• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
C.6/00019    in sede di esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018 (Doc LVII n. 1-bis), degli allegati e del relativo annesso;    premesso...



Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00019presentato daFORNARO Federicotesto diGiovedì 11 ottobre 2018, seduta n. 61

   La Camera,
   in sede di esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018 (Doc LVII n. 1-bis), degli allegati e del relativo annesso;
   premesso che:
    la nota di aggiornamento è stata presentata alle Camere con una settimana di ritardo rispetto alla scadenza prevista dall'articolo 7, comma 2, lettera b) della legge n. 196 del 2009, comprimendo di fatto i tempi del suo esame da parte del Parlamento;
    non risulta che le modifiche apportate al quadro programmatico in merito all'indebitamento netto rispetto a quanto approvato dal Consiglio dei ministri del 27 settembre 2018 siano state assunte con un'ulteriore deliberazione formale da parte del Consiglio dei ministri stesso;
    come rilevato anche dal Servizio bilancio di Camera e Senato, nella Nota di aggiornamento mancano l'articolazione per sottosettori del quadro programmatico in relazione all'aggiornamento degli obiettivi;
    nel rispetto delle prerogative del Parlamento, il Governo si deve attenere in maniera puntuale a quando previsto dalla legge di contabilità e di finanza pubblica in vigore, sia per le scadenze temporali che per le procedure ivi previste;
    per il nostro Paese, i più importanti istituti economici e finanziari internazionali e nazionali (FMI, Commissione europea, ISTAT, S&P, OCSE) stimano per il 2019 una crescita economica inferiore alle proiezioni di inizio anno: le stime passano dall'1,6-1,5 per cento all'1,1 per cento per il 2018, dall'1,4 per cento allo 0,9 per cento per il 2019 a legislazione vigente;
    la caduta del saggio di crescita atteso è generalizzata per l'insieme dell'eurozona;
    inoltre, il nostro Paese continua ad avere performance delle principali variabili economiche intorno alla metà della media dell'eurozona;
    inoltre, complice la ripresa economica americana, cominciano ad affacciarsi le prime avvisaglie di una bolla finanziaria che, con la minore crescita del PIL mondiale, potrebbe innescare in Europa un effetto moltiplicatore ben più grave di quella del 2008;
    la guerra valutaria, i dazi, i vincoli europei e la Brexit, sono fenomeni sociali ed economici che amplificano le difficoltà dei singoli Paesi, i quali sarebbero indifesi se dovesse esplodere una nuova crisi non potendo contare né sulla BCE né sul sistema bancario oramai troppo saturo di titoli di Stato;
    si profila, infatti, un'inversione della politica monetaria da parte della BCE dopo il quasi raggiungimento del 2 per cento di inflazione (che Paesi come la Francia e l'Olanda hanno già superato);
    il QE ha dato liquidità alle banche grazie all'acquisto sul mercato secondario dei titoli di debito pubblico. Questo avrebbe dovuto spingerle a fornire credito alle imprese che avrebbero potuto utilizzare quelle risorse per investire, facendo ripartire il ciclo. Ciò è accaduto solo parzialmente perché le imprese stesse non registravano una domanda adeguata, stante il decremento dei redditi delle famiglie, gli alti tassi di disoccupazione, la diminuzione degli investimenti pubblici che, ad esempio in Italia, sono calati ad un terzo del periodo pre-crisi;
    l'agenda liberista delle cosiddette «riforme strutturali» va sostituita con un programma pluriennale keynesiano che faccia ripartire gli investimenti pubblici relegati dagli ultimi governi al livello più basso che la storia dell'Italia repubblicana ricordi, in particolare nel Mezzogiorno. Fra il 2008 ed il 2018 gli investimenti pubblici sono diminuiti del 46 per cento e nel 2018 essi rappresentano solo l'1,9 per cento del Pil;
    da anni le politiche di austerity strutturalmente recessive sono fra le cause delle specifiche difficoltà che l'Unione europea ha avuto ad emergere dalla crisi e del come ne è uscita (divergenza economica, marginalizzazione delle economie periferiche, impoverimento e svalutazione del lavoro e del welfare);
