• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

link alla fonte scarica il documento in PDF

Atto a cui si riferisce:
S.6/00034 Il Senato, premesso che: il prossimo 13 e 14 dicembre si riunirà a Bruxelles il Consiglio europeo per trattare diversi temi all'ordine del giorno; il nostro Paese...



Atto Senato

Risoluzione in Assemblea 6-00034 presentata da ANDREA MARCUCCI
martedì 11 dicembre 2018, seduta n.070


Il Senato,

premesso che:

il prossimo 13 e 14 dicembre si riunirà a Bruxelles il Consiglio europeo per trattare diversi temi all'ordine del giorno;

il nostro Paese sta attraversando una fase molto delicata nei rapporti con le istituzioni europee, in seguito alla scelta del Governo di non rispettare i limiti del patto di stabilità con la manovra di bilancio attualmente in discussione in Parlamento e la conseguente decisione da parte della Commissione, il 21 novembre scorso, di predisporre una relazione nei confronti dell'Italia, a norma dell'articolo 126, paragrafo 3 del TFUE. I principali criteri di coordinamento delle politiche di bilancio sono due: il disavanzo annuale di bilancio dei Paesi membri che non deve superare il 3 per cento del PIL e il debito pubblico che non deve superare il 60 per cento del PIL (Protocollo 12);

il bilancio italiano per il prossimo anno prevede un deficit del 2,4 per cento del PIL, rispetto ad un impegno dello 0,8 ed un debito al 130 per cento, un valore che risulta essere il secondo più alto dell'Unione europea e tra i più alti del mondo. Un "elevato debito pubblico - si legge nel parere della Commissione - potrebbe minare la fiducia dei mercati, con ripercussioni negative sia sulla spesa per interessi del Paese, che sul costo del finanziamento complessivo per l'economia reale";

l'insufficiente risposta fornita dal Ministro dell'economia e delle finanze in occasione dell'audizione tenutasi in Commissione bilancio il 4 dicembre sullo stato della trattativa non lascia immaginare sia in atto una reale negoziato con i vertici della Commissione al fine di evitare l'avvio della procedura di infrazione ormai imminente, decisione che si ripercuoterebbe inevitabilmente sulle prospettive di crescita del nostro Paese e sulla vita dei cittadini;

in merito di bilancio europeo, il 2 maggio 2018 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure che delineano il prossimo quadro finanziario pluriennale dell'UE per il periodo 2021-2027, predisposto per un'Unione europea a 27 Stati membri, in considerazione del recesso del Regno Unito dall'UE. Il bilancio a lungo termine dell'UE, detto anche Quadro finanziario pluriennale (o "QFP"), fornisce un quadro stabile per l'esecuzione del bilancio annuale dell'UE; traduce in termini finanziari le priorità politiche dell'UE per un periodo di sette anni e fissa gli importi massimi annui della spesa dell'UE, complessivamente e per le principali categorie-priorità di spesa. Le proposte attualmente in discussione prevedono, tra l'altro, una nuova ripartizione delle risorse, una serie di innovazioni al fine di accrescere la flessibilità del QFP e prefigurano parziali modifiche per quanto concerne le fonti attraverso le quali viene alimentato il bilancio dell'UE; inoltre, è fissata una revisione intermedia del QFP entro la fine del 2023, in analogia a quanto avvenuto nell'attuale ciclo di programmazione;

per i sette anni di riferimento, la Commissione europea prevede stanziamenti complessivamente pari a 1.135 miliardi di euro a prezzi costanti in termini di impegni (1.279 miliardi di euro a prezzi correnti), corrispondenti all'1,11 per cento del reddito nazionale lordo dell'UE-27 (RNL). Questo livello di impegni si traduce in 1.105 miliardi di euro (ovvero l'1,08 per cento dell'RNL) a prezzi costanti in termini di pagamenti (1.246 miliardi a prezzi correnti);

si propone un aumento di risorse rispetto al bilancio settennale attualmente in corso 2014-2020 (regolamento (UE, EURATOM) n. 1311/2013): 959,9 miliardi di euro di impegni e 908,4 miliardi di euro di pagamenti a prezzi costanti 2011 e 1082,5 miliardi di euro di impegni e 1023,9 miliardi di euro di pagamenti a prezzi correnti;

tuttavia con l'uscita del Regno Unito saranno richiesti maggiori sforzi finanziari ai Governi dei restanti 27 Stati membri. Secondo stime della Commissione europea, infatti, l'uscita del Regno Unito dall'UE potrebbe produrre una riduzione nel bilancio annuale dell'UE tra i 10 e i 12 miliardi di euro annui, corrispondente a circa il 10 per cento del bilancio annuale dell'UE. La Commissione europea propone anche l'integrazione nel bilancio dell'UE del Fondo europeo di sviluppo (FES), principale strumento con cui l'UE finanzia la cooperazione allo sviluppo con i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, che attualmente non rientra nel bilancio generale dell'UE, ma è finanziato dagli Stati membri, dispone di regole finanziarie proprie ed è diretto da un comitato specifico. Il FES nel quadro finanziario 2014-2020 ha una dotazione di 30,5 miliardi di euro, finanziati dagli Stati membri (contributo Italia 3,8 miliardi di euro);

