e delle connessioni che possono emergere tra il disagio delle aree urbane e i fenomeni della radicalizzazione e dell'adesione al terrorismo di matrice religiosa fondamentalista da parte dei cittadini europei figli degli immigrati di prima generazione;

   d) acquisire gli elementi oggettivi e le proposte operative che provengono dalle città nelle quali si è raggiunto un buon livello di integrazione e dove il disagio sociale e la povertà sono stati affrontati con efficaci interventi pubblici e privati;

   e) individuare le aree del territorio nazionale nelle quali ancora persiste il fenomeno dell'abusivismo edilizio, al fine di elaborare le misure più opportune per contrastarlo, avviando piani di recupero dei territori;

   f) individuare programmi finalizzati ad ampliare i servizi di welfare a sostegno delle misure di contrasto della povertà e delle disuguaglianze nelle periferie;

   g) effettuare una ricognizione dello stato dell'edilizia residenziale pubblica, avendo riguardo anche alle risorse a disposizione dei comuni e degli enti casa regionali competenti in materia di abitazione;

   h) accertare l'entità del fenomeno dell'occupazione abusiva degli immobili di edilizia residenziale economica e popolare, nonché di quelli privati, anche al fine di individuare apposite misure di contrasto che consentano il superamento della situazione attuale;

   i) effettuare una ricognizione dei campi di rom regolari e irregolari situati prevalentemente nelle aree periferiche delle città metropolitane, anche ai fini dell'elaborazione di misure di contrasto dello smaltimento illegale di rifiuti mediante l'innesco di roghi e dell'attuazione della Strategia nazionale 2012-2020 d'inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti in attuazione della comunicazione COM(2011)173 della Commissione europea, del 5 aprile 2011, approvata dal Consiglio dei ministri il 24 febbraio 2012;

   l) accertare la distribuzione delle risorse infrastrutturali nel territorio delle aree metropolitane e la situazione della mobilità;

   m) elaborare misure per il sostegno del patrimonio associativo esistente e del ruolo fondamentale che esso svolge a sostegno dei cittadini più deboli nonché del miglioramento e della crescita del tessuto sociale;

   n) individuare misure economiche, infrastrutturali e fiscali per il rilancio delle realtà produttive presenti nei territori delle periferie;

   o) accertare lo stato del degrado e del disagio sociale delle città e delle loro periferie in relazione alla diversa struttura urbanistica e alla densità spaziale, avendo riguardo anche alle diverse tipologie abitative, produttive e dei servizi;

   p) accertare l'offerta formativa complessiva al fine di elaborare, fatta salva l'autonomia scolastica, proposte per il rafforzamento della formazione e della funzione centrale della scuola nel rapporto con il territorio, nonché di migliorare i livelli di istruzione e di contrastare l'abbandono scolastico.

  3. La Commissione riferisce alle Camere con singole relazioni o con relazioni generali e comunque ogniqualvolta ne ravvisi la necessità, eventualmente proponendo interventi, anche di carattere normativo, al fine di rimuovere le situazioni di degrado delle città e delle loro periferie, nonché di attuare politiche per la sicurezza che possano prevenire i fenomeni di reclutamento di terroristi e di radicalizzazione.

Art. 2.
(Composizione)

  1. La Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati, nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.
  2. Il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati, entro dieci giorni dalla nomina dei componenti, convocano la Commissione per la costituzione dell'ufficio di presidenza.
  3. L'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vice presidenti e da due segretari, è eletto dai componenti della Commissione a scrutinio segreto. Per l'elezione del presidente è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti della Commissione; se nessuno riporta tale maggioranza, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. È eletto il candidato che riporta il maggior numero di voti. In caso di parità di voti è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
  4. La Commissione elegge al proprio interno due vice presidenti e due segretari. Per l'elezione, rispettivamente, dei due vice presidenti e dei due segretari, ciascun componente della Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti si procede ai sensi dell'ultimo periodo del comma 3.

Art. 3.
(Poteri e limiti)

  1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
  2. Ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli 366 e 372 del codice penale.
  3. Alla Commissione, limitatamente all'oggetto delle indagini di sua competenza, non può essere opposto il segreto d'ufficio né il segreto professionale o quello bancario, fatta eccezione per il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato. Per il segreto di Stato si applica quanto previsto dalla legge 3 agosto 2007, n. 124.
  4. Qualora gli atti o i documenti attinenti all'oggetto dell'inchiesta siano stati assoggettati al vincolo del segreto da parte delle competenti Commissioni parlamentari di inchiesta, detto segreto non può essere opposto alla Commissione.

Art. 4.
(Acquisizione di atti e documenti)

  1. La Commissione può ottenere, anche in deroga a quanto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti o documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, inerenti all'oggetto dell'inchiesta. L'autorità giudiziaria provvede tempestivamente e può ritardare, con decreto motivato solo per ragioni di natura istruttoria, la trasmissione di copie degli atti e documenti richiesti. Il decreto ha efficacia per trenta giorni e può essere rinnovato. Quando tali ragioni vengono meno, l'autorità giudiziaria provvede senza ritardo a trasmettere quanto richiesto. L'autorità giudiziaria può trasmettere copie di atti e documenti anche di propria iniziativa.
  2. La Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia, ai sensi del comma 1, sono coperti dal segreto.
  3. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono comunque essere coperti dal segreto i nomi, gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.

Art. 5.
(Obbligo del segreto)

  1. I componenti della Commissione, i funzionari e il personale addetti alla Commissione stessa e ogni altra persona che collabora con essa o compie o concorre a compiere atti di inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio sono obbligati al segreto, anche dopo la cessazione dell'incarico, per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti acquisiti al procedimento di inchiesta, di cui all'articolo 4, comma 3.
  2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione del segreto è punita ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.
  3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, le stesse pene si applicano a chiunque diffonda in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali sia stata vietata la divulgazione.

Art. 6.
(Organizzazione interna)

  1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno, approvato a maggioranza assoluta dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei lavori. Ciascun componente può proporre modifiche al regolamento.
  2. La Commissione può organizzare i propri lavori anche attraverso uno o più comitati costituiti secondo il regolamento di cui al comma 1.
  3. Le sedute della Commissione sono pubbliche, salvo che la Commissione, a maggioranza semplice, disponga diversamente.
  4. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria, nonché di tutte le collaborazioni ritenute necessarie di soggetti interni ed esterni all'amministrazione dello Stato, autorizzati, ove occorra e con il loro consenso, dagli organi a ciò deputati e dai Ministri competenti. Con il regolamento interno di cui al comma 1 è stabilito il numero massimo di collaboratori di cui può avvalersi la Commissione.
  5. Per lo svolgimento dei compiti di cui all'articolo 1, la Commissione si avvale della collaborazione degli enti locali, delle istituzioni, di istituti di statistica e delle banche dati delle Forze di polizia.
  6. Per lo svolgimento dei propri compiti la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro.
  7. Le spese per il funzionamento della Commissione sono stabilite nel limite massimo di 40.000 euro per l'anno 2018 e di 60.000 euro per ciascuno degli anni successivi e sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati. I Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, con determinazione adottata d'intesa tra loro, possono autorizzare annualmente un incremento delle spese di cui al periodo precedente, comunque in misura non superiore al 30 per cento, a seguito di richiesta formulata dal presidente della Commissione per motivate esigenze connesse allo svolgimento dell'inchiesta, corredata di certificazione delle spese sostenute.

Art. 7.
(Entrata in vigore)

  1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.