    nell'ottica di sostenere i soggetti maggiormente colpiti dalla crisi, la manovra intende anche potenziare il sostegno al reddito ai nuclei in condizioni di povertà e rafforzare le politiche attive del mercato del lavoro (ad esempio reddito di cittadinanza e riordino dei centri per l'impiego). Apprezzabile appare anche lo sforzo di rafforzare la lotta all'evasione attraverso l'adozione di misure più efficaci ed incisive basate sull'uso incrociato di banche dati e lo sviluppo di software informatici ad hoc (ad esempio la trasmissione elettronica dei corrispettivi). Su quest'ultimo aspetto, tuttavia, va detto che l'indirizzo del Governo in tema di contrasto all'evasione fiscale appare decisamente contraddittorio e inaccettabile laddove intravede la possibilità di poter proseguire con l'opera di recupero delle entrate attraverso la creazione di nuove occasioni di condono fiscale (cosiddetta «pace fiscale»);
    le spese fuori dai parametri per essere convincenti devono puntare risolutamente a finanziare gli investimenti pubblici. Inoltre, per sostenere il confronto con le istituzioni dell'Unione europea e l'ideologia deflazionistica dei gruppi dirigenti dell'eurozona, occorre costruire innanzitutto un'alleanza dei paesi euromediterranei, rifuggendo da ogni velleitario disegno di raccordo con i Paesi del Gruppo di Visegrad che perseguono politiche neo-liberiste che aggraverebbero ulteriormente la crisi dell'eurozona;
    misure come «Quota 100» o il portare le pensioni minime a 780 euro, insieme a misure di contrasto più deciso alla povertà (seppur parziali e fortemente condizionate), rappresentano provvedimenti condivisibili;
    dobbiamo rilevare però che tali provvedimenti sono caratterizzati da incertezza, confusione, e mancanza di trasparenza, che ne minano la potenziale efficacia. Sono misure parziali che nascondono alcuni sotterfugi e che sono poi negativamente compensate da interventi sul piano fiscale del tutto conservatori, a partire dalla proposta di flat-tax e della cosiddetta «pace fiscale» (invece che l'iniezione nel sistema fiscale di maggior progressività e l'introduzione di una tassa sui grandi patrimoni);
    dubbi sorgono anche in merito alle coperture dell'insieme dei provvedimenti delineati nella Nota di aggiornamento del DEF 2018 per i rischi di impatto regressivo dei previsti tagli di spese e aumenti di entrate;
    la previsione dell'impatto espansivo della manovra sul Pil, dalla crescita di 0,9 per cento nello scenario «tendenziale», all'1,5 per cento per il 2019 nel quadro programmatico, pur non negando l'effetto espansivo di alcune spese correnti volte ad incrementare i redditi e l'occupazione (rianimando la domanda interna si crea una protezione anche rispetto a shock finanziari che potrebbero colpire le esportazioni), può risultare pienamente credibile solo se accanto alle necessarie misure sociali si riservino cospicue risorse per gli investimenti pubblici, volano indispensabile per creare nuovo lavoro, nuovo sviluppo sostenibile e di conseguenza una reale e duratura diminuzione del rapporto debito/Pil tramite una crescita del denominatore;
   valutato che:
    il Governo dovrebbe dunque, ferme restando le esigenze di contrastare la povertà e di correggere almeno in parte le distorsioni sociali della Fornero, concentrare l’extra-deficit sugli investimenti pubblici, in particolare nel Mezzogiorno;
    gli investimenti pubblici devono, inoltre, essere rivolti non soltanto alle poche grandi opere ma anche a molte piccole opere di più rapida cantierabilità e di diretto impatto sui cittadini;
    in particolare, il nostro Paese necessita di una pluralità di interventi strutturali per la difesa del territorio e dell'ambiente, che richiedono un impegno dello Stato con un piano di investimenti pubblici che consenta: la promozione di un'economia a basse emissioni in linea con gli obiettivi della COP21; un programma di mobilità sostenibile e per la rigenerazione urbana che parta dalle periferie; la strategia «rifiuti zero»; una riduzione dei consumi, in particolare di quelli energetici; un radicale efficientamento di casa, mobilità e trasporti e la contestuale conversione dei consumi residui verso uno scenario al 100 per cento rinnovabile entro il 2050;
