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Atto a cui si riferisce:
C.695 Delega al Governo per l'introduzione di forme di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese


FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 695

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa della deputata POLVERINI

Delega al Governo per l'introduzione di forme di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese

Presentata il 6 giugno 2018

  Onorevoli Colleghi! — Ai sensi dell'articolo 46 della Costituzione, la Repubblica italiana, «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione (...) riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Tale principio, però, non ha mai trovato attuazione nel nostro ordinamento, nonostante in più occasioni all'interno del Parlamento si sia registrata un'ampia e trasversale maggioranza favorevole all'introduzione di strumenti partecipativi volti a superare la dicotomia capitale-lavoro. Al conflitto di classe si contrappone una visione collaborativa, propria di una parte del pensiero politico e sindacale, riconducibile alla dottrina sociale della chiesa, al riformismo socialista, ad ambienti più illuminati del liberalismo, a componenti nazionali della destra più sociale e, sul versante sindacale, principalmente alla Confederazione italiana sindacati nazionali dei lavoratori (CISNAL), oggi Unione generale del lavoro (UGL), e alla Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL).
  A partire dalla Rerum Novarum di Leone XIII, del 15 maggio 1891, almeno cinque pontefici hanno ribadito la centralità del lavoro e l'importanza di una proficua collaborazione fra datore di lavoro e lavoratori. Quaranta anni dopo, Pio XI, con la Quadragesimo Anno (15 maggio 1931), ritornò sul tema ribadendo al paragrafo 54 quanto segue: «Di qui avviene che, tolto il caso che altri lavorino intorno al proprio capitale, tanto l'opera altrui quanto l'altrui capitale debbono associarsi in un comune consorzio, perché l'uno senza l'altro non valgono a produrre nulla. Il che fu bene osservato da Leone XIII, quando scrisse: Non può sussistere capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale (enc. Rerum Novarum, n. 16). Per cui è del tutto falso ascrivere al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l'opera unita dell'uno e dell'altro; ed è affatto ingiusto che l'uno arroghi a sé quel che si fa, negando l'efficacia dell'altro».
  Ancora più esplicito fu il contributo di Giovanni XXIII, il quale nell'enciclica Mater et Magistra (15 maggio 1961), al paragrafo 78, scrive: «78. Inoltre muovendoci sulla linea tracciata dai nostri predecessori, noi pure riteniamo che sia legittima nei lavoratori l'aspirazione a partecipare attivamente alla vita delle imprese, nelle quali sono inseriti e operano. Non è possibile predeterminare i modi e i gradi di una tale partecipazione, essendo essi in rapporto con la situazione concreta che presenta ogni impresa: situazione che può variare da impresa a impresa, e nell'interno di ogni impresa è soggetta a cambiamenti spesso rapidi e sostanziali. Crediamo però opportuno richiamare l'attenzione sul fatto che il problema della presenza attiva dei lavoratori esiste sempre, sia l'impresa privata o pubblica: e, in ogni caso, si deve tendere a che l'impresa divenga una comunità di persone nelle relazioni, nelle funzioni e nella posizione di tutti i suoi soggetti».
  Giovanni Paolo II, con l'enciclica Laborem Exercens (14 settembre 1981), dopo aver premesso «il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dal resto delle creature», dedica il titolo III al conflitto tra lavoro e capitale nella presente fase storica, scrivendo, fra l'altro: «13. (...); retto, cioè intrinsecamente vero e al tempo stesso moralmente legittimo, può essere quel sistema di lavoro che alle sue stesse basi supera l'antinomia tra lavoro e capitale (...). L'antinomia tra lavoro e capitale non ha la sua sorgente nella struttura dello stesso processo di produzione, e neppure in quella del processo economico». Nel paragrafo successivo, Giovanni Paolo II è ancora più esplicito: «In questa luce acquistano un significato di particolare rilievo le numerose proposte avanzate dagli esperti della dottrina sociale cattolica ed anche dal supremo Magistero della Chiesa. Sono, queste, le proposte riguardanti la comproprietà dei mezzi di lavoro, la partecipazione dei lavoratori alla gestione e/o ai profitti delle imprese, il cosiddetto azionariato del lavoro, e simili».
  In una sua successiva enciclica, la Centesimus Annus (1° maggio 1991), Giovanni Paolo II torna ad affrontare questi temi, ribadendo che davanti ad un sistema economico che assicura l'assoluta prevalenza del capitale, «non si pone, come modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta essere un capitalismo di Stato, ma una società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione».
  Tali temi echeggiano anche nell'enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI (29 giugno 2009), il quale valuta negli organismi intermedi, in particolare nel sindacato che partecipa, una risposta adeguata alle sfide della globalizzazione, fonte di contrazione dei diritti dei lavoratori e dei diritti fondamentali dell'uomo.