per quanto concerne la posizione dei Paesi membri questa si è differenziata in due schieramenti: gli Stati che insistono per un bilancio più ridotto (in particolare Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia), che non vada oltre l'1 per cento dell'RNL dei 27 e che finanzi le nuove priorità tramite maggiori tagli alle politiche tradizionali come politica agricola comune e coesione, e gli Stati (in particolare Estonia, Grecia, Italia, Lituania, Lettonia, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Ungheria) che, invece, ritengono insufficiente il livello generale di ambizione espresso dalla Commissione europea e chiedono risorse sufficienti per finanziare le nuove priorità senza tagliare le politiche tradizionali;

il Parlamento europeo si è occupato del nuovo QFP lo scorso 30 maggio, con un dibattito, svoltosi alla presenza di Consiglio e Commissione europea, che si è concluso con l'approvazione, a larga maggioranza (409 voti favorevoli, 213 contrari e 61 astensioni), di una risoluzione. Nel corso della discussione i deputati di tutti i gruppi politici - a eccezione di Conservatori e Riformisti europei - hanno sottolineato con insoddisfazione l'esiguità del bilancio, che determinerà tagli, in particolare per la PAC e la politica di coesione;

nella Risoluzione il Parlamento europeo, tra l'altro, ricorda di aver definito chiaramente la propria posizione in due risoluzioni approvate a larga maggioranza; deplora che la proposta comporti direttamente una riduzione del bilancio della PAC e della politica di coesione, rispettivamente del 15 per cento e del 10 per cento; è contrario, in particolare, a qualsiasi taglio radicale che incida negativamente sulla natura stessa e sugli obiettivi di tali politiche, come i tagli proposti al Fondo di coesione (del 45 per cento) o al Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (di oltre il 25 per cento); mette in dubbio, in tale contesto, la proposta di tagliare del 6 per cento il Fondo sociale europeo, nonostante il suo ambito di applicazione ampliato e l'integrazione dell'Iniziativa per l'occupazione giovanile; chiede, pertanto, di mantenere i livelli di finanziamento per PAC e politica di coesione per l'UE a 27 "almeno al livello del bilancio 2014-2020 in termini reali"; di triplicare l'attuale dotazione del programma Erasmus +; di raddoppiare i finanziamenti destinati alle PMI; di incrementare almeno del 50 per cento l'attuale dotazione per la ricerca e l'innovazione, portandola a 120 miliardi di euro; di raddoppiare la dotazione del programma LIFE, di incrementare in modo sostanziale gli investimenti attraverso il Meccanismo per collegare l'Europa e garantire finanziamenti supplementari per sicurezza, migrazione e relazioni esterne, portando il nuovo QFP all'1,3 per cento del RNL dell'UE a 27;

relativamente al Mercato unico il proseguimento della costruzione del Mercato unico è una delle priorità fondamentali per lo sviluppo economico, motore per la crescita, per l'aumento dell'occupazione e per la costruzione di una piena integrazione degli Stati membri. Particolare attenzione deve essere posta dai leader europei al rafforzamento della difesa dei consumatori, dei diritti dei lavoratori, alla legislazione sulla difesa dell'ambiente e ad una politica fiscale il più possibile omogenea;

è tempo, inoltre, di iniziare a pensare ad un mercato unico nella sua completezza in cui il mercato dei beni e servizi ed il mercato digitale sia considerato come un'unica entità, che deve essere ulteriormente sviluppata, dotata di norme moderne e considerata parte integrante e fondamentale dello sviluppo economico dell'area europea. Sul fronte del mercato digitale l'UE deve essere capace, nei prossimi anni, di mettere al centro lo sviluppo di una legislazione adeguata, efficace e moderna, capace di produrre norme puntuali dal punto di vista della difesa dei consumatori, dello sviluppo, e della salvaguardia dei diritti dei lavoratori;

l'Unione europea sta affrontando una rivoluzione digitale che sta avendo un grande impatto sulla vita dei cittadini, a livello politico, sociale, economico e culturale. In questo senso l'Europa deve essere capace di dotarsi di una politica digitale che garantisca il rispetto dei suoi valori chiave, ma che garantisca anche che le nuove opportunità digitali siano accessibili a tutti e non solo ai più potenti o più agiati;

i vantaggi dell'economia digitale devono essere a beneficio di tutte le nostre comunità, in Europa e a livello globale, sostenendo i cittadini svantaggiati e meno alfabetizzati, aumentando l'accesso ai servizi pubblici digitali, anche in località remote, per assicurare che i cittadini che non hanno accesso a Internet non siano lasciati indietro;

