• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
C.6/00046    udite le comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato...



Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00046presentato daCOSTA Enricotesto diMercoledì 23 gennaio 2019, seduta n. 112

   La Camera,
   udite le comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150,
   premesso che:
    l'amministrazione della giustizia in Italia viene avvertita dai cittadini ancora come incapace di contribuire al progresso civile; l'attuale irragionevole durata dei processi costituisce, tra l'altro, un grande disincentivo agli investimenti nel nostro Paese;
    i dati forniti con riguardo alle cause pendenti rimangono allarmanti, aggravati dalle difficoltà ad avere accesso all'autorità giudiziaria;
    il sistema giudiziario dell'Italia ha quindi bisogno di interventi idonei a ridurre la durata dei processi civili e penali: a tal fine è necessario individuare strumenti moderni, soluzioni adeguate ed effettivamente praticabili per rispondere ai bisogni di sicurezza, per ripristinare un efficace servizio della giustizia nel rispetto dei principi costituzionalmente sanciti e per garantire l'effettività dei diritti di tutti i cittadini e la competitività del sistema economico e produttivo del Paese, in un processo di ragionevole e certa durata;
    l'inefficienza del nostro sistema giudiziario ha anche gravissime ripercussioni di natura economica, soprattutto in un momento di grave crisi come quella in cui versa ancora il nostro Paese; i dati della nostra giustizia determinano nelle aziende straniere la decisione di non delocalizzare nel nostro Paese le proprie attività economiche;
    un efficiente sistema giudiziario e la garanzia della legalità costituiscono questioni interconnesse e di grande rilevanza sociale, non più rinviabili e che vanno assicurate con interventi strutturali;
    partendo dall'annosa questione del sovraffollamento carcerario, va rilevato che negli ultimi mesi sono esponenzialmente aumentati in misura allarmante gli episodi di insofferenza al trattamento penitenziario. La gran parte degli istituti penitenziari è tuttora sprovvista di direttori e i pochi in servizio sono costretti a gestire ad interim più istituti, senza avere di conseguenza la necessaria padronanza delle dinamiche quotidiane e, meno che mai, senza che sia possibile attuare un benché minimo programma adesivo del precetto di cui all'articolo 27 della Costituzione;
    i sempre più frequenti eventi critici registrati nelle nostre carceri ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo dovrebbero far rifletterete e invitare gli esponenti della maggioranza anche a ridurre gli eccessi verbali, che troppo spesso caratterizzano il dibattito e che mettono in atto l'idea di un carcere quale luogo « dove marcire»;
    si è determinata, altresì, un'esasperazione delle condizioni di detenzione hanno fatto registrare alla fine del 2018 un numero di suicidi pari a 61, quando invece solo nel 2017 essi erano stati 48 e ancora meno nei due anni avanti;
    alla data del 21 gennaio 2019 la popolazione detenuta è di 59.957 unità, a fronte di una capienza effettiva di poco più di 47.000 posti regolamentari;
    è da sottolineare il ricorso ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo smodato allo strumento della custodia cautelare in carcere, la cui funzione, purtroppo, ha subito negli anni una radicale trasformazione: da istituto con funzione prettamente cautelare, ancorché nell'ottica di un'esigenza di prevenzione dei reati e di tutela da forme di pericolosità sociale, è diventata troppo spesso una vera e propria misura anticipatrice della pena, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza;