  Il tema della partecipazione trova ampio spazio anche all'interno dell'Unione europea, dove si registra un diffuso consenso su alcuni princìpi generali: partecipazione volontaria; estensione a tutti i lavoratori dipendenti; chiarezza e trasparenza; esistenza di una formula predefinita; regolarità; necessità di evitare rischi eccessivi per i dipendenti; distinzione tra la retribuzione e i redditi provenienti dai regimi di partecipazione finanziaria; compatibilità con la mobilità dei lavoratori.
  Il dialogo sociale è lo strumento per rimuovere gli ostacoli esistenti, con l'obiettivo di estendere la partecipazione alle piccole e medie imprese, al settore del no profit e al settore pubblico.
  In due articoli della Carta sociale europea (gli articoli 21 e 22; la Carta sociale europea è stata recepita nel nostro ordinamento con la legge 9 febbraio 1999. n. 30) vi è un riferimento esplicito ai temi della partecipazione, che ritroviamo anche in diverse direttive e raccomandazioni: direttive 75/129/CEE (si veda ora la direttiva 98/59/CE); 77/187/CEE (sostituita dalla direttiva 2001/23/CE), con significativo impatto sui Paesi con tradizione volontaristica come il Regno Unito; direttiva 80/987/CEE (ora direttiva 2008/94/CE), sui casi di insolvenza del datore di lavoro; raccomandazione 92/443/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1992, concernente la promozione della partecipazione dei lavoratori subordinati ai profitti e ai risultati dell'impresa; direttiva 94/45/CE, sui comitati aziendali europei e sulla consultazione transnazionale (sostituita dalla direttiva 2009/38/CE); direttiva 2001/86/CE del Consiglio, dell'8 ottobre 2001, sul coinvolgimento dei lavoratori nella società europea; direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, su un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori.
  In questo quadro normativo generale, l'esperienza partecipativa di maggior successo in Europa è indubbiamente quella tedesca, che si presenta come valido modello da seguire anche in un'ottica di governance dei fenomeni inerenti alla globalizzazione. Mentre altre economie europee hanno mostrato in questi anni forti limiti, il sistema produttivo tedesco ha saputo reagire, aumentando la produttività e i salari dei lavoratori dipendenti.
  Occorre, infine, ricordare come nella XVI legislatura ampia parte dello schieramento politico ha condiviso i contenuti di un testo unificato elaborato dal Comitato ristretto costituito in seno alle Commissioni riunite 6a e 11a del Senato della Repubblica (atto Senato n. 803 e abbinati) con un'impostazione che sostanzialmente si inserisce nel solco europeo.
  La partecipazione, enucleata nelle sue diverse forme, si presenta quindi come un modello utile ed efficace per contrastare pericolose spinte centrifughe e contrapposizioni dannose per il sistema Paese; per migliorare la produttività delle aziende e il clima all'interno delle stesse, con una riduzione degli incidenti sul lavoro e del rischio di «stress-lavoro correlato»; per incrementare, infine, gli stipendi dei lavoratori dipendenti.
  La presente proposta di legge si compone di quattro articoli. L'articolo 1, comma 1, contiene una delega al Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per l'introduzione di forme di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, ai sensi dell'articolo 46 della Costituzione, previo confronto con le regioni, le province autonome e le parti sociali. Il comma 2, dopo aver richiamato le norme europee sui comitati aziendali, detta i princìpi e criteri direttivi cui il Governo deve conformarsi nell'esercizio della delega.
  L'adesione a forme partecipative è volontaria e nasce dall'accordo fra azienda e organizzazione sindacale dei lavoratori che sottoscrivono un accordo – che può avere valenza aziendale, territoriale e nazionale – con il quale le parti individuano il livello di partecipazione da adottare. L'accordo collettivo può prevedere l'istituzione di comitati aziendali di controllo e di indirizzo, forme di consultazione rafforzata, altri comitati, comunque denominati, per specifiche materie individuate dalla legge o dai contratti collettivi nazionali di lavoro (a titolo non esaustivo si segnalano: la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, la promozione delle pari opportunità, il contrasto ai fenomeni del mobbing e della discriminazione, le politiche di family audit). È possibile adottare forme di partecipazione agli utili e al capitale societario, anche attraverso la costituzione di fondazioni o enti. I decreti legislativi dovranno prevedere, inoltre, forme di agevolazione fiscale e contributiva, laddove l'accordo collettivo favorisca gli incrementi di produttività, e criteri minimi di rappresentatività e di validazione degli accordi collettivi, ferma restando la disponibilità delle parti a decidere di comune accordo. L'articolo 2 disciplina i termini per l'espressione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, mentre l'articolo 3 assicura la copertura del provvedimento, attraverso la previsione di spesa di 50 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018 a valere sulle risorse del fondo per il finanziamento di esigenze indifferibili, di cui al comma 199 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Delega al Governo per l'introduzione di forme di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende).

