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Atto a cui si riferisce:
S.1/00053 premesso che: nella dichiarazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) sull'eliminazione della violenza contro le donne (1993), all'articolo 1, è precisato che con l'espressione...



Atto Senato

Mozione 1-00053 presentata da ANNA MARIA BERNINI BOVICELLI
mercoledì 21 novembre 2018, seduta n.061

BERNINI, MALAN, GALLIANI, GALLONE, GIAMMANCO, LONARDO, MALLEGNI, MANGIALAVORI, MOLES, RIZZOTTI, RONZULLI, PICHETTO FRATIN, AIMI, ALDERISI, BARACHINI, BARBONI, BATTISTONI, BERARDI, BERUTTI, BIASOTTI, BINETTI, CALIENDO, CANGINI, CARBONE, CAUSIN, CESARO, CONZATTI, CRAXI, DAL MAS, DAMIANI, DE POLI, DE SIANO, FANTETTI, FAZZONE, FERRO, FLORIS, GASPARRI, GHEDINI, GIRO, MASINI, Alfredo MESSINA, MINUTO, MODENA, PAGANO, PAPATHEU, PAROLI, PEROSINO, QUAGLIARIELLO, ROMANI, ROSSI, SACCONE, SCHIFANI, SCIASCIA, SERAFINI, SICLARI, STABILE, TESTOR, TIRABOSCHI, TOFFANIN, VITALI - Il Senato,

premesso che:

nella dichiarazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) sull'eliminazione della violenza contro le donne (1993), all'articolo 1, è precisato che con l'espressione "violenza contro le donne" si intendono tutti gli atti di violenza "fondati sul genere che abbiano come risultato, o che possano probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata";

la violenza nei confronti delle donne è considerata una violazione dei diritti umani fondamentali riconosciuti e garantiti, sia dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) che dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;

la violenza nei confronti delle donne, purtroppo, nonostante i numerosi strumenti di tutela internazionale che la condannano e i progressi normativi fatti, è un fenomeno tuttora diffuso in Europa;

la percezione della gravità e della diffusione dei crimini contro le donne, e della loro trasversalità socio-economica e geografica, ha indotto il Consiglio d'Europa ad adottare la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Tale documento, che si colloca nel solco di numerosi atti sovranazionali aventi analoghe finalità (come ad esempio: la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e i suoi Protocolli, la Carta sociale europea, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento, gli abusi sessuali e le mutilazioni genitali femminili; le raccomandazioni del Comitato dei ministri agli Stati membri del Consiglio d'Europa sulla protezione delle donne dalla violenza, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia (1989) e i suoi Protocolli opzionali (2000) e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (2006); lo statuto di Roma della Corte penale internazionale (2002)) è stato approvato dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 ed aperto alla firma l'11 maggio 2011 a Istanbul;

la Convenzione definisce la violenza contro le donne come una "violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata" (art. 3, lett. a)); quanto alla "violenza domestica", essa è identificata dalla Convenzione in "tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima" (art. 3, lett. b));

nel 2013, il Parlamento italiano, con la legge n. 77 del 2013, ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011 e approvato le "Disposizioni urgenti per il contrasto della violenza di genere" previste dal cosiddetto decreto anti-femminicidio (decreto-legge n. 93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2013). Lo stesso decreto-legge ha disposto l'adozione di un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;

la violenza di genere costituisce, da alcuni anni, oggetto di misurazione statistica anche in Italia. L'ISTAT ha infatti elaborato due indagini, una nel 2006 e nel 2014. In base ai dati dell'ultima indagine sulla sicurezza delle donne (2014), nel corso della propria vita poco meno di 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788.000), quasi una su tre (31,5 per cento), riferiscono di aver subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale, dalle forme meno gravi (come la molestia) a quelle più gravi, come il tentativo di strangolamento o lo stupro. Gli autori delle violenze più gravi (violenza fisica o sessuale) sono prevalentemente i partner attuali o gli ex partner: due milioni e 800.000 donne ne sono state vittime. Il 10,6 per cento delle donne dichiara di aver subìto una qualche forma di violenza sessuale prima dei 16 anni. Più di una donna su tre, tra le vittime della violenza del partner, ha riportato ferite, lividi, contusioni o altre lesioni (37,6 per cento). Circa il 20 per cento è stata ricoverata in ospedale a seguito delle ferite riportate. Più di un quinto di coloro che sono state ricoverate ha riportato danni permanenti;