    nella XVII legislatura, sono stati diversi gli interventi in materia di custodia cautelare, anche sostenuti dal gruppo Forza Italia, in quanto misure oggetto di una delle priorità del nostro sistema giudiziario. La legge 16 aprile 2015, n. 47, ha effettivamente delimitato l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere, circoscrivendo i presupposti per l'applicazione della misura e modificando il procedimento per la sua impugnazione. Nell'approvazione delle modifiche normative, si sarebbe però potuto sicuramente essere più incisivi e, soprattutto, pensare ad introdurre elementi volti a configurare un illecito disciplinare a carico dei magistrati responsabili di evidenti distorsioni del sistema di carcerazione preventiva, a cui troppo spesso si ricorre in mancanza di reali esigenze cautelari e senza rispettare il criterio dell'assoluta indispensabilità;
    l'utilizzo della custodia cautelare in carcere, e, quindi, della limitazione preventiva della libertà personale, deve infatti essere circoscritto alle sole ipotesi in cui questa esigenza è davvero indispensabile per garantire la sicurezza della collettività, per salvaguardare il valore delle indagini e soprattutto per assicurare quel contemperamento, che più volte è stato evocato, ma non sempre con misura e con fondatezza, tra tutela della libertà personale ed esigenze di protezione della sicurezza collettiva delle nostre comunità e dei nostri territori;
    sempre in relazione al tema penitenziario, va rilevato che la questione della presenza di detenuti stranieri nelle carceri è uno dei temi attualmente più condizionanti il sistema penitenziario italiano, data l'incidenza sull'annoso problema del sovraffollamento. La percentuale italiana della componente reclusa immigrata è superiore alla media europea di oltre 11 punti percentuali, essendo pari al 32 per cento. Circa 4 punti percentuale in più rispetto alla Germania, che per l'appunto ha uno dei tassi di affollamento più bassi nell'area dell'Unione europea. In Italia gli stranieri regolarmente soggiornanti sono circa l'8 per cento della popolazione. I detenuti il 32 per cento della popolazione reclusa. I soggiornanti regolari, secondo stime a campione effettuate su singoli istituti, sono una quota inferiore al 10 per cento del totale dei detenuti stranieri, ovvero circa il 3 per cento del totale della popolazione detenuta nel nostro Paese;
    sarebbe quindi opportuno promuovere, non solo a parole, accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti provenienti dai Paesi che fanno registrare il maggior flusso di immigrazione verso l'Italia e, più in generale, con quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane;
    in tema di edilizia giudiziaria, è necessario ribadire la necessità di mettere in campo soluzioni efficaci e non «raffazzonate» e provvisoriamente tese alla «definitività illusoria». Il caso Bari è emblematico: ad oggi le udienze e gli uffici penali sono sparsi sul territorio del circondario in numerose sedi tutte distaccate e lontane anche dalla stessa città, divise anche per uffici che invece dovevano essere funzionalmente attigui, il tutto a scapito dell'efficienza della giustizia, con discriminazioni territoriali per il Sud assai preoccupanti;
    la politica in materia di giustizia del Governo in carica si sta rivelando ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo pericolosa e dannosa per l'intero sistema: da ultimo, con l'approvazione della legge «anticorruzione» (legge n. 13 del 16 gennaio 2019, recante «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici»), sulla quale tutti gli esperti auditi nel corso dell'esame parlamentare (costituzionalisti, associazioni di categoria, magistrati, avvocati) hanno evidenziato i numerosi profili di incostituzionalità. Un testo che ha provocato la mobilitazione dell'Unione camere penali, dell'Associazione nazionale magistrati e del Consiglio nazionale forense, che si sono espressi in senso fortemente contrario, in particolare sull'intervento operato dal testo in materia di prescrizione, introdotto in fase emendativa nel corso dell'esame in sede referente alla Camera, con un'operazione di «ampliamento del perimetro del provvedimento» del tutto discutibile. Da ultimo, non può passare sotto silenzio il parere del Consiglio superiore della magistratura, che ha approvato con 17 voti favorevoli il parere reso all'unanimità dalla Sesta Commissione, evidenziando chiaramente che «sussistono profili di criticità che si riconnettono alla non proporzionalità di alcune sanzioni, anche in riferimento alla necessaria prospettiva rieducativa della pena, all'assenza, nella fase di applicazione, di parametri normativi di riferimento certi per il giudice, ad alcune incoerenze tra istituti processuali, infine, alle problematiche ricadute applicative di parte degli strumenti investigativi e premiali introdotti»;
