• C. 541 EPUB Proposta di legge presentata il 18 aprile 2018

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Atto a cui si riferisce:
C.541 Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di protezione dei minori i cui genitori siano tratti in arresto o sottoposti a pene detentive o a misure cautelari restrittive della libertà personale


FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9
                        Articolo 10
                        Articolo 11
                        Articolo 12
                        Articolo 13

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 541

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
BRUNO BOSSIO, D'ALESSANDRO,
DE MENECH, FRAGOMELI, GIACHETTI, UBALDO PAGANO, PEZZOPANE, ROTTA, UNGARO, ZARDINI

Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di protezione dei minori i cui genitori siano tratti in arresto o sottoposti a pene detentive o a misure cautelari restrittive della libertà personale

Presentata il 18 aprile 2018

  Onorevoli Colleghi! — Con la presente proposta di legge si intende affrontare uno degli aspetti più significativi della questione dell'infanzia violata, quella del cosiddetto indottrinamento mafioso, cioè l'esposizione quotidiana e costante dei minori, figli di genitori appartenenti alla criminalità organizzata, alle logiche antisociali e apertamente contra legem che i clan pongono alla base della loro stessa sopravvivenza.
  È cosa abbastanza nota che molte organizzazioni criminali, in particolare quella considerata come la più pericolosa, irriducibile e pervasiva, la ’ndrangheta calabrese, si reggono su una struttura rigidamente familistica.
  Si tratta di un sistema di relazioni basate essenzialmente sulla famiglia di sangue, laddove il legame di consanguineità coincide con quello criminale e con la condivisione del contesto malavitoso.
  Il processo di affiliazione comincia attraverso un'educazione che assume il carattere di un vero e proprio indottrinamento mafioso, spesso affidato alle donne, soprattutto quando queste sono chiamate a custodire l'integrità della famiglia durante la latitanza o il carcere dei propri congiunti.
  Al minore viene quindi trasmesso un sistema di valori distorti, basati sull'affermazione di una diversità che si nutre di codici e rituali propri, illegali e legali, la cui riconoscibilità sociale è affidata a una cultura basata sulla forza e sulla sopraffazione.
  In buona sostanza, il mafioso o lo ndranghetista non è certamente un soggetto che trascura le proprie responsabilità materiali di genitore, ma piuttosto che le interpreta secondo un codice diverso, alternativo a quello dello Stato democratico basato sul principio di legalità.
  Per un bambino crescere in contesti di mafia non vuol dire solo assorbire la negatività della dimensione valoriale sostenuta dalla sua famiglia, ma anche subire la disincentivazione al processo naturale di progressivo distacco dal nucleo familiare d'appartenenza e subire, senza neppure accorgersene, lo schiacciamento della propria individualità.
  Ciò ha come effetto inesorabile la perdita definitiva della propria autonomia e della propria personalità, che si dissolvono all'interno di un sistema di relazioni patologico, in cui viene riconosciuto esclusivamente il gruppo familiare e non i singoli membri che lo compongono nelle loro diversità e nelle loro peculiarità.
  È questa lettura che, ad esempio, ha indotto il tribunale per i minorenni di Reggio Calabria a interrogarsi sull'idoneità genitoriale di chi interpreta il proprio figlio soltanto come uno dei tanti beni a sua disposizione, negandogli la possibilità di essere altro rispetto all'universo da cui proviene.
  Nel caso di minori educati in contesti mafiosi il tribunale per i minorenni è chiamato a valutare non soltanto la «quantità» dell'educazione impartita ai figli che vivono in contesti mafiosi, ma anche la sua «qualità».
  Se è del tutto evidente che la semplice appartenenza a una famiglia mafiosa, qualora questa non trasmetta valori educativi indirizzati alla criminalità, non può costituire presupposto sufficiente per l'emanazione di provvedimenti ablativi o restrittivi della responsabilità genitoriale, è anche vero che l'educazione dei figli non è lasciata comunque al libero arbitrio del genitore o dei genitori.
  Ovviamente non si tratta di proporre un modello educativo che sia oggettivamente valido per tutti, né si può riconoscere, sic et simpliciter, il diritto allo Stato di sindacare sempre e comunque le scelte educative (e quindi di orientamento religioso o ideologico o altro) dei genitori per i propri figli, ma di affermare alcuni elementi di questa educazione che trovano il proprio fondamento nella forza delle leggi dello Stato democratico.
  D'altro canto il dovere educativo dei genitori nei confronti dei propri figli è richiamato nell'articolo 30 della Costituzione («È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli») e ribadito nell'articolo 147 del codice civile («l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli» deve essere assolto tenendo conto «delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni»).
  La Corte di cassazione, in diverse sentenze, ha precisato come «il dovere dei genitori di educare i figli minori non consiste solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti e di presenza accanto ai figli, a fronte di circostanze che essi possono non essere in grado di capire o di affrontare» e come gli stessi genitori «devono svolgere una costante opera educativa, onde realizzare una personalità equilibrata, la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale» (Cassazione civile, sentenza n. 9556 del 22 aprile 2009; Cassazione civile, sentenza n. 18804 del 28 agosto 2009).