la quota di straniere che dichiara di aver subito violenza fisica o sessuale è pressoché identica a quella delle donne italiane (31,3 per cento contro 31,5 per cento). Le forme più gravi di violenza sessuale sono più spesso riportate dalle donne straniere (7,7 per cento di stupri o tentati stupri contro il 5,1 per cento delle italiane), e più frequentemente sono commesse da partner attuali o precedenti (68,3 per cento degli stupri e 42,6 per cento dei tentati stupri). Nella maggior parte dei casi, la violenza subita da parte del partner è iniziata nel Paese di origine (68,5 per cento), mentre per quasi il 20 per cento è relativa a una relazione iniziata in Italia;

la previsione del reato di atti persecutori, il cosiddetto stalking, introdotto nel codice penale italiano all'articolo 612-bis nel 2009 e modificato dal decreto-legge anti-femminicidio nel 2013, ha provocato una crescente tendenza (in termini assoluti) alla denuncia, con conseguente aumento delle condanne;

l'articolo 572 del codice penale punisce con la reclusione da 2 a 6 anni chiunque maltratta una persona della famiglia, o il convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte. Il decreto-legge anti-femminicidio ha introdotto l'aggravante della "violenza assistita" per maltrattamenti commessi davanti ai figli, cioè "in presenza o in danno di un minore di anni diciotto", oppure "in danno di persona in stato di gravidanza";

un altro aspetto della violenza di genere è costituito dalle molestie e dai ricatti sessuali in ambito lavorativo. Con il decreto legislativo n. 80 del 2015 è stato previsto in favore delle vittime di violenza di genere, oltre a un indennizzo, la concessione di un congedo retribuito di tre mesi, valido sia per le lavoratrici dipendenti che per le titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;

nonostante gli interventi legislativi repressivi e preventivi il fenomeno della violenza contro le donne subisce continue recrudescenze;

la violenza contro le donne è un fatto culturale. Nei femminicidi, infatti, l'uomo considera la donna un suo possesso, un oggetto;

ecco perché bisogna educare i giovani, fin dalla più tenera età, al rispetto della persona in genere, e in particolare della donna, e a far sì che essa non venga considerata mai come un essere inferiore;

il sistema educativo assume significato nei diversi livelli e con modalità differenti nella lotta alla violenza sulle donne e alla violenza domestica. Nell'audizione del Ministro pro tempore dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Fedeli, svoltasi il 5 luglio 2017 e riportata nella Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, nonché su altra forma di violenza di genere, approvata il 6 febbraio 2018, "la scuola è un osservatorio privilegiato sulla vita delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi, in cui figure di prossimità di grande importanza, come gli insegnanti, possono favorire l'emersione della violenza subita e assistita, riconoscendo i segnali di disagio e attivando segnalazioni e percorsi di sostegno e di aiuto. I dati forniti dall'ISTAT, con la ricerca sulla violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia, mostrano che il 10 per cento delle donne vittime di violenze sessuali le ha subite prima dei 16 anni, quindi nella fascia d'età dell'obbligo scolastico; nel caso poi dei figli delle donne vittime di violenza, il 65 per cento ha assistito agli abusi subiti dalla madre e la violenza assistita si configura a tutti gli effetti come una violenza, con conseguenze anche molto gravi sullo sviluppo psicofisico del minore";

come evidenziato dal presidente dell'associazione "Telefono Rosa", dottoressa Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, nel corso dell'audizione svoltasi mercoledì 24 maggio 2017, "Il punto principale si sostanzia nel fatto che "la violenza nei confronti delle donne ha origini culturali; per questo è necessario un intervento organico sui nostri giovani. Non si possono fare interventi a pioggia nelle scuole senza organizzare un piano organico e di ampio respiro che ci consenta di strutturare percorsi di formazione sulla differenza di genere, sulla parità e sul rispetto reciproco. È necessario, quindi, inserire questa tematica nei piani scolastici come materia aggiuntiva e come parte fondamentale e integrante del programma scolastico. Sono undici anni che ci rechiamo nelle scuole per fare informazione perché siamo convinti che se non si parte dalla scuola non si arriverà da nessuna parte. I giovani sono il nostro futuro e sono loro che devono rientrare in una società meno violenta";

la scuola, senza sostituirsi alla famiglia, è chiamata a proporre e ad avviare le studentesse e gli studenti in modo adeguato all'età, a una riflessione sulla qualità dei rapporti tra uomo e donna, e deve impegnarsi nel realizzare una reale inclusione per valorizzare le singole individualità e coadiuvare le famiglie nell'educare le nuove generazioni al valore positivo della cultura del rispetto. La nascita di una dialettica tra identità e diversità consente la più compiuta affermazione dell'individuo;