    si è infatti dinnanzi ad un provvedimento che ad avviso dei firmatari del presente atto contiene disposizioni in contrasto con gli equilibri, la coerenza e l'impostazione di fondo del sistema penale italiano. Il testo rompe di fatto la distinzione fra i due «binari paralleli» in due modi: riconduce, con una pesante alterazione sistematica, alle logiche del binario mafioso-terroristico (ampie misure d'interdizione e prevenzione; misure sanzionatorie drastiche) i reati contro la pubblica amministrazione; inoltre snatura la sistematica interna di molti istituti cercando di volgerla e piegarla a logiche radicalmente opposte a quelle che le ispirano: è il caso delle pene accessorie, che diventano più lunghe e gravose di quelle principali cui accedono, e già questo è una contraddizione in termini;
    inoltre, le norme tese a modificare gli articoli 158, 159 e 160 dei codice penale che disciplinano, rispettivamente, la decorrenza, la sospensione e l'interruzione del corso della prescrizione, come evidenziato dallo stesso parere del Consiglio superiore della magistratura comportano necessariamente un allungamento della durata dei processi, che aggraverebbe dunque il vulnus al principio di cui all'articolo 111 della Costituzione, rispetto al quale l'Italia ha già subito condanne dalla Cedu e darebbe luogo ad una potenziale lesione del diritto di difesa dell'imputato garantito dall'articolo 24 della Costituzione;
    un intervento normativo che ad avviso dei firmatari del presente atto non fa che scaricare sull'imputato tutto il peso delle inefficienze del sistema giudiziario: ogni ritardo, dilazione o rinvio dovuto a carichi di lavoro eccessivi o mal distribuiti, alle carenze di personale, agli atteggiamenti del personale del comparto, dai magistrati ai cancellieri, diviene processualmente irrilevante e anzi normativamente legittimato e coperto, da questo provvedimento. Quasi come se il legislatore, anziché cercare di risolvere queste problematiche, le assumesse come una costante invariabile e immodificabile. Tutte queste disfunzioni, ataviche nel nostro sistema e per nulla presidiate da adeguati sanzioni disciplinari, non avranno più alcuna conseguenza neanche di ordine processuale: si tratta ad avviso dei firmatari del presente atto di una sorta d'impunità dell'apparato, a integrale detrimento dell'imputato, che si vede destinato a languire nel limbo di una vicenda processuale senza termini. In questo modo, non si consegue l'intento di assicurare i colpevoli alla giustizia; si allungano semplicemente i tempi del processo e si sottopongono indiscriminatamente colpevoli e innocenti alla pretesa punitiva dello Stato per un periodo indefinito;
    ad ogni modo, in tema di prescrizione, la discussione sembra essere ancora troppo legata a questioni più che altro ideologiche, dimenticando che la stessa è una delle caratteristiche dello Stato liberale, è una delle garanzie del cittadino. Ciò che manca è la responsabilità, l'organizzazione giudiziaria; il giudice e chiunque ha responsabilità organizzative dovrebbe essere in grado di garantire la celebrazione dei processi;
    tra l'altro, diverse norme contenute nella legge n. 13 del 2019, a pochi giorni dalla loro entrata in vigore, stanno già riscontrando gravi problemi applicativi. Forza Italia, attraverso la presentazione di specifiche proposte emendative, aveva denunciato – inascoltata – l'assurdità di vedere applicate in modo retroattivo modifiche normative in materia di esecuzione penale. È infatti recente la notizia che vede decine di amministratori locali e funzionari pubblici improvvisamente destinati al carcere in virtù della norma, contenuta nella legge «anticorruzione», che non consente la sospensione dell'ordine di carcerazione in attesa della decisione del Tribunale di sorveglianza sull'affidamento