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Atto a cui si riferisce:
C.1/00026    premesso che:     la questione della presenza di detenuti stranieri nelle carceri è uno dei temi attualmente più condizionanti il sistema penitenziario italiano, data...



Atto Camera

Mozione 1-00026presentato daBERGAMINI Deborahtesto diMartedì 24 luglio 2018, seduta n. 32

   La Camera,

   premesso che:

    la questione della presenza di detenuti stranieri nelle carceri è uno dei temi attualmente più condizionanti il sistema penitenziario italiano, data l'incidenza sull'annoso problema del sovraffollamento. Il fenomeno è poi strettamente connesso al considerevole aumento dei flussi migratori e delle inevitabili ripercussioni sul fronte della criminalità;

    il principale strumento per attuare il trasferimento delle persone condannate è la Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983 e ratificata dall'Italia con legge n. 565 del 1988, che prevede una procedura di trasferimento applicabile da tutti gli Stati, anche se non aderenti al Consiglio d'Europa, per l'esecuzione della sentenza nel Paese d'origine della persona condannata. La Convenzione ha dunque lo scopo di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo a uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo Paese dove ha i propri interessi affettivi e lavorativi e in cui possono meglio essere perseguiti la finalità rieducativa e il processo di reinserimento nel contesto sociale di appartenenza;

    il trasferimento può essere richiesto sia dallo Stato nel quale la condanna è stata pronunciata, sia dallo Stato di cittadinanza del condannato, sia dal condannato stesso; per ciò che attiene alla procedura di esecuzione della condanna dopo il trasferimento, rileva il fatto che una sanzione privativa della libertà non possa mai essere convertita in una sanzione pecuniaria;

    il trasferimento delle persone condannate in un altro Paese, generalmente quello d'origine, per ivi proseguire e terminare l'esecuzione della pena opera su un piano diverso rispetto all'estradizione e agli altri strumenti di cooperazione giudiziaria: ha finalità prevalentemente di carattere umanitario, nel senso che mira a favorire, in determinati casi, il reinserimento sociale delle persone condannate nel loro Paese d'origine, in modo tale da superare tutte quelle difficoltà che, su un piano umano, sociale e culturale, oltreché per l'assenza di contatti con i familiari, possono derivare dall'esecuzione della pena in un paese straniero;

    la Convenzione richiede alcune condizioni ai fini del trasferimento: che la persona condannata sia cittadino dello Stato di esecuzione; che la sentenza sia definitiva; che la durata della pena ancora da scontare sia di almeno sei mesi alla data di ricevimento della richiesta di trasferimento; che la pena sia inflitta per fatti che costituiscono reato sia nello Stato di emissione che in quello di esecuzione (principio della doppia incriminabilità); che lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione debbano essere d'accordo sul trasferimento; che vi sia il necessario consenso al trasferimento da parte della persona condannata o del suo rappresentante legale;

    in tale prospettiva, risulta comprensibile la necessità del consenso della persona interessata, diversamente da quanto avviene generalmente nelle procedure estradizionali o di consegna, che prescindono dal consenso dell'interessato, come nel caso dell'applicazione della decisione quadro 2008/909/GAI (sul mutuo riconoscimento delle sentenze che irrogano pene detentive e altre misure limitative della libertà personale), che ha un ambito applicativo limitato ai soli Paesi europei, ma che non richiede il consenso;

    l'ambito applicativo della Convenzione di Strasburgo è esteso ai 66 Paesi che, dalla data di apertura alla firma, hanno proceduto ad oggi alla ratifica; oltre a tutti i Paesi membri del Consiglio d'Europa tranne Monaco, l'hanno ratificata i seguenti Paesi non membri del Consiglio d'Europa: Australia, Bahamas, Bolivia, Canada, Cile, Corea, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Honduras, India, Israele, Mauritius, Messico, Mongolia, Panama, Stati-Uniti d'America, Tonga, Trinidad e Tobago, Venezuela;

    le strutture carcerarie italiane sono caratterizzate da sovraffollamento cronico, carenza di organico degli agenti penitenziari e insufficiente presenza di psicologi e operatori per l'assistenza e il recupero sociale dei detenuti;

    la condizione carceraria appare troppo spesso distante dal dettato costituzionale e dagli impegni internazionali dell'Italia sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e della dignità delle persone;