sarebbe opportuno che le istituzioni scolastiche, anche promuovendo l'adozione di una strategia condivisa in collaborazione con le famiglie, le amministrazioni locali, i servizi socio-sanitari, gli altri soggetti del sistema di educazione e di formazione, inserissero la prospettiva all'educazione al rispetto nel piano di percorsi e di servizi che accompagnano l'uomo e la donna nelle diverse situazioni della vita e nello sviluppo del proprio progetto personale, educativo e professionale;

il problema, come riportato nella citata Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, è di entità tale da richiedere interventi che, in termini di costi e rispetto dei vincoli di bilancio pubblico, sono meno onerosi delle conseguenze derivanti dagli atti di violenza;

nel corso delle audizioni e degli incontri svolti nell'ambito dei lavori della Commissione, è emerso altresì il tema degli uomini maltrattanti, sotto il profilo del loro trattamento e della valutazione del rischio di recidiva. Per tale motivo, occorre prestare particolare attenzione anche al recupero degli uomini maltrattanti, intensificare percorsi di prevenzione e destinare specifiche risorse, come raccomandato nell'art. 16 della Convenzione di Istanbul, per cercare di prevenire i casi di recidiva e favorire l'adozione di comportamenti non violenti nell'ambito delle relazioni interpersonali;

a tale scopo, come riportato nella Relazione finale, l'attività svolta dai Comuni negli ultimi trent'anni e? consistita nella promozione di interventi rivolti immediatamente alle donne che avevano subito violenza e ai minori, attraverso il sostegno ai centri antiviolenza e alle case rifugio, apertura di sportelli d'ascolto, apertura dei cosiddetti codici rosa e, successivamente, sono stati aperti anche centri per uomini maltrattanti; si tratta di esperienze non ancora diffuse in tutti i Comuni ma che comunque non rappresentano più una eccezione;

rilevato, infine, che le attività conoscitive espletate dalla Commissione di inchiesta, mediante acquisizione di copia di atti giudiziari e ascolto diretto di soggetti e associazioni aventi esperienza in materia, hanno portato alla luce una tendenziale incomunicabilità tra i due diversi contesti, civile e penale, quasi che la diversità dei contenuti delle determinazioni da assumere rendesse irrilevante la conoscenza degli elementi fattuali acquisiti nei vari filoni processuali,

impegna il Governo:

1) ad adottare i provvedimenti necessari a promuovere e a sostenere, con azioni sistematiche e con garanzia che il personale che entra nelle scuole abbia i requisiti adeguati, percorsi formativi all'educazione al rispetto della donna nei curricoli scolastici di ogni ordine e grado, finalizzati a:

a) innescare un cambiamento culturale di trasformazione della società italiana nei riguardi del fenomeno della violenza maschile sulle donne;

b) educare tutti i cittadini stranieri che arrivano nel nostro Paese, a prescindere dalla loro cultura o pratica religiosa, al rispetto della donna, intesa come individuo con pari diritti dell'uomo e non come essere inferiore;

c) evidenziare il ruolo fondamentale che l'educazione al rispetto delle donne svolge per la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali;

2) a confermare che il contrasto alla violenza contro le donne e alla violenza domestica rientri fra le politiche prioritarie dell'azione di Governo;

3) a proseguire nella promozione di adeguate campagne di informazione e sensibilizzazione sulla violenza contro le donne e la violenza domestica, che stimolino pubblici dibattiti e favoriscano lo sviluppo di adeguate politiche di prevenzione anche attraverso il coinvolgimento dei mass media e della carta stampata;

4) ad intensificare iniziative e azioni di supporto ai percorsi di rieducazione degli uomini maltrattanti, introdotti dalla Convenzione di Istanbul, anche attraverso lo sviluppo di collegamenti e sinergie con il territorio, rispetto ai quali in Italia ad oggi si vedono attive poche realtà comunali e regionali;

5) con riferimento al finanziamento dei servizi e dei centri antiviolenza, ad adottare misure volte a rendere stabile e trasparente la destinazione delle risorse;

6) ad adottare ogni provvedimento necessario, affinché le autorità giudiziarie possano accedere autonomamente per verificare l'eventuale iscrizione di procedimenti penali per reati in tema di violenza di genere e procedimenti civili.

(1-00053)