in prova ai servizi sociali. Il fatto che imputati abbiano patteggiato prima dell'approvazione delle nuove norme, che, una volta entrate in vigore, vengono applicate retroattivamente, è sicuramente uno degli aspetti più critici del testo, che rendono ad avviso dei firmatari dell'atto il provvedimento di dubbia costituzionalità; la questione poteva essere evitata con una norma transitoria che però non è stata inserita. D'altra parte, nel corso del dibattito, non vi è stato un approfondimento specifico delle norme e sono state rispedite al mittente le numerose critiche provenienti dall'opposizione e dagli addetti ai lavori che hanno messo in guardia il Governo dall'approvazione di un testo che è stato portato avanti ad avviso dei firmatari con fretta e superficialità con l'ennesimo slogan («spazzacorrotti») privo di sostanza;
    ad ogni modo, più in generale, bisognerebbe effettuare le opportune valutazioni in merito al modello di ordinamento giudiziario attualmente operante nel nostro Paese; nello specifico, bisognerebbe avviare una definitiva riflessione in merito al riconoscimento della diversità delle funzioni giudiziarie e la conseguente separazione in senso proprio delle carriere dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero. La legislazione repubblicana ha valorizzato al massimo l'indipendenza della magistratura e l'obbligatorietà dell'azione penale per favorire una progressiva assimilazione delle figure del giudice e del pubblico ministero, che rappresenta la più marcata differenza tra il sistema giudiziario italiano e quello degli altri Paesi;
    tuttavia, con il codice di procedura penale del 1989, il modello di pubblico ministero scelto dai costituenti è entrato in conflitto con il nuovo ruolo assegnatogli nel processo accusatorio. Per questo motivo, nel corso dei lavori della Commissione bicamerale si affermò, tra rappresentanti di forze politiche diverse, l'idea di separare le funzioni dei giudici e dei pubblici ministeri e, in alcuni casi, di separare anche le loro carriere. Infine, la legge costituzionale n. 2 del 1999 ha introdotto il giusto processo, anche in attuazione delle convenzioni internazionali, rendendo così indifferibile la separazione tra l'ordine dei giudici e l'ufficio del pubblico ministero. Soltanto tale separazione consente, infatti, di realizzare un'effettiva terzietà dell'organo giudicante – vale a dire, la sua equidistanza dalle parti e la parità sul piano processuale dell'accusa e della difesa offrendo al cittadino un processo effettivamente giusto. Il tema è stato riproposto anche nella XVII legislatura, attraverso specifiche proposte di Forza Italia a cui si è affiancata quella di iniziativa popolare, ed è uno dei punti fondamentali del programma di giustizia del centrodestra presentato agli elettori nei corso delle ultime elezioni politiche;

impegna il Governo:

   1) a mettere in atto ogni iniziativa di competenza tesa ad un intervento globale e coerente che abbia i seguenti punti, quali priorità necessarie a rendere efficiente il servizio giustizia e ad assicurare ad ogni cittadino sicurezza e libertà:
    a) l'attuazione delle riforme ordinamentali e processuali per consolidare il principio del giusto processo, che, pur essendo enunciato nella Costituzione, non fa ancora parte del quotidiano esercizio della giurisdizione in quanto: nel processo penale è oramai improcrastinabile restituire efficienza e celerità al sistema senza sacrificare le garanzie deve essere oltremodo assicurata l'effettiva parità tra accusa e difesa e la reale terzietà del giudice; nel processo civile deve essere garantita la certezza di una decisione in tempi ragionevoli e vanno individuate le soluzioni idonee ad eliminare il gigantesco macigno dei procedimenti arretrati, in particolare attraverso un'azione complessiva di informatizzazione;
