• C. 791-A-bis EPUB presentata il 26 giugno 2018. BARTOLOZZI Giusi, Relatore di minoranza

link alla fonte  |  scarica il documento in PDF

Atto a cui si riferisce:
C.791 Disposizioni in materia di azione di classe


XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 791-A-bis

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
SALAFIA, D'UVA, MOLINARI, CANTALAMESSA, DIENI, PIERA AIELLO, ASCARI, BARBUTO, BUSINAROLO, CATALDI, DI SARNO, DI STASIO, DORI, D'ORSO, GIULIANO, PALMISANO, PERANTONI, SAITTA, SARTI, SCUTELLÀ, BISA, BONIARDI, DI MURO, MARCHETTI, PAOLINI, POTENTI, TATEO, TURRI

Disposizioni in materia di azione di classe

Presentata il 26 giugno 2018

(Relatrice di minoranza: BARTOLOZZI)

  Onorevoli Colleghi! — In un ordinamento moderno il riconoscimento della class action rappresenta un'importante evoluzione sul piano culturale e giuridico: l'istituto, infatti, agevola la tutela di una pluralità di soggetti danneggiati da una stessa condotta illecita, oltre a realizzare obiettivi di economia processuale. Ma è importante che l'azione non sia concepita e disciplinata come uno strumento di carattere punitivo nei confronti delle imprese, bensì di tutela ulteriore rispetto a quelli ordinari esistenti di matrice privatistica.
  Equità ed equilibrio costituiscono le basi per delineare un modello di class action efficace e orientato al principale obiettivo che è di ovviare «all'apatia razionale» del soggetto danneggiato il quale, per l'esiguità del pregiudizio subìto o per la sproporzione dei rapporti col danneggiante, non agirebbe in assenza di uno strumento di aggregazione processuale.
  Ciò premesso, la proposta di legge in esame sconta una serie di criticità figlie del medesimo pregiudizio ideologico: l'atteggiamento sospettoso e punitivo nei confronti del mondo imprenditoriale.
  La tutela dei consumatori è certamente un'esigenza fondamentale, che va ribadita con forza, e perseguita mediante norme che agevolino la tutela dei diritti della «parte debole». È altrettanto certo, però, che l'obiettivo possa essere perseguito anche senza approcci vessatori, che finiscono per moltiplicare esponenzialmente il contenzioso, aggravare ingiustificatamente gli oneri (probatori ed economici) a carico delle imprese ed esporle sine die a sanzioni draconiane. Questa è, infatti, la deriva inevitabile cui porterebbe, se approvata nel testo in esame, la proposta di legge in materia di class action.
  Ad essa non può cedersi a cuor leggero, tanto più che l'Italia è parte integrante del mercato unico europeo: i principi introdotti riverbererebbero i loro effetti negativi sui consumatori e sulle imprese di tutta Europa, sollevando numerosi dubbi di legittimità rispetto ai parametri del diritto comunitario. In questa prospettiva, il testo dovrà necessariamente coordinarsi con il pacchetto «New Deal» per i consumatori proposto recentemente dalla Commissione europea, al fine di garantire che tutti i consumatori godano pienamente dei diritti riconosciuti loro dalla legislazione dell'Unione. Il «New Deal» dovrebbe consentire a soggetti «riconosciuti» di avviare azioni rappresentative in nome e per conto dei consumatori; conferire alle autorità nazionali preposte alla tutela dei consumatori poteri sanzionatori più incisivi, ed estendere la protezione dei consumatori all'ambiente online, vietando le pratiche di doppio standard qualitativo che possono trarre in inganno.
  Poste queste premesse generali e venendo alle specifiche criticità del testo, si rileva un vero e proprio campionario di aberrazioni giuridiche che travalicano troppo spesso il segno del ragionevole contemperamento fra gli interessi in campo e sfociano non di rado, proprio a causa dell'eccesso d'impeto, nell'eterogenesi dei fini.
  Innanzitutto, la mancata previsione del principio dell'irretroattività dell'azione, quando al contrario sarebbe necessario che le nuove disposizioni si applicassero ai fatti commessi dopo la loro entrata in vigore. Il testo in esame prevede, infatti, che la nuova normativa, densa di risvolti procedurali e prima ancora sostanziali, sia retroattiva anche in relazione a fatti e comportamenti antecedenti alla sua entrata in vigore. Oltre a creare gravi incertezze e problemi di coordinamento, si viola una regola di civiltà dello Stato di diritto (sebbene non costituzionalizzata, salvo che in ambito penale), quella secondo cui la legge non dispone che per l'avvenire. Regola che, a quanto pare, sembra essere stata smarrita.
  Assumono fondamentale rilievo le nuove modalità di adesione all'azione che attualmente il codice del consumo prevede come possibile solo dopo l'ordinanza che ammette l'azione, ma non a seguito della sentenza di merito. Il testo all'esame prevede, diversamente, che l'adesione possa avvenire in due distinti momenti: nella fase immediatamente successiva all'ordinanza che ammette l'azione e nella fase successiva alla sentenza che definisce il giudizio. Ciò comporta una perdurante incertezza sulle dimensioni della classe e, quindi, sull'impatto che il giudizio può avere sulla parte convenuta con l'impossibilità di approntare le cautele, di ordine anche contabile, necessarie a far fronte ad un'eventuale soccombenza. Peraltro, ciò riduce drasticamente la definizione in via transattiva delle controversie dal momento che anche questa opportunità presuppone per l'impresa di poter contare su un perimetro certo di danneggiati aderenti. Non per ultimo, tale meccanismo viola il principio della parità delle posizioni processuali in quanto azzera di fatto il rischio di soccombenza di coloro che sceglieranno di aderire solo dopo la pronuncia favorevole e lede il diritto di difesa, poiché il convenuto avrebbe contezza del numero dei soggetti che vantano una pretesa risarcitoria solo dopo la conclusione della causa. Senza contare il rischio di incentivare comportamenti opportunistici da parte di coloro che potranno attenderne l'evoluzione e valutare, in funzione dell'esito, se aderirvi o meno, vanificando nei fatti il meccanismo di opt-in.