  I genitori devono, dunque, fornire ai figli un bagaglio educativo grazie al quale essi non pongano in essere comportamenti pericolosi e potenzialmente dannosi per i terzi e devono provvedere a correggere quegli aspetti del carattere del figlio che denotino imprudenza e leggerezza.
  Al centro ci deve sempre essere l'interesse del minore (al quale è stato riconosciuto anche il diritto di intervenire nel processo decisionale che lo riguarda), come solennemente sancito nell'articolo 3, paragrafo 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva dalla legge n. 176 del 1991: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».
  Resta, tuttavia, aperto il problema di sostenere, con un ulteriore sforzo legislativo, il difficile compito di valutazione dei giudici dei tribunali per i minori.
  Sono stati gli stessi magistrati per i minori, infatti, a porre in evidenza, durante una serie di audizioni svolte dalla Commissione parlamentare antimafia in Calabria alla fine di ottobre 2015, la necessità di trovare una linea univoca nella direzione della tutela minori esposti alle logiche di inglobamento su cui i clan si sono retti sino ad oggi.
  A seguito di tali audizioni è emerso un grave vuoto normativo in relazione alle informazioni all'autorità giudiziaria minorile relative alla condizione detentiva di uno dei due genitori di figli minori.
  A parte l'ipotesi dell'obbligo di informazione al tribunale per i minorenni prevista dall'articolo 609-decies del codice penale, che riguarda alcune ipotesi di reato molto gravi, come la pornografia minorile o i maltrattamenti in famiglia, non esiste un obbligo generale di informare i tribunali per i minorenni competenti per territorio nel caso in cui uno o entrambi i genitori siano stati tratti in arresto per un qualunque altro reato.
  L'assenza di un obbligo di informazione in caso di arresto, ovvero di custodia cautelare, ovvero ancora di sentenza di condanna a pena detentiva di uno dei due genitori di figli minori, impedisce all'autorità giudiziaria minorile di intervenire tempestivamente a tutela dei minori stessi che, in casi di tal fatta, corrono un duplice rischio: o essere allontanati dal contesto familiare in via d'urgenza dagli operatori dei servizi senza il vaglio della magistratura, oppure essere lasciati senza alcun intervento utile in contesti potenzialmente pregiudizievoli per la loro incolumità psicofisica.
  Per ovviare a tale vuoto normativo gli uffici giudiziari del distretto di Reggio Calabria hanno assunto l'autonoma iniziativa di sottoscrivere un apposito protocollo d'intesa, sulla base del quale si sono impegnati a fornire reciproche informazioni nel precipuo interesse della tutela dei minori e al fine di promuovere l'attuazione di azioni sinergiche e coordinate.
  Che questa esigenza sia particolarmente urgente è testimoniato dalla risoluzione della VI commissione del Consiglio superiore della magistratura (CSM), relatori i consiglieri Antonio Ardituro ed Ercole Aprile, del 31 ottobre 2017, in materia di tutela dei minori nell'ambito del contrasto alla criminalità organizzata.
  Nella risoluzione si legge come essa rappresenta «un ulteriore tassello dell'attività della commissione in materia di criminalità organizzata (...), che in questa delibera rivolge la propria attenzione all'analisi delle esperienze e prassi operative dei tribunali che si occupano di minori inseriti in contesti di criminalità organizzata.
  In tale specifico settore – prosegue la risoluzione – è difatti emersa la consapevolezza della necessità di adottare provvedimenti che – nell'interesse del minore – siano idonei a svolgere una funzione di prevenzione e recupero dei minori stessi, intervenendo sul contesto familiare e/o sociale di provenienza, poiché tale contesto spesso ne determina una evoluzione in senso criminale del percorso di crescita.
  La fenomenologia criminale – in special modo nelle regioni meridionali – mostra, di recente, un frequente coinvolgimento di minori in attività illecite legate ad associazioni criminali, spesso di tipo mafioso (attività che consistono, a mero titolo esemplificativo, in spaccio di stupefacenti, estorsioni, omicidi). Tale coinvolgimento appare il frutto, per un verso di una ingente forza di attrazione esercitata dalla «cultura» mafiosa su giovani alla ricerca di facile conquista di (presunti) potere, ricchezza e realizzazione di sé, laddove invece le istituzioni vengono spesso viste solo sotto una luce negativa, e, per un altro verso, di una sorta di coartazione a delinquere derivante dalle influenze provenienti dal contesto familiare, che trasmette ai minori valori di marcata connotazione criminale.
  In questa prospettiva, nella prassi si è andata affermando la tendenza ad adottare con sempre maggiore frequenza provvedimenti di decadenza o limitazione della potestà genitoriale (fino ad arrivare alla dichiarazione di adottabilità) e di collocamento del minore in strutture esterne al territorio di provenienza, onde recidere il legame con i condizionamenti socio-ambientali.
  Alla base di tali provvedimenti è stata posta la qualificazione della famiglia di origine come "famiglia maltrattante" che, per le modalità con cui "educa" i figli, ne compromette lo sviluppo psicofisico».