    occorre, dunque, una rete di piccole opere diffuse sul territorio che fanno capo in maggioranza agli enti locali. A questo riguardo è decisiva la riforma integrale del pareggio di bilancio per i Comuni, le Province e le Regioni risolvendo il problema degli avanzi di bilancio attualmente pari secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio a 16,2 miliardi (10,8 nelle Regioni e 5,3 negli enti locali, di cui 3,7 miliardi nei soli Comuni);
    significativamente nella Nota di aggiornamento la parola «Mezzogiorno» è appena accennata a proposito di spettacolo e beni culturali, e nonostante alcuni esponenti del Governo accennino agli sgravi contributivi per i disoccupati, alle misure per accelerare l'utilizzo dei fondi europei ed al programma di investimenti diffusi, manca una riserva adeguata di quest'ultimi per il Sud;
    inoltre, le modifiche intervenute sulle modalità di utilizzo delle risorse del cosiddetto Fondo periferie determinano un secco taglio di risorse a carico degli enti territoriali per investimenti già destinati per progetti in delicati settori, e spostare queste risorse al Fondo per finanziare gli avanzi di amministrazione significa che queste risorse andranno prevalentemente, ai Comuni del centro-nord, compiendo pertanto un'operazione di redistribuzione territoriale. Infatti l'80 per cento degli avanzi di amministrazione riguarda i comuni del centro-nord;
    non convince, poi, l'indicazione delle risorse che dovrebbero derivare nel biennio 2019-2020 dalle privatizzazioni (10 miliardi), sia per la contraddizione con l'enunciazione del proposito di nazionalizzare la gestione delle autostrade, che per le difficoltà incontrate dalle politiche di dismissione nel corso degli ultimi anni, difficoltà risolte con la vendita, da non proseguire, delle partecipazioni di Enel, Eni e altri asset del Tesoro alla Cassa Depositi e Prestiti;
    il capitolo della Nota di aggiornamento concernente i provvedimenti fiscali è il più insoddisfacente. Rappresenta l'anticamera dell'ennesima riduzione di tasse a favore delle fasce più ricche della popolazione e con effetti pesantemente regressivi e recessivi. Il Governo con la proposta della Flat Tax si accinge ora ad agevolare fiscalmente i redditi più alti, riducendo anche l'imposizione sui profitti, confermando in modo inequivocabile il senso di classe della riforma fiscale progettata;
    lo stesso allargamento del forfettone per le partite Iva a 65 mila euro, utile in termini di alleggerimento del carico burocratico e fiscale per una larga fascia di Partite Iva, rischia da un lato di allargare il ricorso ai pagamenti in nero da parte di autonomi e professionisti per rientrare nel limite dell'agevolazione e dall'altro di incentivare il ricorso da parte delle aziende al lavoro autonomo fittizio, creando altresì una iniqua sperequazione con il lavoro dipendente; peraltro, la stessa relazione tecnica allegata alla bozza del decreto-legge fiscale collegato alla legge di bilancio 2018 attribuisce alla rottamazione «ter» un gettito di 11 miliardi di euro in 5 anni (periodo di rateizzazione), ma con un minore incasso proprio nel 2018 dovuto sia all'attesa dei contribuenti dell'entrata in vigore di tali disposizioni che al minor gettito della stessa rottamazione «bis» determinato dalla preferenza dei contribuenti per la preannunciata rottamazione che prevede 5 anni di rateizzazione invece di due (si prevedono dunque importi pari a: 2018: –94 milioni; 2019: 255 milioni; 2020: 1.266 milioni; 2021: 1.682 milioni; 2022: 3,6 miliardi; 2023: 3,6 miliardi);
    preoccupante è il ricorso al condono fiscale ipotizzato fino a 500 mila euro di reddito evaso e lo stesso condono contributivo. Andare in deficit per tagliare le tasse rappresenta una politica neo-reaganiana e non keynesiana, e dunque una politica non solo iniqua socialmente ma inefficace per sostenere lo sviluppo;