con riferimento ai dazi, il riemergere di politiche di chiusura commerciale e di ritorsione sul piano degli scambi economici, la marginalità in cui il nostro Paese rischia di essere confinato, a seguito di scelte strategiche incerte e contraddittorie, sono ancor più preoccupanti alla luce della decisione degli USA di applicare i dazi sui metalli (25 per cento su acciaio e 10 per cento su alluminio), che già si fanno sentire sulla congiuntura economica con effetti depressivi tali da determinare una diminuzione del tasso di crescita in Italia e gravi danni per le imprese, andamenti che vengono testimoniati dalla brusca frenata del nostro PIL con il meno 0,1 per cento nel terzo trimestre e con una previsione ancora più preoccupante per il quarto trimestre;

la linea proposta finora dalla Commissione per cercare di coinvolgere costruttivamente gli Stati Uniti è stata, nel suo insieme, equilibrata e coerente; tuttavia in seguito l'UE ha attivato il cosiddetto rebalancing (con l'imposizione di dazi addizionali di riequilibrio - votati il 14 giugno in Consiglio e applicabili a partire dal 20 giugno - su un certo numero di beni dagli Stati Uniti) mettendo in campo una risposta misurata, proporzionata e pienamente in linea con le regole del WTO;

sarebbe opportuno riprendere la proposta emersa durante il semestre di Presidenza italiana dell'UE con il nome di "interim agreement", un accordo commerciale snello su dazi, barriere non tariffarie, convergenza di standard e regolamenti in quei settori in cui c'è già un'intesa tra le associazioni degli imprenditori delle due sponde dell'Atlantico, lasciando la possibilità di modifiche successive, sul modello dei cosiddetti "living agreements";

l'Europa deve poter svolgere un ruolo di interlocuzione e mediazione che rafforzi la fase di "tregua" commerciale emersa a margine della recente riunione del WTO in Argentina, quale presupposto per la costruzione di un nuovo clima di fiducia e collaborazione commerciale a livello globale;

relativamente al delicato tema della migrazione occorre rilevare come le conclusioni del Consiglio europeo del 28-29 giugno non abbiano assolutamente tenuto in considerazione le esigenze italiane. Al contrario, l'introduzione del concetto di volontarietà, accettato dal presidente del Consiglio Conte e poi sostenuto irragionevolmente dal ministro degli esteri Moavero Milanesi, rappresenta un vero e proprio passo indietro rispetto alle decisioni del 2015 che, su iniziativa del Governo italiano, obbligavano a redistribuire i migranti richiedenti asilo in maniera equa e solidale in tutti i Paesi della UE in applicazione del principio di solidarietà esplicitamente riconosciuto dai Trattati in materia di asilo e immigrazione. Vari Stati hanno scarsamente collaborato ad una presa in carico dei migranti. In particolare i Governi del "gruppo di Visegrad", anche di fronte alla minaccia delle sanzioni, si sono rifiutati di adempiere ai loro obblighi e saranno oggi ancor meno indotti ad una reale collaborazione sulla base di adesione volontaria;

la questione cruciale che doveva essere trattata e risolta, punto ineludibile per ogni strategia relativa alla gestione ordinata degli arrivi e cioè il riconoscimento che si tratta di una questione europea, non riconducibile alla responsabilità di singoli Paesi, non è stata di fatto analizzata. Il tema della necessità di procedere ad una revisione del Regolamento di Dublino - da cui deriva l'urgenza di un ricollocamento strutturale e solidale di tutti i migranti che giungono nei territori degli Stati membri - non solo non è stato approfondito in occasione del Consiglio europeo del 28-29 giugno, ma è stato addirittura peggiorato, laddove si è stabilito che sarà necessaria l'unanimità per procedere ad una sua revisione, nonostante il diritto UE permetta di decidere a maggioranza qualificata;

al riguardo, il 16 novembre 2017, dopo anni di negoziati, il Parlamento europeo - con il voto contrario del Movimento 5 Stelle e l'astensione della Lega - aveva approvato una proposta di revisione proprio del Regolamento di Dublino e delle politiche relative al diritto d'asilo - alla cui elaborazione aveva contribuito fortemente la delegazione italiana - che introduceva finalmente una responsabilità condivisa nella gestione degli arrivi e delle richieste di asilo, anche al fine di evitare per il futuro la situazione venutasi recentemente a creare con la Germania sulla questione del rimpatrio dei migranti di primo approdo in Italia;

le conclusioni del Consiglio europeo di giugno costituiscono, invece, una vera e propria vittoria dei Paesi del gruppo di Visegrad, ai quali paradossalmente sembra benevolmente guardare il Governo. Essi hanno raggiunto l'obiettivo di cancellare il sistema del ricollocamento obbligatorio voluto dalla UE e far scomparire l'ipotesi delle sanzioni economiche nei confronti dei Paesi che si rifiutano di accogliere la propria quota di migranti. È rimasto così intatto il principio che scarica il peso dei flussi sulle spalle dei Paesi maggiormente esposti alle rotte del Mediterraneo (Italia, Grecia, Spagna e Malta). Ragion per cui la posizione del Governo italiano vicina alle posizioni del gruppo di Visegrad è andata dunque contro gli stessi interessi del nostro Paese;