  Da qui, secondo la risoluzione, l'esigenza di agire in direzione di un «potenziamento degli strumenti a disposizione dei giudici minorili» e di procedere ad un necessario riassetto normativo, con misure idonee a supportare la tendenza «ad adottare con sempre maggiore frequenza provvedimenti di decadenza o limitazione della potestà genitoriale (fino ad arrivare alla dichiarazione di adottabilità) e di collocamento del minore in strutture esterne al territorio di provenienza, onde recidere il legame con i condizionamenti socio-ambientali» e a promuovere «un'efficace azione da parte dei servizi minorili e dei servizi sociali, che possano trarre risultati concreti dai citati percorsi di recupero».
  La risoluzione conclude con l'invito a sviluppare «una collaborazione fra uffici giudiziari ordinari e uffici minorili, nei casi in cui emergano pregiudizi all'integrità psicofisica di minori a causa del contesto in cui maturano determinati delitti» e a «garantire tutela anche ai figli minori di testimoni e collaboratori di giustizia, tutela che potrebbe essere garantita attraverso protocolli di collaborazione tra i diversi uffici giudiziari coinvolti».
  È stato proprio grazie alle esperienze maturate all'interno degli uffici giudiziari di Reggio Calabria, alle segnalazioni del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Calabria sulla necessaria tutela dei minori che vivono in contesti familiari di ’ndrangheta, alle sollecitazioni giunte alla Commissione parlamentare antimafia e, infine, alla risoluzione del CSM del 31 ottobre 2017, che si è pervenuti alla formulazione ed alla presentazione di questa proposta di legge, il cui nucleo fondamentale consiste nella previsione dell'obbligo generale di informare le procure presso i tribunali per i minorenni competenti per territorio dell'avvenuto arresto o fermo, ovvero dell'applicazione di una misura cautelare a carattere restrittivo, ovvero ancora della sentenza di condanna a carico di uno o entrambi i genitori di minori di età inferiore a diciotto anni.
  Specifiche norme sono previste anche per il caso di dichiarazione di latitanza di uno dei genitori e valutazione della sussistenza di un rischio di indottrinamento mafioso o deviante dei minori.
  Le leggi devono tutelare tutti, ma in particolare devono tutelare coloro che non possono difendersi da soli, e soprattutto i minori ai quali la vita non ha concesso risorse familiari, culturali e ambientali idonee a garantire loro il diritto inviolabile a un sano sviluppo psico-fisico.
  Le diverse istituzioni dello Stato hanno pertanto il dovere di mettere in campo tutte le iniziative necessarie per sostenere le nuove generazioni e di evitare, con azioni sinergiche, che queste subiscano passivamente la cultura della rassegnazione e della resa.
  In questo senso la presente proposta di legge vuole rappresentare un contributo nell'affermazione della tutela del superiore interesse del minore.
  La proposta di legge è composta da tredici articoli, che modificano alcuni articoli del codice di procedura penale, del codice penale, del codice civile e del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'interno 13 maggio 2005, n. 138.
  In particolare gli articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 7, modificando gli articoli 371, 292, 347 e 656 e introducendo l'articolo 387-bis del codice di procedura penale nonché modificando l'articolo 609-decies del codice penale, intervengono per affermare l'obbligo di informazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni dell'avvenuto arresto o fermo, dell'applicazione di una misura cautelare a carattere restrittivo o della sentenza di condanna a pena detentiva o della dichiarazione di latitanza emessa nei confronti di uno o entrambi i genitori di minori di diciotto anni e del coordinamento degli uffici giudiziari in presenza di minori.
  L'articolo 6, modificando l'articolo 275 del codice di procedura penale, stabilisce l'obbligo della procura della Repubblica e della procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di contemperare le esigenze di custodia cautelare dei genitori di figli minori di diciotto anni con i diritti al normale sviluppo psicofisico di questi ultimi.
  L'articolo 8 modifica l'articolo 296 del codice di procedura penale, fissando l'obbligo di comunicare la dichiarazione di latitanza di soggetti genitori di minori alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni e al tribunale per i minorenni competenti per territorio per gli adempimenti di competenza.
  L'articolo 9 modifica l'articolo 572 del codice penale, al fine di affermare la tutela dei minori in presenza di rischi di indottrinamento mafioso.
  Gli articoli 10, 11 e 12, modificando gli articoli 9, 10 e 11 del citato regolamento di cui al decreto del Ministro dell'interno n. 138 del 2005, intendono colmare il vuoto di tutela tra la proposta di ammissione dei collaboratori di giustizia al piano provvisorio di protezione e la relativa delibera della Commissione centrale, al fine di evitare situazioni prolungate di limbo assistenziale per il minore, oltre che di mancato assolvimento degli obblighi scolastici.
  Infine, l'articolo 13 modifica l'articolo 332 del codice civile, introducendo un meccanismo premiale per i soggetti genitori di figli minori ammessi a piani di protezione ai fini della loro riammissione alla responsabilità genitoriale, qualora ne siano stati privati da un provvedimento precedente, al fine esplicito di incoraggiare la scelta di intraprendere un percorso di legalità.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