   b) la revisione delle norme in materia di appello e ricorso per Cassazione avverso le sentenze di proscioglimento, con gli obiettivi della deflazione dei processi e della protezione degli innocenti rispetto al rischio di eventuali accanimenti persecutori dello Stato, riprendendo le istanze del tutto condivisibili e legittime sottese alla legge n. 46 del 2006 (cosiddetta legge Pecorella), e declinandole secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza costituzionale in un ben noto filone di pronunce, proponendo un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei rimedi impugnatori a disposizione delle parti ed escludendo la possibilità per il pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento rese con le formule ampiamente liberatorie (il fatto non sussiste; l'imputato non lo ha commesso; il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione) ai sensi dell'articolo 530, 1o comma, dei codice di rito: ciò in quanto appare ragionevole, anche alla luce della presunzione di non colpevolezza, escludere un secondo grado di giudizio di merito, defatigante e in un certo senso persecutorio, per l'imputato che sia riuscito a discolparsi completamente in primo grado, al di là di ogni ragionevole dubbio;
    c) la realizzazione di interventi definitivi finalizzati al superamento delle carenze drammatiche di personale amministrativo e all'effettiva riqualificazione del personale;
    d) la necessaria semplificazione normativa e burocratica della legislazione primaria e regolamentare che incide sul sistema giustizia, che aumenta il livello di litigiosità e contribuisce ad allungare i tempi dei processi;
    e) la realizzazione di maggiori investimenti in informatizzazione del processo civile e del processo penale, al fine di conseguire un miglioramento complessivo dell'organizzazione dei servizi di cancelleria, di realizzare considerevoli risparmi di spesa e di raggiungere una trasparenza delle informazioni relative alle cause e alle sentenze per l'avvocatura e i cittadini, e l'implementazione di tecniche di caseflow management, ovvero di tecniche di raccolta, gestione e analisi dei dati all'interno degli uffici giudiziari, per l'elaborazione di best practices per la fissazione e la gestione di scadenze, l'esame preventivo dei procedimenti in entrata e la loro assegnazione a iter procedurali differenziati in base alle loro caratteristiche, la precoce identificazione e la gestione dei casi più complessi e potenzialmente più problematici;
    f) la definitiva implementazione di una modernizzazione tecnologica degli uffici giudiziari, già avviata con parziale successo, in ragione di una loro maggiore efficienza e produttività; la realizzazione di programmi di innovazione digitale, per il miglior funzionamento degli uffici, da attuare con il completo ammodernamento delle infrastrutture e delle reti di trasmissione dei dati informatizzati;
    g) l'implementazione di un monitoraggio efficace ed incisivo in merito dell'applicazione delle nuove norme in materia di custodia cautelare e alla piena realizzazione del principio per cui, in linea con quanto previsto dall'articolo 27 della Costituzione, la presunzione di innocenza deve prevalere su ogni altra pur legittima considerazione, così da prevedere il ricorso alla custodia cautelare in carcere solo come extrema ratio;
    h) l'attuazione di un programma credibile e immediato, adeguatamente finanziato, per la realizzazione di un nuovo piano carceri, attraverso l'implementazione delle strutture esistenti e l'edificazione dei nuovi istituti, nonché per provvedere alla copertura dei ruoli vacanti della polizia penitenziaria, al fine di garantire ad essi di poter operare in condizioni di sicurezza;
    i) la realizzazione di interventi specifici e strutturali volti ad offrire soluzioni alle molteplici problematiche dell'edilizia giudiziaria, senza discriminazioni territoriali, come condizione essenziale per una gestione efficiente degli uffici giudiziari e a garanzia del diritto di agire e resistere in giudizio, a partire dal caso di Bari, che necessita quanto prima una soluzione efficace e definitiva;
    j) il potenziamento dei ricorso a misure alternative al processo penale, sulla base delle esperienze positive della messa alla prova, in assenza di pericolosità sociale, anche in relazione alla finalità rieducativa della pena;
    k) la piena attuazione della normativa europea con riferimento al tema della tutela delle vittime di reato;