    lo stesso rapporto esplicativo della Convenzione, redatto sulla base delle discussioni del Comitato di esperti governativi che hanno redatto il trattato, e sottoposto alla lettura Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa, sottolinea come la finalità dell'Accordo sia quella di «stabilire una procedura semplice, veloce e flessibile» per il trasferimento dei condannati stranieri, tenuto conto del fatto che l'accresciuta mobilità delle persone e la semplificazione delle comunicazioni hanno favorito l'internazionalizzazione del crimine. Che i condannati scontino la pena nel loro Paese di origine, argomentavano gli esperti già all'inizio degli anni Ottanta, è utile alla loro riabilitazione, che sicuramente non può svolgersi appieno in un Paese di cui non conoscano bene la lingua e di cui non condividano gli usi. Allo stesso modo, le differenze linguistiche rendono difficile anche per gli operatori carcerari la comprensione dei detenuti e, quindi, la prevenzione di fenomeni di delinquenza in carcere e finanche, si deve aggiungere oggi, di radicalizzazione terroristica;

    l'Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) per le condizioni inumane in cui vivono i detenuti nelle proprie carceri, mentre i sindacati degli agenti penitenziari non cessano di sottolineare le difficili condizioni in cui lavorano gli operatori in carcere;

    dalle ultime statistiche del Ministero della giustizia, alla data del 30 giugno, risulta un totale di 58.759 detenuti presenti negli istituti penitenziari italiani, di cui 19.868 stranieri, con un'incidenza di presenza straniera di circa il 33 per cento, mentre nel 2015 in Italia si era registrato un numero di detenuti di circa 54.000 unità, di cui 17.500 stranieri. È utile segnalare anche la differente area di provenienza: sul totale dei 19.868 di detenuti stranieri, la componente maggiore è quella proveniente all'area geografica dell'Africa (Tunisia, Marocco, Algeria, Nigeria ed altri Paesi), con un totale di 10.273 detenuti, a seguire quella dall'Europa (Romania, Bulgaria, ex Jugoslavia, Albania ed altri) con un totale di 7.191 detenuti, poi quella dall'Asia (Medio oriente ed altri paesi) con un totale di 1.335 detenuti e in fondo alla classifica quella dall'America (Nord, Centro e Sud) con un totale di 1.046;

    sempre secondo i dati del Ministero della giustizia, le nazionalità straniere maggiormente presenti nelle carceri italiane, con percentuali maggiori o uguali al 10 per cento del totale, sono quella marocchina (16 per cento), rumena (15 per cento), albanese (14 per cento) e tunisina (10 per cento);

    stando ai dati recenti dell'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione pubblicato dall'associazione Antigone, il budget preventivo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per il 2018 è di 2.881.004.859 euro per un costo giornaliero per detenuto di circa 137,02 euro, in lieve diminuzione rispetto al 2017 (budget preventivo di 2.853.346.330 euro e il costo giornaliero per detenuto di 137,34 euro);

    rilevano anche i dati forniti, durante la scorsa nella legislatura da Santi Consolo, capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria (Dap) al Copasir, relativi al rischio del proselitismo e della radicalizzazione jihadista nelle carceri: le persone coinvolte in un percorso di radicalizzazione, con diverse gradazione di adesione, sono circa 360. Si tratta di un fenomeno che coinvolge un numero di persone comunque non trascurabile, che interessa anche il circuito minorile, e che risulta, in ogni caso, allarmante;

    il trasferimento dei detenuti stranieri condannati in Italia nel proprio Paese di origine, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo, può, dunque, contribuire a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e dell'esecuzione della pena, facilitando anche la prevenzione di fenomeni quali la radicalizzazione, anche di matrice terroristica;

    il trasferimento dei condannati verso alcuni dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione è già oggi possibile; tra questi rilevano l'Albania e la Romania (quest'ultimo ha registrato il maggior numero di consegne, passando da 70 unità del 2014 alle 110 censite nel 2015); per quanto riguarda gli altri Paesi, essi possono essere invitati a ratificare la stessa Convenzione, ovvero si possono firmare accordi bilaterali con gli stessi finalizzati ad ottenere lo stesso risultato;

    in tale direzione contribuiscono anche i trattati bilaterali sottoscritti fino ad oggi per il trasferimento dei condannati con i seguenti Paesi: Albania, Romania, Bulgaria, Cuba, Hong Kong, Perù, Thailandia, India, Kazakhstan, Repubblica Dominicana, Egitto, Marocco e Brasile;