    per il cosiddetto «reddito di cittadinanza» viene confermato l'ammontare di 780 euro a persona (pari alla soglia di povertà assoluta) che cresce al crescere dei componenti del nucleo familiare sulla base dei tabellari Istat. La misura si declina come l'integrazione di reddito necessaria per raggiungere tale soglia. Se si dovesse applicare tale provvedimento a tutti coloro che hanno un reddito inferiore a tale livello (si tratta di circa 5 milioni di persone che vivono in 778.000 famiglie), come è stato più volte calcolato anche in sede Istat, il costo complessivo risulterebbe superiore a 10 miliardi di euro. Le risorse si rivelano quindi insufficienti e per risolvere questo problema si sono introdotti dei limiti di accesso;
    con una tale impostazione si ignora un'elementare verità: la povertà non è sempre e non è solo legata a mancanza di lavoro. Una quota rilevante di famiglie povere sono composte da persone di età compresa fra i 18 e i 60 anni che già lavorano ma sono impiegate in attività precarie o così scarsamente remunerate da non garantire un reddito decoroso. Difficile pensare si tratti di persone che non hanno voglia di lavorare: secondo l'Istat, il 67 per cento dei part time nel nostro paese sono involontari;
    in altre famiglie ci sono persone adulte non occupabili, perché disabili gravi o gravemente invalidi o perché, e si tratta per lo più di donne, impegnate in lavori di cura: accudimento di minori e di anziani non autosufficienti. Si riduce così drasticamente la quota di famiglie povere in cui ci sono adulti attivabili al lavoro. Alla mancanza di reddito si associano altre difficoltà: scarsa qualificazione o mancanza di esperienze per l'inserimento lavorativo, disabilità, disagio abitativo (sempre più frequentemente legato a crisi familiari), emarginazione imputabile allo status di immigrato o a precedenti esperienze di vita come il carcere;
    per queste ragioni è sbagliato affidarne la gestione ai centri per l'impiego, e non, come avviene nel Rei, ai servizi sociali dei Comuni che, attraverso la «presa in carico», riconoscono le difficoltà specifiche dei singoli nuclei familiari e possono agire in collegamento non solo con i centri per l'impiego, come va fatto in tutti in casi in cui è possibile attivare percorsi di formazione e inserimento lavorativo, ma anche con la rete delle altre competenze presenti sul territorio: scuole, Asl, enti di volontariato, ecc.;
    la valutazione del superamento (parziale) della legge Fornero sulle pensioni e la cosiddetta «pensione di cittadinanza» dipende dai dettagli delle norme. È evidente che «quota 100» realizzata attraverso un abbattimento attuariale sarebbe iniqua verso le retribuzioni più basse. Cinque anni di mancati contributi possono anche significare una riduzione della pensione del 15-20 per cento rispetto a quella che si avrebbe andando in pensione a 67 anni. Per una pensione a 67 anni stimata in 1.500 euro mensili, il pensionamento a 62 può significare un assegno di 1200 euro. Ne consegue che potranno beneficiarne di più solo i percettori di pensioni più ricche;
    con riguardo invece alla pensione di cittadinanza, non si può che valutare positivamente questo provvedimento, anche alla luce della constatazione che l'Italia ha un livello medio della pensione tra le più basse d'Europa. Esiste però il problema di chi pur avendo versato contributi previdenziali ed avendo un trattamento pensionistico basso sarà equiparato a chi non ha fatto nessun versamento. Con il rischio, se non si inquadra tale disposizione in un riesame complessivo della materia previdenziale, di incrementare le spinte al lavoro in nero;