    l) la predisposizione di iniziative di riforma costituzionale che garantiscano la piena realizzazione del principio del giusto processo, con particolare riferimento alla distinzione tra il ruolo dell'organo giudicante e dell'organo requirente, all'esercizio dell'azione penale secondo regole ben definite, alla ragionevole durata del processo penale, alla riforma del Consiglio superiore della magistratura che favorisca un'azione della magistratura svolta nell'esclusivo rispetto della legge;
    m) la tutela del precetto costituzionale dell'indipendenza della magistratura, inteso come indipendenza dei singoli magistrati, soggetti soltanto alla legge e immuni da influenze di carattere correntizio e politico, garantita anche da comunicati impersonali della stessa magistratura;
    n) la codificazione di un sistema di controlli in grado di verificare – nel rispetto dei principi di autonomia ed indipendenza – la professionalità dei magistrati, calibrato sull'esaltazione della capacità, dell'equilibrio e della diligenza e che risulti libero dai protagonismi dei singoli, nonché un meccanismo funzionale all'individuazione e selezione dei magistrati chiamati a dirigere gli uffici, che tenga conto della loro effettiva capacità organizzativa e gestionale, predisponendo, in linea con quanto richiesto anche in sede comunitaria, un puntuale ed efficace sistema di valutazione della responsabilità disciplinare dei magistrati, che sappia garantire la credibilità dell'ordine giudiziario;
    o) l'introduzione di un meccanismo per cui l'ordinanza che accoglie l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione sia comunicata, ai fini dell'avvio del procedimento di responsabilità, ai titolari dell'azione disciplinare; si tratta di un meccanismo necessario, in particolare alla luce del costante aumento dei rimborsi dovuti dallo Stato per ingiusta detenzione;
    p) la realizzazione di una riforma delle disposizioni che riguardano le intercettazioni telefoniche e ambientali, con particolare riferimento alla loro diffusione, soprattutto se riguardano terzi non indagati e vengono peraltro estrapolate dal contesto generale;
    q) il potenziamento degli strumenti di lotta alla criminalità di tipo mafioso, non soltanto sotto il profilo della certezza della pena, ma anche mediante l'effettiva applicazione delle misure di prevenzione;
    r) il contrasto – sulla scia delle iniziative già adottate dai Governi Berlusconi – ad ogni forma di aggressione alla sicurezza e libertà dei cittadini: ciò sia rendendo effettivo il principio di certezza della pena, sia garantendo che attraverso l'irrogazione della sanzione penale possano essere recisi i legami con le organizzazioni criminali, sia attraverso la revisione della disciplina della legittima difesa, che si è rivelata inidonea a garantire una piena ed efficace copertura all'esercizio di tale diritto, come dimostra il perdurare degli episodi di criminalizzazione dei cittadini costretti a difendere se stessi, i propri cari e i propri beni; su questo ultimo punto, occorrerebbe a parere dei firmatari del presente atto di prevedere che la difesa si presume legittima e che l'onere di provare l'insussistenza della scriminante sia a carico della pubblica accusa, oltre che eliminare l'eventualità di un indennizzo dei danni riportati dall'aggressore, da parte della vittima (come richiesto e rimarcato tra l'altro dagli stessi esponenti del Governo);
    s) l'attuazione degli accordi bilaterali in essere ed un deciso impegno nella stipula di nuovi accordi bilaterali con altri Stati, affinché i detenuti stranieri scontino la pena nei Paesi di origine, tenuto conto che attualmente circa il 32 per cento dei detenuti è di origine straniera;
    t) la completa revisione della legge n. 13 del 2019 recante «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici», con particolare riferimento al tema della retroattività delle nuove disposizioni in materia penale e alle misure in materia di prescrizione.
(6-00046) «Costa, Lupi, Bartolozzi, Cassinelli, Cristina, Ferraioli, Pittalis, Sarro, Zanettin, Sisto, Colucci, Tondo, Sangregorio».