    in aderenza a quanto previsto dalla Convenzione e nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato italiano, anche la stipula di accordi bilaterali sul trasferimento delle persone condannate non può prescindere dal consenso di queste ultime, per evitare di esporre il soggetto da trasferire a condizioni detentive crudeli, disumane o degradanti, in violazione dei diritti fondamentali della persona;

    tuttavia, nonostante gli avanzamenti per l'estensione ad altri Paesi di questo importante strumento giuridico, non sembra che fino ad oggi sia stato incentivato l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo, al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine; il numero di trasferimenti di detenuti stranieri, infatti, è talmente irrilevante che questi non vengono neppure conteggiati nelle statistiche ufficiali dell'Istat e del Ministero della giustizia;

    durante la scorsa legislatura il precedente Governo aveva accolto gli impegni e le linee di indirizzo contenute nelle numerose mozioni presentate da tutti i gruppi parlamentari (tra cui la mozione n.1-01249 a prima firma Bergamini) volte a implementare la Convenzione di Strasburgo e a favorire la stipula di nuovi accordi bilaterali per il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d'origine (seduta dell'Assemblea del 23 febbraio 2017;

    il Ministro della giustizia Bonafede, in risposta all'interrogazione 3-00090 (nella seduta del 18 luglio 2018) sulla problematica del sovraffollamento carcerario ha annunciato l'impegno «all'incremento e all'accelerazione dell'entrata in vigore degli accordi bilaterali volti a consentire il trasferimento dei detenuti condannati stranieri nei Paesi di origine, anche senza il consenso del detenuto stessi “dando indicazione” alle competenti articolazioni ministeriali di assumere iniziative affinché i trattati e gli accordi già in vigore, tra i quali particolare attenzione va riservata, dato il numero di detenuti presenti nei nostri istituti, a quelli conclusi con Albania e Romania, possano esplicare nel modo più ampio possibile la loro portata applicativa, sinora non ancora soddisfacente sul piano statistico»;

    la possibilità di procedere al trasferimento senza il consenso della persona condannata è contemplata solo in alcuni trattati bilaterali, in determinati casi e nel rispetto di condizioni espressamente previste, laddove i rapporti tra gli Stati membri siano fondati su una particolare fiducia reciproca nei rispettivi ordinamenti giuridici, consentendo allo Stato di esecuzione di riconoscere le decisioni delle autorità dello Stato di emissione, ferma restando la necessità di offrire garanzie adeguate alla persona condannata che deve essere obbligatoriamente sentita,

impegna il Governo:

  1) a promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti provenienti dai Paesi che fanno registrare il maggior flusso di immigrazione verso l'Italia, e, più in generale, con quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane e ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a incentivare l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo, al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;

  2) ad adoperarsi, presso le competenti sedi internazionali, per invitare i Paesi non firmatari ad aderire alla Convenzione di Strasburgo;

  3) a promuovere ogni iniziativa volta a semplificare le procedure di trasferimento dei detenuti stranieri, anche attraverso la promozione della conoscenza dello strumento del trasferimento e del confronto con gli organi giudiziari competenti nazionali e dei Paesi i cui cittadini hanno il più elevato tasso di presenza negli istituti penitenziari, come l'Albania e la Romania;

  4) ad informare annualmente il Parlamento in merito ai dati relativi all'attuazione di accordi bilaterali per il rimpatrio dei detenuti stranieri, nonché in riferimento all'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo;

  5) a valutare l'opportunità di monitorare l'implementazione della Convenzione di Strasburgo, anche mediante un'indagine ministeriale al fine di verificare le ragioni dello scarso utilizzo dello strumento relativo alla procedura di trasferimento nei Paesi d'origine, anche al fine di accelerare le procedure di trasferimento senza consenso solo laddove taluni accordi bilaterali lo consentano, nel rispetto dei principi dei trattati internazionali a tutela dei diritti fondamentali della persona.
(1-00026) «Bergamini, Ravetto, Brunetta, Gregorio Fontana, Bagnasco, Anna Lisa Baroni, Bartolozzi, Biancofiore, Casino, Cassinelli, D'Attis, Fatuzzo, Ferraioli, Fiorini, Gagliardi, Labriola, Marrocco, Mazzetti, Mulè, Nevi, Fitzgerald Nissoli, Novelli, Palmieri, Pettarin, Pittalis, Ripani, Rosso, Ruffino, Saccani Jotti, Elvira Savino, Sandra Savino, Scoma, Silli, Maria Tripodi, Vietina, Zanella».