il 24 luglio 2018 la Commissione europea ha formulato alcune ipotesi per la realizzazione dei centri controllati nell'UE previsti dalle conclusioni dell'ultimo Consiglio europeo, che dovrebbero migliorare il processo di distinzione tra le persone bisognose di protezione internazionale e i migranti irregolari (cosiddetti economici) e saranno oggetto di discussione nella riunione del prossimo Consiglio; allo stesso modo, la Commissione ha proposto di rafforzare la cooperazione in materia di rimpatrio e riammissione con i Paesi terzi;

la scorsa estate, inoltre, è stata caratterizzata da una dura campagna, in particolare da parte del Ministro dell'interno, contro il sistema di accoglienza e solidarietà dei migranti, che ha avuto per obiettivo il tentativo di criminalizzare l'opera delle Organizzazioni non governative, sulle quali peraltro non è emerso nulla di penalmente rilevante, e che ha approfondito l'isolamento dell'Italia ed irritato i partner europei: un crescendo di tensione che ha raggiunto il suo apice in occasione del noto caso della nave Diciotti, tale da indurre il presidente del Consiglio Donald Tusk ad affermare di "smetterla di utilizzare il problema dell'immigrazione per ottenere vantaggi politici";

la chiusura dei porti decisa la scorsa estate dal Ministro dell'interno e la politica dei respingimenti delle navi delle ONG e la conseguente crisi internazionale con i partner europei che ne è scaturita hanno provocato anche tensioni all'interno della compagine governativa non solo tra lo stesso ministro Salvini ed il responsabile del Dicastero dei trasporti, il ministro Toninelli, sulle attribuzioni e le competenze tra i due Ministeri, ma anche con il ministro degli esteri Moavero Milanesi che ha recentemente dichiarato: "Tripoli non può essere considerato un porto sicuro". Soprattutto le inutili provocazioni del caso Diciotti, hanno totalmente isolato l'Italia che si è di fatto esclusa dalle recenti iniziative di solidarietà e redistribuzioni automatiche in caso di salvataggi nel Mediterraneo promosse in particolare da Francia, Malta e Spagna;

i dati forniti dalle stesse istituzioni europee in occasione del vertice informale dei Capi di Stato e di Governo del 19 e 20 settembre 2018 a Salisburgo indicano che, grazie a importanti decisioni e misure prese e attuate negli anni scorsi sotto la spinta dei Governi italiani di Centrosinistra, l'Italia non è più la principale porta d'ingresso dei migranti in Europa, superata dal sistema di accoglienza di Spagna e Grecia. In Italia, dunque, quando il governo Conte è entrato in carica, non c'era alcuna emergenza, ma anzi, grazie al lavoro svolto dal ministro Minniti, nei primi quattro mesi del 2018 sono approdati in Italia circa 9.300 migranti, ossia l'86 per cento per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2017;

la posizione dell'Italia in ambito europeo, inoltre, risulta anche ulteriormente aggravata in seguito all'approvazione del cosiddetto decreto sicurezza, il decreto-legge n. 113 del 2018, che contrasta in più punti, con la normativa europea. L'abolizione dell'istituto della protezione umanitaria è la disposizione più importante e maggiormente criticata nel decreto. Forme di protezione umanitaria sono previste, con modalità diverse, in 20 dei 28 Paesi membri dell'Unione europea, (Austria, Cipro, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia, Ungheria oltre all'Italia), così come stabilito all'articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115/CE;

anche la possibilità di una permanenza dello straniero in strutture idonee diverse nella disponibilità dell'Autorità di pubblica sicurezza dai Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) è in contrasto con la normativa europea. L'articolo 16 della direttiva 2008/115/CE stabilisce che il trattenimento dello straniero possa avvenire soltanto in appositi centri di permanenza temporanea ovvero, per i detenuti, in un istituto penitenziario: sotto questo profilo, pertanto, così come formulata, la norma appare in contrasto con gli obblighi europei;

proprio in questi giorni a Marrakech, in Marocco, al summit delle Nazioni Unite in Marocco, è stato firmato da 164 Paesi presenti il global compact for migration (GCM), il trattato proposto dall'ONU per favorire una migrazione a livello globale che sia "sicura, ordinata e regolare", firmato da 193 Paesi nel 2016, nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite di New York. Il global compact per la migrazione è un accordo storico che è fortemente sostenuto dal Parlamento europeo con la sua risoluzione dell'aprile di quest'anno;