  1. All'articolo 371 del codice di procedura penale sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

   «3-bis. Il procuratore della Repubblica, quando procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), o, comunque, dei delitti previsti dall'articolo 609-decies del codice penale, laddove emergano situazioni pregiudizievoli per l'integrità psicofisica di soggetti minorenni, riconducibili a condotte dei genitori idonee a integrare i presupposti per l'eventuale adozione di provvedimenti ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile, ne dà immediata comunicazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni e al tribunale per i minorenni.
   3-ter. Nei casi di cui al comma 3-bis si applica il comma 1 e gli uffici diversi che procedono a indagini collegate nei distinti procedimenti penali e civili si coordinano tra loro avendo cura che l'eventuale audizione del minore avvenga con le cautele necessarie e per una sola volta. Gli uffici diversi possono altresì compiere congiuntamente specifici atti e si raccordano nella fase esecutiva dei distinti provvedimenti, contemperando le esigenze di segretezza delle indagini penali con quelle di tutela dei minori coinvolti».

Art. 2.

  1. Dopo l'articolo 387 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

   «Art. 387-bis. – (Adempimenti della polizia giudiziaria nel caso di arresto o di fermo di soggetto maggiorenne che abbia figli di età inferiore a diciotto anni). – 1. Nell'ipotesi in cui il soggetto arrestato o fermato per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), o, comunque, dei delitti previsti dall'articolo 609- decies del codice penale sia maggiorenne e abbia figli di età inferiore a diciotto anni, la polizia giudiziaria, senza ritardo, dà notizia dell'avvenuto arresto o fermo alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni competente per territorio, per l'adozione delle opportune misure di tutela nei confronti della prole».

Art. 3.

  1. All'articolo 292 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

   «3-bis. L'ordinanza con cui il giudice applica la misura degli arresti domiciliari o quella della custodia cautelare in carcere per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), o, comunque, dei delitti previsti dall'articolo 609-decies del codice penale nei confronti di un soggetto maggiorenne che ha figli di età inferiore a diciotto anni è comunicata alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni competente per territorio, per l'adozione delle opportune misure di tutela nei confronti della prole».

Art. 4.

  1. Dopo il comma 3 dell'articolo 347 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

   «3-bis. Se si tratta di taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), o, comunque, dei delitti previsti dall'articolo 609-decies del codice penale, nonché quando emergano situazioni comunque pregiudizievoli per l'integrità psico-fisica di soggetti di età inferiore a diciotto anni, la polizia giudiziaria, senza ritardo, segnala alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni e al tribunale per i minorenni ogni notizia utile, anche ai fini dell'eventuale adozione di provvedimenti ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile».

Art. 5.

  1. Al primo comma dell'articolo 609-decies del codice penale sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni».

Art. 6.