  Anche l'ambito oggettivo dell'azione subisce un ingiustificato allargamento. Il testo in esame prevede infatti che l'azione sia esperibile a tutela delle situazioni soggettive maturate a fronte di condotte lesive per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni; tale estensione del giudizio di classe a tutte le ipotesi di responsabilità extracontrattuale, oltre che contrattuale, risulta incompatibile con la ratio dell'istituto, idoneo a tutelare situazioni omogenee da aggregare in un'unica sede processuale.
  Si consente di agire ad «organizzazioni» o «associazioni senza scopo di lucro» senza requisiti individuati dal legislatore in ordine alla loro stabilità e rappresentatività: questa scelta normativa consente di creare «scatole» ad hoc al solo fine di alimentare il contenzioso; di fatto aumenteranno i procedimenti giudiziari e non si tuteleranno gli interessi degli stessi consumatori che rischiano di affidarsi inconsapevolmente a strutture aggregative del tutto instabili e assolutamente incapaci di rappresentarne appieno gli interessi. Le proposte di Forza Italia tese ad individuare i criteri di qualificazione che organizzazioni e associazioni devono possedere, in ordine a requisiti partecipativi, qualificativi e organizzativi, sono state rigettate. Al loro posto figura una semplice delega in bianco al Ministero della giustizia.
  Il testo all'esame, poi, incentiva la moltiplicazione dei processi – scenario di cui certo il nostro ordinamento non ha bisogno, ed in controtendenza al quale dovremmo invece muoverci – mediante misure fortemente premiali verso iniziative che paiono meramente opportunistiche. In caso di condanna, la parte convenuta è tenuta a pagare, in aggiunta al risarcimento del danno, un compenso diretto e ulteriore di natura premiale all'avvocato dell'attore, al rappresentante comune della classe (che spesso è lo stesso avvocato dell'attore) e ai difensori degli attori delle cause riunite risultati vittoriosi. Tale modalità di strutturazione del compenso, a tacer d'altro, si pone in contrasto le previsioni della Raccomandazione della Commissione europea sui meccanismi di ricorso collettivo (11 giugno 2013) che, con riferimento alla definizione degli onorari degli avvocati e al relativo metodo di calcolo, puntualizza proprio la necessità che essi non creino incentivi alla litigiosità.
  Spetta sempre alla parte convenuta anticipare e corrispondere in via definitiva i costi necessari per l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio (CTU), in contrasto col principio giurisprudenziale secondo cui tali spese devono essere anticipate in giudizio dalla parte che richiede la consulenza, e poi poste definitivamente a carico della parte che, alla fine, soccombe; tale disposizione sembra infatti non tener conto della natura della CTU e, più in generale, della disciplina delle spese di lite. La CTU, infatti, è una prestazione effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio in cui è resa e, più in generale, nell'interesse superiore della giustizia, per cui il relativo compenso è solidalmente a carico di tutte le parti. Peraltro, la giurisprudenza fa salvo il principio della soccombenza (Cassazione, n. 23522/2014; n. 1023/2013; n. 1183/2012; n. 28094/2009), accollando il pagamento delle spese per la CTU alla parte soccombente ovvero consentendo alla parte vittoriosa di rivalersi su di essa.
  La parte attorea beneficerà, poi, di un regime probatorio agevolato che consente al giudice di avvalersi di dati statistici e presunzioni semplici per accertare la responsabilità del convenuto, nonché agli aderenti di soddisfare il proprio onere probatorio mediante dichiarazioni rese da terzi, senza che il giudice o il convenuto possano verificarne l'attendibilità e la veridicità. Ciò in spregio alle previsioni di cui all'articolo 2697 del codice civile, secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
  Il testo all'esame si presenta, quindi, quale proposta di legge disarmonica e del tutto inidonea a disincentivare la litigiosità. Troppe norme pongono a carico dei convenuti una serie di oneri, insidie nonché vere e proprie punizioni giudiziali, che finiscono per ledere gravemente lo stesso diritto fondamentale alla difesa in giudizio (all'interno del quale confluiscono, peraltro, la parità delle armi, il diritto al contraddittorio, il diritto alla prova, il diritto alla terzietà e imparzialità del giudice), ex articoli 24 della Costituzione, 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, 48 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: il rischio è che tali norme si espongano a censure di costituzionalità oppure determinino condanne da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea e della Corte europea dei diritti dell'uomo.
  Siamo ancora in tempo ad intervenire con equità ed equilibrio e così licenziare un testo normativo che rappresenti davvero un rafforzamento di tutele per i consumatori ed anche per il mondo produttivo. Solo così si potrà contribuire a delineare un modello di class action idoneo a tutelare realmente i diritti dei consumatori ed al contempo ad evitare comportamenti opportunistici in danno delle imprese.
  Si tratta di tematiche che abbiamo a cuore per l'attenzione che Forza Italia ha sempre riservato al mondo produttivo.

Giusi BARTOLOZZI,
Relatrice di minoranza.