il principale obiettivo del global compact è creare una rete internazionale per l'accoglienza di migranti e rifugiati. Il punto di partenza è il principio che la questione delle migrazioni debba essere affrontata a livello globale tramite una rete di collaborazione internazionale, attraverso una lunga serie di impegni da parte di tutti i Paesi per tutelare "diritti e bisogni" di chi è costretto a fuggire dal proprio Paese;

il nostro Paese ha annunciato la sospensione della firma del global compact in attesa di un voto parlamentare. È utile sottolineare che la firma del citato accordo, non vincolante, ha spaccato in due il Governo, con il Movimento 5 stelle a favore della firma e la Lega di Salvini contraria. L'accordo, non a caso, è stato contestato dagli Stati Uniti, che hanno annunciato di non firmarlo e sulla stessa linea ci sono Australia, Repubblica Dominicana, Austria, Lettonia e i quattro di Visegrad. Dall'altra parte della barricata, a favore dell'intesa ONU, raggiunta dopo 18 mesi di trattative, prima di tutto la cancelliera tedesca Angela Merkel. Il segretario generale dell'ONU, Antonio Guterres, ha definito il global compact una "roadmap per evitare sofferenze e caos", ribadendo che l'intesa non viola la sovranità degli Stati e non crea nuovi diritti per migrare, ma ribadisce il rispetto dei diritti umani;

il presidente Conte aveva assicurato, il 27 settembre scorso, al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres che l'Italia avrebbe sottoscritto l'accordo ed aveva dato la sua parola sulla partecipazione italiana al meeting in Marocco;

in materia di relazioni esterne il prossimo vertice con la Lega degli Stati arabi, in programma il 24 e 25 febbraio 2019 in Egitto, sarà uno dei temi trattati nel corso del Consiglio. In questo ambito le relazioni con la Libia sono fattore importante che comprende non solo il tema della sicurezza, ma anche il tema della lotta alla migrazione irregolare ed ai trafficanti di esseri umani che proprio in Libia hanno costituito punto di appoggio importante;

la Conferenza di Palermo del 12 e 13 novembre si è chiusa con un nulla di fatto, senza alcun documento. Sul futuro della Libia, un Paese di rilevanza strategica per l'Italia sia dal punto di vista delle relazioni economiche che della gestione dei flussi migratori, non è emerso niente di definitivo. Su un tema di tale delicatezza il Governo ha organizzato un vertice cui non hanno partecipato i principali attori dell'area: mancavano, infatti, i Presidenti di Stati Uniti, Russia, Francia e la cancelliera Angela Merkel. A quanto detto, si aggiunga che anche il ministro dell'interno, Matteo Salvini, non ha partecipato al vertice lasciando trapelare l'impressione che all'interno dell'Esecutivo le posizioni su come affrontare la questione libica e i flussi migratori ad essa connessi non siano unitarie. A completare il quadro fallimentare è intervenuto il rifiuto del generale Khalifa Haftar di partecipare al vertice, a sole ventiquattr'ore dall'inizio ed il successivo ripensamento è apparso puramente formale. Apertasi nel peggiore dei modi la Conferenza si è conclusa anche con l'ulteriore complicazione dovuta all'abbandono anzitempo della delegazione turca;

l'UE ha più volte sostenuto che una soluzione politica della crisi in Libia può passare solo attraverso la determinazione di libere elezioni nel Paese, attraverso un processo inclusivo che comprenda la partecipazione di tutti gli attori coinvolti nel pieno rispetto delle leggi internazionali, della tutela dei diritti delle donne, dei diritti umani e delle leggi internazionali al riguardo;

il Consiglio dell'Unione europea ha recentemente richiamato la Libia a perseguire gli obiettivi anche stabiliti dalla Conferenza di Palermo, incluso la convocazione di una Conferenza nazionale in Libia nel 2019, la costruzione di strumenti legislativi adeguati al fine di convocare libere elezioni entro la primavera del prossimo anno;

particolare attenzione deve essere posta alla sistematica violazione dei diritti umani in Libia con particolare riferimento ai diritti delle donne, alle condizioni in cui versano migliaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, vittime di diffuse e sistematiche gravi violazioni dei diritti umani e abusi da parte delle guardie dei centri di detenzione ufficiali, della guardia costiera libica, dei trafficanti di esseri umani e dei gruppi armati, come più volte denunciato dalle ONG internazionali e da Amnesty International;

al quadro evidenziato occorre aggiungere quanto recentemente verificatosi nel Mar d'Azov e nello Stretto di Kerch. Le tensioni tra Russia e Ucraina - Mosca ha sequestrato tre navi della Marina di Kiev - sono esplose in un punto strategico per gli equilibri geopolitici dell'intera area. Lo Stretto, infatti, è l'unico passaggio dal Mar Nero al Mare di Azov ed è percorso da un ponte di quasi 20 chilometri, che unisce fisicamente la Russia alla Crimea, la penisola ucraina annessa dalla Federazione con un referendum mai riconosciuto dalla comunità internazionale. Sui gravissimi fatti accaduti, l'alto rappresentante della politica estera UE, Federica Mogherini, è intervenuta chiedendo alla Russia di allentare la tensione e di ripristinare la libertà di circolazione. L'Unione europea, ha ricordato, "non riconosce l'annessione illegale della penisola di Crimea alla Russia", snodo di tutti i contrasti recenti tra Mosca e la comunità internazionale;