    ad una prima lettura mancano i fondi per l'istruzione così come mancano le risorse per gli aumenti legati ai rinnovi contrattuali del personale scolastico. Ci sono solo molte parole, buoni propositi, elenchi di cose già messe in cantiere e che non costano (revisioni esami, bandi di concorso già programmati e che forse con fatica andranno a buon fine come per i DSGA), forse un aumento del tempo pieno e prolungato (se ci sono le condizioni), la formazione per il personale ATA (a risorse invariate) e così andando. Non si fa nessun accenno alla generalizzazione della scuola dell'infanzia e all'inserimento dell'organico di potenziamento. È previsto un intervento sull'alternanza scuola-lavoro, oltre al differimento dello svolgimento da parte degli studenti del monte ore di alternanza quale requisito di ammissione agli esami di Stato – al fine di rendere i percorsi il più possibile orientativi e di qualità. In tal senso il monte ore globale verrà ridefinito in base al percorso scolastico; si passerebbe dalle attuali 200 ore del Liceo a 90 ore e dalle attuali 400 ore di Tecnici e Professionali a 150 per i tecnici e 180 per i professionali con un conseguente risparmio tra i 50 e 60 milioni di euro, altri 35 milioni provengono da fondi non spesi direttamente dal MIUR;
    si conferma la costante riduzione della previsione del rapporto spesa sanitaria/PIL che si attesta, per il 2019, ad un livello pari al 6,5 per cento, in una condizione di decrescita per il prossimo triennio fino a risultare pari al 6,4 per cento nel 2021. Queste stime non consentono di invertire in modo strutturale il percorso di definanziamento della sanità pubblica, già da anni significativamente sotto la media dei rispettivi valori della UE a 15, mettendo a rischio l'universalismo di accesso e il diritto alla cura per tutti i cittadini nel territorio nazionale;
    occorre maggiore certezza sulle risorse da investire per il rilancio del Servizio sanitario nazionale, anche perché le Regioni hanno lanciato un allarme avvertendo la necessità di più fondi per finanziare la spesa per i farmaci innovativi e per pagare gli aumenti dell'ultimo contratto nazionale per il settore;
    il Servizio sanitario nazionale deve essere universale. I ticket sono uno strumento di tassazione che non è eticamente accettabile e occorre procedere in modo rapido all'abolizione dei superticket;
    preoccupano le notizie confuse circa il possibile taglio delle detrazioni sanitarie come un'ipotetica fonte di copertura della manovra. È assolutamente evidente che ciò si scaricherebbe sulle famiglie, in particolare per i redditi medi o medio-bassi;
    da quello che è possibile leggere nella nota di aggiornamento del Def non vi è previsione, né quantificazione, delle risorse necessarie per rinnovare i contratti e per finanziare le assunzioni e fare investimenti nell'innovazione delle pubbliche amministrazioni. Dal momento che il ministro della Pubblica amministrazione e altri esponenti del Governo in queste settimane hanno dichiarato più volte che invece le risorse ci sarebbero state, il Governo deve chiarire al più presto tale questione,

impegna il Governo

   a finanziare, con risorse aggiuntive annuali per 0,5 per cento punti percentuali di Pil (circa 9 miliardi) un programma triennale di investimenti, un Green new deal, per la totale decarbonizzazione del nostro Paese e per la transizione da un'economia lineare a una circolare. Un Piano Verde che si concretizzi altresì in un programma pluriennale di edilizia residenziale pubblica, di piccole opere per la messa in sicurezza del territorio, per la sicurezza anti-sismica e degli edifici scolastici, recuperando le risorse anche:
    1) dal drastico ridimensionamento dei sussidi ambientalmente dannosi (SAD) di cui al Catalogo redatto dal Ministero dell'ambiente ai sensi dell'articolo 68 della legge n. 221 del 2015, sussidi pari complessivamente a più di 15 miliardi annui;
    2) dalla soppressione della cedolare secca sugli affitti, misura che non ha fatto emergere alcun affitto al nero ma che è costata all'erario 2,2 miliardi di cui 1,86 miliardi a favore del decimo di popolazione relativamente più ricco (dati dell'Agenzia delle entrate);
    3) da una rinnovata impostazione di lotta all'evasione fiscale con particolare riguardo all'Iva;