  1. Al comma 4 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «In presenza di figli minori di diciotto anni la procura della Repubblica e la procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni hanno l'obbligo di contemperare le esigenze cautelari del procedimento penale in corso con quelle derivanti dal diritto dei minori a intrattenere le relazioni indispensabili per il loro normale sviluppo psico-fisico.».

Art. 7.

  1. Dopo il comma 3 dell'articolo 656 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

   «3-bis. Se il condannato è un soggetto maggiorenne che ha figli di età inferiore a diciotto anni, l'ordine di esecuzione è comunicato alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni competente per territorio, per l'adozione delle opportune misure di tutela nei confronti della prole».

Art. 8.

  1. All'articolo 296 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

   «5-bis. Il provvedimento che dichiara la latitanza di un soggetto che ha figli di età inferiore a diciotto anni è comunicato tempestivamente alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni e al tribunale per i minorenni competenti per territorio, per l'adozione delle opportune misure di tutela nei confronti della prole».

Art. 9.

  1. Dopo il primo comma dell'articolo 572 del codice penale è inserito il seguente:

  «La pena di cui al primo comma si applica anche a chiunque, in violazione dei doveri educativi connessi alla responsabilità genitoriale, arrechi pregiudizio all'integrità psico-fisica di un minore sottoposto alla sua autorità o a lui affidato per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia. Per doveri educativi connessi alla responsabilità genitoriale, ai fini di cui al presente comma, devono intendersi quelli richiamati dall'articolo 29 della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176».

Art. 10.

  1. Il comma 1 dell'articolo 9 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'interno 13 maggio 2005, n. 138, è sostituito dai seguenti:

   «1. Ogni volta che soggetti minori nei cui confronti è stata avanzata una proposta di speciali misure di protezione sono affidati a persone non incluse nella proposta stessa o che rifiutano di sottoporsi alle misure, la Commissione centrale ne dà tempestiva informazione all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, per l'eventuale adozione di provvedimenti ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 del codice civile, e a quello presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito è il luogo dell'ultima residenza del minore.
   1-bis. Nei casi in cui è segnalato dall'autorità provinciale di pubblica sicurezza o comunque emerge dalle indagini il rischio di una situazione di imminente pregiudizio o pericolo per i soggetti minori tale da richiedere provvedimenti urgenti, il procuratore della Repubblica, contestualmente alla proposta di ammissione al piano provvisorio di protezione, ne dà tempestiva informazione all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni e a quello presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito è il luogo dell'ultima residenza del minore, per l'eventuale adozione di provvedimenti ai sensi degli articoli 330 e 333 e del capo II del titolo IX del libro I del codice civile. La segnalazione è altresì operata per l'eventuale adozione di provvedimenti ai sensi dell'articolo 332 del codice civile».

Art. 11.

  1. Dopo il comma 1 dell'articolo 10 del decreto del Ministro dell'interno 13 maggio 2005, n. 138, è inserito il seguente:

   «1-bis. Intervenuta la proposta di ammissione al piano provvisorio di protezione e sino alla delibera della Commissione centrale, il Capo della polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza autorizza, per situazioni di eccezionale urgenza, l'autorità provinciale di pubblica sicurezza ad avvalersi degli stanziamenti previsti dall'articolo 17 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo, 1991, n. 82, specificandone i contenuti e la destinazione, al fine di assicurare, mediante personale specializzato appartenente al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia o mediante accordi con le strutture pubbliche sul territorio, la necessaria assistenza psicologica ai minori in situazione di disagio».

Art. 12.

  1. Dopo il comma 1 dell'articolo 11 del decreto del Ministro dell'interno 13 maggio 2005, n. 138, è inserito il seguente:

   «1-bis. Intervenuta la proposta di ammissione al piano provvisorio di protezione e sino alla delibera della Commissione centrale, il Capo della polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza autorizza, per situazioni di eccezionale urgenza, l'autorità provinciale di pubblica sicurezza ad avvalersi degli stanziamenti previsti dall'articolo 17 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, specificandone i contenuti e la destinazione, al fine di assicurare, tramite specifiche intese con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia, l'assolvimento degli obblighi scolastici da parte dei minori e di assicurare la loro tutela».

Art. 13.

  1. All'articolo 332 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

  «Nell'ambito della disciplina posta a tutela dei collaboratori e testimoni di giustizia, in caso di ammissione a un piano provvisorio di protezione o della delibera di speciali misure di protezione in favore di un soggetto maggiorenne con figli di età inferiore a diciotto anni, il procuratore della Repubblica né da notizia al tribunale per i minorenni e al pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni per l'eventuale adozione di provvedimenti ai sensi del primo comma, qualora ne ricorrano i presupposti».