relativamente al tema della disinformazione lo scorso 5 dicembre è stato presentato, congiuntamente dalla Commissione e dall'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, un piano d'azione contro la disinformazione che si concentra su quattro settori chiave, che dovrebbero potenziare le capacità dell'UE e rafforzare la cooperazione con gli Stati membri: 1) un'individuazione più efficace, anche attraverso il ricorso a personale specializzato; 2) una risposta coordinata, attraverso l'istituzione di un apposito sistema di allarme rapido; 3) piattaforme on-line e industria, chiamate all'attuazione degli impegni assunti nel codice di autoregolamentazione, concentrandosi sulle azioni urgenti in vista delle elezioni europee del 2019; 4) sensibilizzazione e responsabilizzazione dei cittadini, anche attraverso campagne di alfabetizzazione mediatica;

in questa occasione L'Alto rappresentante-Vicepresidente Federica Mogherini ha dichiarato: "Una democrazia sana si fonda su un dibattito pubblico aperto, libero ed equo. È nostro dovere proteggere questo spazio e non permettere a nessuno di diffondere notizie false che alimentano l'odio, le divisioni e la sfiducia nella democrazia. Abbiamo deciso di agire insieme, come Unione europea, e di rafforzare la nostra risposta, promuovere i nostri principi, sostenere la resilienza delle nostre società all'interno delle nostre frontiere e nel vicinato. Questo è il modo europeo di rispondere a una delle principali sfide dei nostri tempi.";

il recente scandalo Facebook-Cambridge Analytica ha dimostrato la facilità con la quale è possibile manipolare le opinioni dei cittadini, tracciando il loro profilo politico dai dati personali degli utenti e quanto sia altrettanto facile farne un cattivo uso per influenzare poi le scelte politiche;

il 14 novembre il Parlamento europeo in seduta plenaria ha svolto un intenso dibattito sul tema dell'influenza degli attori stranieri per la prossima campagna elettorale per il Parlamento europeo, nel corso del quale è emersa la necessità di adottare misure urgenti per garantire che le difese contro le interferenze straniere siano efficaci;

in materia di lotta al razzismo e alla xenofobia il 25 ottobre 2018 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione 2018/2869 (RSP) sull'aumento della violenza neofascista in Europa, con la quale ha preso atto che la mancanza di un'azione seria nei confronti dei gruppi neofascisti e neonazisti ha acconsentito il verificarsi dell'attuale impennata xenofoba in tutta Europa;

il Parlamento europeo ha manifestato, dunque, la sua preoccupazione per la "crescente normalizzazione del fascismo, del razzismo, della xenofobia e di altre forme di intolleranza nell'Unione europea" ed il suo turbamento a seguito di "notizie di collusione di leader politici, partiti politici e forze dell'ordine con neofascisti e neonazisti in alcuni Stati membri";

nella risoluzione viene, infatti, messo in luce come, a fronte della crescente minaccia dell'estremismo violento di destra, nessun Paese europeo sia rimasto immune dal fenomeno e, in particolare, ha ricordato l'orrendo massacro dei giovani laburisti avvenuto nel 2011 in Norvegia, l'assassinio della deputata Joe Cox in Gran Bretagna per motivi inerenti all'odio politico e all'intolleranza e i numerosissimi attacchi ai centri per l'asilo e alle moschee di tutta Europa;

i parlamentari europei, dopo aver ricordato che i gruppi e partiti politici apertamente neofascisti, neonazisti, razzisti e xenofobi incitano all'odio e alla violenza nella società e che la diffusione della retorica dell'odio on line conduce spesso ad un aumento della violenza, soprattutto da parte di gruppi neofascisti, hanno "condannato e deplorato vivamente gli attacchi terroristici, gli assassinii, la violenza psicologica, le aggressioni fisiche violente e le marce delle organizzazioni neofasciste e neonaziste che hanno avuto luogo in vari Stati membri dell'Unione europea";

la risoluzione del Parlamento europeo, dunque, prende atto di un fenomeno in costante crescita in tutta Europa, che colpisce la società nel suo insieme e la cui violenza finisce per essere rivolta in particolar modo contro tutte le minoranze, come quelle dei neri europei, persone di origine africana, ebrei, musulmani, rom, cittadini di Paesi terzi, persone lgbt e disabili e chiede agli Stati membri di indagare e perseguire i reati generati dall'odio e di condividere le migliori pratiche per individuare e indagare tali reati, compresi quelli motivati specificamente dalle varie forme di xenofobia, nonché di prevedere e fornire un sostegno adeguato per le vittime di reati di stampo razzista o xenofobo e dei reati di odio e la protezione di tutti testimoni contro i responsabili di tali reati;