  1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e sentite le parti sociali, uno o più decreti legislativi per l'attuazione del diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, ai sensi dell'articolo 46 della Costituzione.
  2. Ferma restando la normativa vigente in materia di comitati aziendali europei, i decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

   a) facoltà per le aziende di stipulare, con le organizzazioni sindacali operanti in azienda, un accordo collettivo per individuare forme di collaborazione alla gestione dell'azienda o, in alternativa, nelle aziende nelle quali non è presente una rappresentanza sindacale, di sottoporre ai lavoratori dipendenti l'ipotesi di introdurre forme di collaborazione alla gestione dell'azienda, attraverso referendum da approvare a maggioranza;

   b) facoltà per le organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti di stipulare un accordo collettivo interconfederale, anche territoriale, al fine di individuare forme di collaborazione alla gestione delle aziende;

   c) autonomia delle parti contraenti l'accordo collettivo nella scelta della forma di collaborazione da adottare fra le seguenti:

    1) istituzione di un organismo di sorveglianza e di indirizzo sull'andamento e sulle scelte di gestione aziendale che preveda la partecipazione di rappresentanti dei lavoratori eletti o designati dalle organizzazioni sindacali operanti in azienda;

    2) istituzione di organismi congiunti paritetici con competenze specifiche su materie individuate in sede di contrattazione collettiva, quali: sicurezza e salute nei luoghi di lavoro; pari opportunità; produttività e organizzazione del lavoro; politiche di family audit, intese quale strumento manageriale di organizzazione del lavoro e dei servizi aziendali in un'ottica di rafforzamento delle misure a sostegno delle famiglie dei lavoratori dipendenti; mobbing e discriminazioni nei luoghi di lavoro;

    3) istituzione di forme di partecipazione dei lavoratori dipendenti agli utili dell'impresa, anche attraverso la distribuzione di quote di azioni o di capitale societario;

    4) istituzione di soggetti collettivi, fondazioni, enti o società, per l'accesso dei lavoratori dipendenti al capitale dell'impresa;

    5) previsione di un rafforzamento degli obblighi di informazione e di consultazione periodici delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, se previsti dalla normativa nazionale e dell'Unione europea o dai contratti collettivi nazionali di lavoro, o individuazione di nuovi obblighi aventi le medesime finalità informative e partecipative;

    6) previsione di un rafforzamento delle procedure di verifica dei risultati e delle decisioni adottate nell'ambito di piani industriali o di altri progetti condivisi;

    7) ogni altra forma di collaborazione riconosciuta dalla normativa nazionale e dell'Unione europea e dai contratti collettivi nazionali di lavoro;

   d) individuazione di agevolazioni fiscali e contributive da riconoscere in caso di sottoscrizione di un accordo collettivo che rafforzi la partecipazione economica o gli incrementi di produttività;

   e) individuazione dei requisiti minimi di rappresentatività delle organizzazioni sindacali dei lavoratori per la stipulazione dell'accordo collettivo quali: stipulazione di accordi collettivi nazionali, anche interconfederali; presenza sul territorio nazionale e in azienda; risultati conseguiti nelle elezioni per le rappresentanze sindacali unitarie e nei fondi di previdenza complementare.

Art. 2.
(Parere delle Commissioni parlamentari).

  1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono trasmessi alle Camere entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, per l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, da rendere entro due mesi dalla data di assegnazione.
  2. Le Commissioni parlamentari esprimono il proprio parere, indicando specificamente le eventuali disposizioni ritenute non conformi ai princìpi e criteri direttivi di cui alla presente legge.
  3. Il Governo, tenuto conto dei pareri di cui al comma 2, entro un mese dalla data di espressione del parere parlamentare, ritrasmette alle Camere, con le sue osservazioni e con le eventuali modificazioni, i testi per il parere definitivo delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro un mese dalla data di assegnazione.

Art. 3.
(Copertura finanziaria).

  1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in 50 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018, si provvede mediante corrispondente riduzione delle risorse del fondo di cui all'articolo 1, comma 199, della legge 23 dicembre 2014. n. 190.
  2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.