   a finanziare alcune spese sociali previste nella manovra («reddito di cittadinanza») anche con il maggior gettito derivante dall'introduzione di un contributo straordinario di solidarietà triennale (2019-2021) per i contribuenti con grandi patrimoni che da questa crisi sono usciti più ricchi di prima;
   a rilanciare le politiche a tutela della salute e dell'assistenza sanitaria, garantendo che non si scenda al di sotto del livello del 6,6 per cento del Pil e assicurando investimenti pubblici per il rinnovamento tecnologico e l'edilizia sanitaria;
   a concentrare i suddetti programmi di investimento nel Mezzogiorno, per una quota di risorse complessive non inferiore al 45 per cento del totale;
   a prevedere, al fine della attuazione di tali programmi, le assunzioni necessarie per profili professionali nelle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali, anche nei settori della ricerca, dell'università, del sistema formativo, del monitoraggio e della protezione del territorio;
   in deroga a quanto stabilito nell'ultima Legge di bilancio, a prevedere che gli oneri per il rinnovo contrattuale del personale sanitario siano posti a carico del settore del pubblico impiego e non del Fondo per il Servizio sanitario nazionale;
   a chiedere una modifica del Fiscal compact che vada nella direzione di una golden rule relativa alle spese per investimenti, anche nazionali, nonché alle spese per Ricerca & Sviluppo e innovazione, escludendo le spese militari;
   a rafforzare in misura adeguata la Web tax ed a intensificare il contrasto all'evasione, in particolare delle imprese senza residenza fiscale in Italia, dedicando le maggiori risorse ad interventi:
    1) sul sistema pensionistico per completare la salvaguardia degli esodati, garantire «opzione donna» e una «quota rosa» inferiore a 100 per le donne, le più penalizzate dalla legge Fornero (con uno scalone di più di 5 anni) ed eliminare l'innalzamento automatico indifferenziato dell'età di pensionamento all'aspettativa media di vita;
    2) a modifiche del cosiddetto «reddito di cittadinanza» che consideri la realtà multidimensionale della povertà prevedendo un forte ruolo non solo dei Centri per l'impiego ma degli stessi enti locali e dei servizi sociali;
    3) ad investimenti nei settori dell'istruzione e dell'università pubbliche, anche attraverso: un piano pluriennale di stabilizzazioni nella scuola che garantisca un costante equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento, prevedendo l'introduzione dell'organico di potenziamento nella scuola dell'infanzia e rintracciando una immediata soluzione per tutti i docenti precari; misure per garantire l'innalzamento dell'obbligo di istruzione, l'aumento del numero dei laureati (soprattutto nelle lauree tecniche e scientifiche), la lotta alla dispersione scolastica, la formazione degli adulti; l'estensione dei servizi educativi per l'infanzia, che ne garantisca la presenza su tutto il territorio nazionale;
   a prevedere, in tempi molto rapidi, interventi atti ad implementare la bassa capacità di spesa attualmente registrata da parte degli enti locali e territoriali, e a stanziare le risorse compensative alternative per finanziare lo sblocco degli avanzi di gestione;
   ad avviare ogni utile iniziativa volta a favorire un reale processo di riqualificazione urbana delle periferie finanziando tutti i progetti del «Bando periferie» ed attraverso progetti per il rilancio dell'economia territoriale sostenibile, il potenziamento e la creazione di servizi socio-culturali, di infrastrutture e di recupero edilizio, e la mobilità sostenibile, anche prevedendo un piano pluriennale per la rigenerazione delle periferie;
   a far sì che nessun trasferimento di poteri e risorse a una Regione sia attivato finché non siano definiti i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (articolo 117, lettera m), della Costituzione) e che il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle Regioni sia ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza.
(6-00019) «Fornaro, Fassina, Pastorino, Bersani, Boldrini, Conte, Epifani, Fratoianni, Muroni, Occhionero, Palazzotto, Rostan, Speranza, Stumpo».