con riferimento al tema dei cambiamenti climatici va rilevata l'azione della Commissione europea finalizzata a ribadire l'impegno dell'Europa a guidare l'azione internazionale per il clima, nonché delineare la transizione verso l'azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050. Una transizione che dovrà coniugare l'equità sul piano sociale con l'efficienza dal punto di vista dei costi e che dovrà vedere il coinvolgimento di tutti i settori dell'economia e della società, attraverso interventi congiunti in sette ambiti strategici: efficienza energetica; diffusione delle energie rinnovabili; mobilità pulita, sicura e connessa; competitività industriale e economia circolare; infrastrutture e interconnessioni; bioeconomia e pozzi naturali di assorbimento del carbonio; cattura e stoccaggio del carbonio per ridurre le emissioni rimanenti. Interventi in linea con l'obiettivo dell'Accordo di Parigi di mantenere l'aumento di temperatura ben al di sotto di 2°C, mentre proseguono gli sforzi per mantenere tale valore a 1,5°C;

in questo quadro di azione, gli Stati membri dovranno presentare i progetti di piani nazionali per il clima e l'energia, fondamentali per conseguire gli obiettivi al 2030 in questi settori;

tali temi sono al centro della ventiquattresima Conferenza delle Parti (COP24), in corso a Katowice, in Polonia, in preparazione della quale gli scienziati dell'Ipcc (la commissione dell'ONU sul cambiamento climatico, premio Nobel per la pace nel 2007) hanno invitato tutti i decisori politici ad assumere misure senza precedenti: la riduzione delle emissioni di gas serra e in particolare di anidride carbonica, attraverso il ricorso alle energie rinnovabili, alla mobilità elettrica, all'efficienza energetica, al riciclo dei rifiuti e al consumo di carne; la rimozione della CO2 attraverso riforestazione, cattura della CO2 e suo stoccaggio (tecniche Ccs) in depositi sotterranei;

sul piano interno, i primi segnali che vengono dall'azione di Governo non lasciano ben sperare stante i diversi tagli finanziari su importanti capitoli quali la Missione "Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell'ambiente (18)", la Missione "Infrastrutture pubbliche e logistica", interrompendo quel percorso di sviluppo sostenibile avviato nella passata legislatura e non contenendo quegli investimenti che ne consentirebbero la transizione ecologica per realizzare un modello di sviluppo sostenibile;

è necessario portare avanti, sia a livello europeo e internazionale, una strategia che indichi la centralità della crisi climatica ed ecologica quale occasione per la trasformazione dei processi produttivi basata sulla green economy, passando da modelli di produzione e consumo lineari al modello circolare che veda coinvolti il sistema dei trasporti, la rigenerazione delle città, la produzione alimentare, la qualità dei prodotti e dei processi industriali,

impegna il Governo:

in materia di bilancio europeo, a sostenere l'esigenza di implementare ulteriormente le risorse a favore della politica agricola comune con risorse finanziare almeno pari a quelle stanziate nel QFP in corso chiedendo, pertanto, di mantenere i livelli di finanziamento per PAC e politica di coesione per l'UE a 27 "almeno al livello del bilancio 2014-2020 in termini reali"; di triplicare l'attuale dotazione del programma Erasmus +; di raddoppiare i finanziamenti destinati alle PMI; di incrementare almeno del 50 per cento l'attuale dotazione per la ricerca e l'innovazione, portandola a 120 miliardi di euro; di raddoppiare la dotazione del programma LIFE, incrementare in modo sostanziale gli investimenti attraverso il Meccanismo per collegare l'Europa e garantire finanziamenti supplementari per sicurezza, migrazione e relazioni esterne, portando il nuovo QFP all'1,3 per cento del RNL dell'UE a 27;

relativamente al mercato unico, ad adoperarsi affinché si prosegua nel lavoro per la costruzione di un Mercato unico europeo pienamente efficiente, rafforzando la cooperazione tra gli Stati membri, procedendo sulla strada della costruzione di norme omogene e superando l'attuale frammentazione normativa nel mercato dei beni e servizi; a sostenere l'adozione di norme moderne ed efficaci capaci di considerare il mercato unico in tutte le sue forme, ricomprendendo anche quelle sviluppate sulle piattaforme digitali, fermo restando la difesa dei diritti dei lavoratori e della difesa dei consumatori;

sul tema immigrazione, a sostenere in sede europea le modifiche alle norme del Regolamento di Dublino, sulla base della proposta approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo, la quale è fondata sulla redistribuzione permanente dei richiedenti asilo e introduce dunque il principio della responsabilità condivisa e solidale, prevedendo - nel rispetto di quanto sancito dall'articolo 80 TFUE - che l'onere di procedere all'esame delle domande di asilo non gravi solo ed esclusivamente sul Paese di primo ingresso, ma riguardi tutti gli Stati membri dell'Unione, sulla base di criteri oggettivi calcolati in relazione al PIL e alla popolazione, stabilendo altresì un meccanismo sanzionatorio fondato su limitazioni all'accesso ai fondi UE per i Paesi che rifiutino di rispettare tale programma; ad affiancare la Commissione nell'apertura di un ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia UE nei confronti degli Stati membri che non hanno rispettato le decisioni obbligatorie del 2015 sul ricollocamento dei richiedenti asilo;

a sollecitare l'attuazione di un programma europeo di controllo efficace delle frontiere esterne, che implementi gli sforzi per combattere le reti criminali di trafficanti di uomini compiuti dal 2015 ad oggi, rafforzando i poteri e le competenze dell'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e incentivando le azioni di dialogo e collaborazione messe in campo dall'Italia con le autorità dei Paesi di origine e di transito, che hanno consentito di ridurre nel 2018 gli sbarchi del 78 per cento rispetto all'anno precedente;

a valutare nei consessi europei, bilaterali e multilaterali, l'importanza dell'adesione italiana al global compact, anche alla luce della numerosa adesione degli Stati che si è registrata in questi giorni, con ben 164 Paesi sottoscrittori, di cui 20 dell'UE e della Risoluzione adottata, a larga maggioranza dal Parlamento europeo nell'aprile 2018;

in merito alle relazioni esterne, a sostenere nel vertice in programma il 24 e 25 febbraio con la Lega araba il perseguimento di un processo di pace per la Siria e lo Yemen, conflitti che si protraggono da anni, soprattutto con riferimento a quest'ultimo, spesso nel generale silenzio internazionale; a proseguire nel senso indicato dalla road map del Segretario generale delle Nazioni Unite, affinché quanto prima si possano organizzare e svolgere libere elezioni in Libia e ad adoperarsi affinché gli organismi internazionali e rappresentanze dell'Unione europea possano direttamente vigilare che sia garantito il rispetto dei diritti umani in tale Paese;

in merito ai fatti verificatisi nel Mar d'Azov e nello Stretto di Kerch a collocarsi, come i partners europei in una posizione di piena sintonia con le dichiarazioni di cui in premessa dell'alto rappresentante della politica estera UE, Federica Mogherini, a tutela dell'integrità territoriale dell'Ucraina;

nel campo delle relazioni commerciali, a sostenere la posizione della Commissione volta a far pressione sull'amministrazione statunitense - con azioni misurate, proporzionate e pienamente in linea con le regole del WTO - affinché le misure protezionistiche adottate siano ritirate al più presto e non si dia seguito a quelle ulteriormente annunciate, rimarcando coerentemente in sede europea gli effetti potenzialmente molto negativi per la nostra economia di grande Paese esportatore di dazi e barriere al commercio;

sul tema razzismo e xenofobia, ad adoperarsi affinché siano adottate politiche coordinate nei confronti di gruppi neofascisti e neonazisti, e comunque nei confronti di tutte le forze politiche che aderiscano a teorie razziste e xenofobe, volte a rafforzare la legislazione per arginare e perseguire i reati di stampo razzista e xenofobo, e prevendo un impegno comune di tutti gli Stati membri per la diffusione, soprattutto tra le giovani generazioni, della cultura del rispetto delle differenze e dei popoli;

in materia di disinformazione, a sostenere l'adozione di norme comuni, in sintonia con quanto stabilito dal Piano d'azione della Commissione europea, in favore della libera informazione e della difesa del diritto dei cittadini a disporre di notizie certe e non inquinate da ingerenze esterne, capaci di manipolare l'orientamento dell'opinione pubblica e lo stesso regolare svolgimento delle consultazioni elettorali;

relativamente al tema dei cambiamenti climatici, ad adoperarsi affinché gli obiettivi indicati dalla Commissione in materia di politiche per il contrasto dei cambiamenti climatici siano concretamente e puntualmente portati avanti da tutti gli Stati europei e nelle relazioni commerciali dell'Unione, anche tenendo conto del ruolo di leadership che l'Unione potrà svolgere a livello globale, favorendo, da un lato, l'incremento delle risorse del bilancio europeo per clima e ambiente che, pur registrando un significativo aumento del 70,3 per cento rispetto al precedente QFP, con 5,4 miliardi di euro, non raggiungeranno nemmeno lo 0,5 per cento del bilancio UE e, dall'altro, prevedendo meccanismi che impegnino, salvo l'eventuale applicazione di misure sanzionatorie, gli Stati membri all'immediato abbandono dei combustibili fossili più inquinanti.

(6-00034)
MARCUCCI, ALFIERI, PITTELLA, MALPEZZI, MIRABELLI, VALENTE, COLLINA, FERRARI, BINI, CIRINNA'.